Gli occhi del Mare del Nord

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Era ormai da tredici ore che eravamo in viaggio. I passeggeri si alzavano dai sedili per andare in cabina, nella sala film o nella spa; oppure stavano semplicemente seduti a parlare, disegnare, leggere o ascoltare musica.
La situazione era tranquilla, fin troppo. Nessun bambino che urlava, nessun suono fastidioso e nessuna persona che aveva voglia di litigare. Gli unici rumori erano i passi degli sconosciuti che si alzavano dai loro posti, risate e alcuni discorsi accesi che peró non disturbavamo il prossimo.
Mi ero alzato dal posto solo due volte: la prima per andare in cabina a dormire, la seconda per andare nella sala cinema a vedere un film, Assassinio sul Nilo. Fu molto interessante, ma visto che dopo ci sarebbe stato un film che non mi piaceva, ero ritornato al mio posto nella sala dei passeggeri.
Avevo mangiato e le portate. Erano buone, ma non deliziose.
Ero ritornato al mio posto quando mi ero ricordato della scatoletta rossa di Karen. O meglio, di Daven. Il suo pensiero mi attanagliava ancora lo stomaco, ma ero riuscito a evitarlo ascoltando Podcast e guardando serie su Netflix dal telefono. Lo presi dalla tasca della felpa, lo rigirai tra le dita, ma poi lo rimisi al suo posto. Non ero pronto per aprirlo. Sarei scoppiato a piangere e avrei pensato a lui tutta la vacanza. Avevo bisogno di staccarmi dal suo ricordo, almeno per un po'. Forse lo avrei aperto dopo qualche anno...
Stavo contemplando le onde del Mare del Nord che si muovevano impetuose, come un drago sinuoso che saltava. Sapevo che potevamo essere mostruose, ma per ora sembravano sicure, non pacate peró.
Il blu si stagliava contro il cielo grigio con le nuvole cariche d'acqua. Avrebbe piovuto lí a poco, e un fulmine senza tuono in lontananza diede la conferma che ci sarebbe stato un temporale.
A un certo punto mi sentii osservato. Pensai che era una mia impressione, e continuai a guardare fuori dal finestrino. Ma l'ansia crebbe, e controllai intorno. Tutto normale, nessun intruso. Tranne per il bambino di sei anni. Incrociai il suo sguardo dopo aver controllato i lati del mio campo visivo. Il suo sedile era sulla stessa mia fila orizzontale, nella parte interna al corridoio. La madre era vicino alla finestrella che leggeva un romanzo dalla copertina violacea.
Ma il bambino... Mi guardava come se avessi appena ucciso una persona. No, anzi, sembrava che lui mi guardasse come se avessi scoperto il suo piú orrendo segreto. Il suo volto era contratto in un'espressione innaturale. Gli occhi erano sgranati, quasi fuori dalle orbite, con le pupille cosí sottili da risultare puntini invisibili in un'oceano castano. Il naso era fermo, e anche la bocca, le labbra sottili stese in linea retta. I capelli lisci e biondi brillavano alle luci della nave. Il petto non si muoveva, la mano immobile e pallida aggrappata al bracciolo interno.
Poi, all'improvviso, udii un gracchiare lontano, come un'eco. Il bambino si irrigidii di colpo, e riprese a respirare normalmente, mentre distoglieva gli occhi dal mio sguardo e le sue pupille si dilatavano. Ma quando guardó in avanti, sul sedile di fronte al suo, i suoi occhi erano cambiati. Erano di un blu vivido, profondo, come se fossero gli occhi del Mare del Nord stesso. Le sue palpebre si erano leggermente abbassate, e il suo viso aveva preso tratti e curve adulte. Poi le sue pupille ridiventarono microscopiche.
E si mise ad urlare.

Panic Island: Escape or Die [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora