La meraviglia dell'oceano terrestre

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Alle otto in punto Kayl aveva richiesto una riunione in sala. Secondo lei aveva trovato il piano perfetto per procedere con l'eliminazione degli SkinWalkers.
"Voglio sapere cos'ha in mente quella donna." Aveva detto Lily, seduta sul tronco caduto ai confini del campo d'allenamento mentre beveva dalla borraccia.
"È da due settimane che sta formulando un piano." Risposi, mentre ero appoggiato con una spalla al tronco di un albero vicino.
"Dobbiamo tornare un attimo alla base." Disse, alzandosi.
Passeggiando verso la botola d'entrata, io e Lily eravamo sott'ansia. Non ci scambiammo una parola.
All'interno della base mi fece entrare in una stanza alla sinistra della nursery. Avevo sempre pensato fosse un bagno, ma in realtá era un deposito d'armi, tutte luccicanti, splendenti e affascinanti.
"La scure non è adatta alla tua mano." Cominció lei. "Qua ci sono tantissime armi. Tu sei bravo negli scontri ravvicinati, ti consiglio delle armi come spade, bastoni e asce."
"Tu che arma hai?" Chiesi.
Fece un sorriso contento, e prese un'ascia alta e grande quanto lei, con il manico nero e inciso di disegni e rune misteriose, simili a dei geroglifici egizi rossi. La testa era rosso fuoco, con il filo delle lame bianco latte.
"E riesci a tenerla in mano?"
"Ovvio, la uso da tre anni." Rispose mettendosela in spalla.
Guardando l'accoppiata, l'arma si abbinava molto a Lily. Sorrisi pensandolo.
"Cosa mi consigli?"
Si mise due dita sul mento. "Credo che un bastone o una spada."
Prese un bastone appeso alla parete. Era alto un metro e settanta, sembrava antico, come un bastone per maghi. Il legno d'ulivo era intrecciato, formando un'arma robusta ed esteticamente bella. All'estremità il legno assumeva una forma a punta aguzza e sottile come un ago, ma prima si gonfiava in un bozzo. Sembrava il retro di un bombo con il pungiglione scoperto.
"Sembra un po' una lancia."
"Lo so, ma è stato specificamente costruita per lo scontro ravvicinato, ma anche per il lancio preciso. È infatti leggero ma robusto, la punta anche se sembra sottile è indistruttibile, ed è impossibile scalfirlo." Spiegó. "Deve essere per te comodo per combattere e agile da usare. Come un'estensione del tuo braccio in poche parole."
Provai un affondo al vuoto e altre azioni e tecniche di combattimento che mi aveva insegnato Lily con un bastone d'allenamento.
"Mh. Mi fai provare la spada?"
Prese una spada dalla lama sottile e dalla guardia a croce e me la lanció. La presi prontamente (dal manico) e provai le stesse pose e tecniche di prima.
"Meglio il bastone?" Chiese.
"Decisamente." Risposi.
Quando tornammo al campo mi insegnó come utilizzare al massimo il bastone-lancia, come tirarlo e come combattere nel corpo a corpo.
"La tecnica è parare con il manico e attaccare usando sia il groppo prima della punta, che lo si puó usare per fratturare o causare lividi, oppure la punta stessa per affondi nei tessuti." Spiegó. "Ma si puó usare anche il retro del manico come arma, sempre per causare fratture o lividi, ma farlo mentre hai le spalle scoperte, cosí non dovrai girarti per colpire, che per la lunghezza del bastone sarebbe molto lento."
Finito l'allenamento, decidemmo di passeggiare facendo un giro diverso, piú lungo, svoltando verso la costa di terra alta e frastagliata, in modo da vedere il mare.
"Secondo te è un mare o un oceano?" Chiesi a Lily.
"Non saprei.. ma credo che, visto che quest'isola deve essere nascosta al resto del mondo, sia in mezzo a un oceano, perché è piú vasto di un mare."
"Sei sicura di essere ancora sulla terra?"
Mi guardó con un sopracciglio alzato. "Cosa intendi dire?"
"Non è che magari siamo in una specie di alter-terra o qualcosa del genere?"
La sua espressione confusa si trasformó in un sorriso divertito e poi in una risata limpida.
"Sono sicurissima di essere ancora sulla terra. Perché comunque, anche se siamo in un'isola con origini e scopi sconosciuti, mi sento ancora parte di qualcosa. E so che è della stessa cosa che ho provato a Cork, a Francoforte e in ogni posto in cui ho viaggiato. Mi son sentita parte di questo pianeta, e ora non mi sento fuori casa."
Rimasi allibito dalla sua sicurezza, ma anche dalla sua spiegazione. Forse era stata la piú seria da quando l'avevo conosciuta.
La comicità non era mai stato un suo difetto. Era un suo pregio, lo era sempre stato. Con lei era divertente starci insieme, parlarci, o anche solo giocare a carte. Ma aveva anche un grande senso di preoccupazione nei confronti della salute fisica e mentale delle persone che amava. Si preoccupava sempre se avevo mangiato, se stavo bene dopo che mi aveva dato un affondo troppo forte con il bastone d'allenamento o se ero stanco. Ma si preoccupava anche di farmi a sentire a suo agio con lei.
Lei... Cosa pensa di me? Forse che sono solo un ragazzo senza emozioni o affetto verso l'umanità?
"Fiorellino, guarda che bello!" Esclamó indicando un punto della costa.
Fiorellino... Questo buffo nomignolo... Perché mi piace cosí tanto?
Guardai nel punto indicato, e trovai una rocca di pietra, simile a un piccolo promontorio.
"Dai andiamo a vedere l'oceano!" Mi prese il polso e mi trascinó correndo verso la rocca di pietra. Quando parlava come una bambina era cosí carina...
Arrivammo al suo confine, e per la prima volta vidi il cielo per bene: aveva delle sfumature arancioni, ma anche rosa, gialle e rosse. Mancava solo il sole, come sempre, ma era uno spettacolo.
"Guarda che bello.. è meraviglioso. Sarebbe stupendo se ci fosse il sole. Qui l'alba sarebbe un incanto. Quanto mi manca.." si sedette sul bordo della rocca con le gambe a ciondoloni.
"Attenta!" Le tirai la maglietta, trascinandola indietro.
"Cosa? Non sono mica una bambina! Mica mi stavo buttando giú!" Rispose indignata, mettendo un piccolo broncio.
"Scusa..."
"Piantala di scusarti."
Mi sedetti di fianco a lei ad ammirare il cielo che incontrava le onde dell'oceano, blu e turchesi, che si agitavano creando schiuma bianca.
"Jason."
"Sí?"
"Hai mai pensato quando saresti scappato da qui?"
Ci riflettei qualche secondo. "No. Nemmeno come. Anche se ogni giorno rischio di morire, voi siete dei compagni fantastici. Nella mia vita non ho mai incontrato persone come voi che mi hanno fatto sentire cosí... Accettato."
La guardai, il suo sguardo ancora rivolto all'oceano. I suoi capelli lisci e rossi si muovevano delicati per la brezza che arrivava da dietro si noi. Oltre alle lentiggini sulle guance, sulle ginocchia, sui gomiti e sulla parte bassa del collo, non avevo mai notato che ne avesse un po' sulla punta dell'orecchio.
Una ciocca di capelli la stava disturbando da un po', mente continuava a scacciarla con la mano.
La presi e la misi dietro l'orecchio, cercando di essere piú delicato possibile.
Lei mi guardó. "Davvero?"
"Sí."
Tra le nostre risposte c'erano sempre delle pause di secondi riempiti dal rumore delle onde e della brezza.
"In effetti.. con Gabriel stai andando d'accordo."
"Sí... All'inizio ci odiavamo ma ormai ci scherziamo sú. Posso dire che siamo diventati amici in queste settimane."
"Non ha avuto una vita difficile.. anche se nessuno qui l'ha avuta." Tornó a guardare l'oceano.
"Cosa intendi dire?"
"Ognuno qui ha vissuto traumi o esperienze particolarmente stressanti che gli hanno cambiato la vita radicalmente." Tornó a guardarmi. "Cos'hai vissuto tu?"
Distolsi lo sguardo. Mi sentivo pronto a dirglielo? Era la prima volta che avrei parlato della mia infanzia con qualcuno, tranne che con Daven, ma con lui l'avevo fatto molto vagamente.
"Se non ti senti pronto-"
"I miei genitori, quando ero piccolo... Urlavano. Avevano sempre litigato, anche per il mio nome.
Quando non ero ancora nato e i miei erano sposati, mio padre aveva tradito mia madre con una certa Katia, una donna afroamericana che aveva la vitiligine. Era la migliore amica di mia madre delle superiori.
Dopo il tradimento mio padre chiese perdono a mia madre, e lei lo perdonó, e tornarono a avere una vita normale.
Due anni dopo nacqui io. Ma mi era stata diagnosticata la vitiligine. Mia madre era impazzita pensando a Katia, e che quindi avrei portato male e sfortuna a lei e a mio padre.
Quando i medici mi diedero a mia madre, non mi prese in braccio.
Mio padre non mi amava. Cercava solo di nascondere il ricordo di Katia, e di crescere un figlio sano, ma non avevamo un legame padre e figlio. Non aveva mai mostrato un briciolo di affetto nei miei confronti.
Con il tempo i miei si erano dati alle droghe e all'alcol. A cinque anni pensavo di essere un mostro, una sfortuna fatta e finita. E in tutto questo i miei 'genitori' continuavano a vivere senza condanne o penitenze per ció che mi facevano." Gli occhi iniziarono a diventare lucidi, e abbracciai le ginocchia piegate contro il petto con le braccia. "Vivevamo per miracolo, mentre i miei pagavano droghe e le mie spese per la scuola. A sedici anni scappai a Oslo, andando via dalle loro urla e dall'alcol.
A Oslo incontrai Daven, che fu come un fratello per me. Mi morii davanti agli occhi, investito da un camion.
Qualche volta la sera lo sogno ancora, insieme alle urla dei miei genitori. La violenza psicologica fa piú male di quella fisica. L'ho sperimentato io stesso." Non ce la feci e scoppiai a piangere.

Panic Island: Escape or Die [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora