Le veritá (parte 1)

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La mattina dopo mi svegliai nelle lenzuola pesanti, che avevano arrotolato il mio corpo trasformandomi in una specie di involtino.
Quando aprii gli occhi e studiai l'ambiente non lo riconobbi subito, ma poi i ricordi del giorno precedente si risvegliarono nella mia testa, e l'ansia scomparve.
Mentre mi sedevo ripensai alla notte prima, quando avevo parlato per la prima volta seriamente con Lily. Quando mi ero svegliato, non avevamo parlato apertamente, in effetti eravamo sconosciuti l'uno all'altra, e pensavo che dopo che Kayl aveva detto che questa era la base del suo gruppo, ci sarebbero volute settimane se non mesi per avere un discorso serio con Lily. Invece, ora sapevo molte cose: il suo cognome, la sua nazionalità e la cittá in cui era nata, dove si era trasferita e la sua etá. E anche lei sapeva qualcosa di me.
Nessun dialogo con una ragazza nella mia vita era stato facile. Non ci ho mai saputo fare con le donne. Anche perchè soprattutto non ho mai avuto una cotta. Ma Lily era cosí solare, comica ma anche gentile. Non avevo mai visto una ragazza dal carattere forte come il suo.
Non so perchè la penso da quando l'ho incontrata. Forse in futuro lo scopriró.
O forse era qualcosa di piú. Anche se potevo essere l'ultimo a parlare d'amore, visto che non sapevo nemmeno cos'era.
Mi alzai e aprii la porta. Sui due divani trovai Gabriel e Abdul, negli stessi posti del giorno precedente, ma il tavolino era privo di carte da gioco. Nell'unica poltrona sedeva Kayl, seduta a gambe aperte, schiena in avanti e le punte delle mani che si toccavano. Gabriel aveva un braccio steso sullo schienale del divano e le articolazioni inferiori accavallate. La sua mente sembrava vagare in un altro universo, oppure era solo molto concentrato a ció che la leader stava dicendo. Aveva in bocca lo stuzzicadenti, mordicchiandolo, e l'altra mano non distesa era davanti al suo sguardo perso, che si muoveva in varie pose, come se stesse analizzando le sue unghie.
Abdul aveva una posa piú professionale: gambe chiuse e braccia conserte. Lo sguardo era rivolto davanti a lui, dove solo il tavolino lo separava a Kayl. Qualche volta annuiva leggermente e si sistemava gli occhiali con un dito.
Rimasi allo stipite della porta, senza muovere un muscolo. Non capivo nulla di quello che stavano dicendo, visto che la donna stava sussurrando.
Non ci volle molto prima che scoprissero la mia presenza. Kayl interruppe il discorso e mi guardó, Gabriel alzó lo sguardo disinteressato e Abdul si limitó a muovere di poco il collo, guardandomi con la coda dell'occhio.
"Scusate, ho interrotto qualcosa?" Chiesi.
"No Jason. Vieni, dobbiamo parlare." Rispose chiara Kayl.
Mi sedetti vicino ad Abdul, visto che Gabriel occupava quasi tutto il divano, e sapevo che non sarebbe stato carino con me. Era uno di quelli che probabilmente voleva aprire battaglia con il primo che non gli piaceva. Non volevo creare disconnessioni o litigi nel gruppo, quindi era meglio se gli stavo alla larga.
"Jason, ormai tu sei qui da molte ore. Probabilmente sarai confuso di sapere il perché ti abbiamo rapito, perchè sei qui e perché ci sono altre persone." Inizió Kayl. "Quindi oggi ti propongo di fare due passi con me. Andremo fuori dalla base e ti spiegherò tutto quello che so, perché meriti di sapere."
"Per me va bene." Risposi.
"Ok. Tra dieci minuti si parte."
Lei si alzó e tutti nella stanza la imitammo. Andó verso il corridoio delle camere, e fu seguita da Gabriel. Io rientrai nella nursery. Ma lasciai socchiuso, e riuscii a sentire dei bisbigli tra Kayl e Gabriel.
"Non dirgli tutto." Inizió lui.
"Devo."
"E se poi ci va contro?"
"Ti pare che gli diró quella cosa?"
"Non farti scappare robe del genere."
"Ti pare che sono una che mi faccio scappare i segreti? Glielo diremo quando sará pronto." E con questo la donna chiuse il discorso.
Abdul mi seguii, e quando vide che ero nella nursery sorrise quasi ridendo.
"Che c'è?"
"Questa non è più la tua camera. Ti mostro dov'è." disse gentilmente.
Lo seguii fino alla terza stanza della parete sinistra. La camera era mediamente grande, con un letto grande e azzurro vicino al muro, dove affianco era posizionato un piccolo comodino con una lampada ad olio accesa. A qualche centimetro dal mobile c'era una scrivania di legno con tanto di sedia. Davanti al letto, attaccata alla parete, c'era una piccola stufa in pietra, dove ardeva un fuoco caldo. Affianco, ma distante, c'era un armadio dallo stile semplice, simile a quello della casa di legno. La parete opposta a quella della porta d'entrata era occupata da un'altra porta leggermente piú a destra, probabilmente quella del bagno.
"Se vuoi cambiare la disposizione dei mobili puoi farlo liberamente." Mi informó.
"Grazie" dissi.
Ripose sorridendo e chiudendo la porta.
Per prima testai la comoditá del letto sdraiandomi sopra. Aprii poi le ante dall'armadio, trovandolo colmo al punto giusto di vestiti e biancheria della mia taglia.
Presi il mantello che avevo indossato fino a cinque giorni prima. Mi vestii con gli stessi abiti di quando mi ero svegliato in quel letto nella casetta di legno. Ma la maschera di zucca non me al misi, e lasciai il cappuccio abbassato.
Dopo dieci minuti qualcuno bussó alla mia porta.
"Sono Kayl."
Aprii, e la trovai nello stesso completo mio ma con degli stivali piú a punta, dei pantaloni della tuta fino alle ginocchia e i colori cambiati: il mantello era viola e il resto (maglietta, calzoncini e tasche) era color panna come me.
"Prendo la maschera?"
"No. Vieni." Ripose secca e si avvió nel corridoio a passo deciso. La seguii.
Quando arrivammo in sala, fui sconvolto quando aprii una botola nascosta nella parete di fianco a uno dei divani. Il passaggio non era molto largo, ma accessibile. Mi fece cenno di proseguire.
Dopo circa dieci o undici metri camminando con le ginocchia piegate, iniziammo a salire su una scala a pioli. Sentii Kayl che apriva un'altra botola, e poi la luce.
Quando uscii mi diede una mano, che accettai e mi tiró sú.
Quello che vidi fu strano. Forse stravagante.
Solo bosco, con alberi latifoglie e con la chioma ricca. Qualche cespuglio qua e lá, e poi nient'altro che erba. Il cielo sopra i rami era arancio nel suo tramonto senza sole.
Kayl aveva richiuso la botola, adattata al suolo boschivo in modo che non si vedesse.
"Questo è quello che c'è al di fuori della Fattoria." Disse abbassando il cappuccio.
"Cosa-?"
"Seguimi."
Cominciammo a passeggiare tranquillamente. Nessuno parlava. Si sentiva solo i suoni dell'erba pestata e delle foglie che si agitavano al passaggio della brezza. La donna accese una sigaretta.
Dopo dieci minuti cominciai a parlare.
"Cos'è la Fattoria?"
"Il posto in cui ti sei svegliato. E dove ci siamo svegliati tutti noi umani." Rispose.

Panic Island: Escape or Die [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora