Capitolo 17

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Damon

«Allora, vieni con me?» Le mostro i due biglietti per l'incontro e i suoi occhi si illuminano come due fanali. «Se non vuoi...»

«Sì, sì, sì!» Mi lancia le braccia al collo e mi stringe così forte che potrebbe strozzarmi, ma glielo lascio perché mi piace tanto, troppo.

«Ottimo, ragazzina, allora dopo non metterci un'eternità per prepararti.»

«Io non ci metto molto un'eternità, sono velocissima, Dam.» Sporge il labbro inferiore come se fosse offesa.

«Mh, certo, come no.»

Lei batte un guantone contro l'altro. «Combatti, forza!» Mi sfida e a me scappa da ridere. «Sono seria.»
«Ragazzina, sai che vincerei a occhi chiusi.»
«Non ci giurerei, sai, il mio maestro dice che sono agile e veloce e ho un destro da paura.»
«Oh, il tuo maestro deve aver esagerato.»
«Dai, Dam, ti prego.»
«E va bene, ma senza far mal...»

Mi assesta un altro destro e... Che cazzo! Dorothy nelle ultime settimane è davvero cresciuta e migliorata, e da quando abbiamo iniziato ad allenarci seriamente ho capito che è portata per questo sport e grazie agli allenamenti delle settimane precedenti ha rinforzato anche la muscolatura. La ragazzina è una forza e quando Gregory mi ha invitato all'incontro che si terrà stasera in città, non ho potuto fare a meno di chiedergli un biglietto in più per lei.


«Come hai fatto a ottenere due biglietti con così poco preavviso? Sapevo fossero sold out da mesi.» Dorothy indaga mentre ci avviciniamo all'ingresso della palestra dove si terrà l'incontro.

«Mah, fortuna», mento.

«Non esiste, dai, come hai fatto? Hai corretto qualcuno, ragazzaccio?» Ridacchia, ma per fortuna la sua indagine viene interrotta dal bodyguard che si trova all'entrata per controllare i nostri biglietti. Quando entriamo ormai il discorso è morto e la sua attenzione viene attirata da ciò che ci circonda: il ring, le persone che fanno il tifo dagli spalti, le luci soffuse e l'arbitro che sta salendo sul tappeto. «Forza, andiamo!» La prendo per mano per non perderla nella folla e la trascino con me fino a un punto in cui sembra esserci posto. «Emozionata?»

«Non è come lo immaginavo, ma ancora più figo. Tipo Roky, sembra proprio come Roky.»

Rido. «Sì, lo è.»

In quel momento il presentatore fa partire lo show ed ecco che i due pugili si preparano agli angoli opposti del ring. Dorothy batte le mani emozionata e inizia a urlare il nome di Gregory in coro insieme agli altri presenti.

Non riesco a concentrarmi molto sull'incontro perché la mia attenzione è tutta rivolta alla ragazza meravigliosa che è accanto a me. La guardo gioire, illuminarsi, è il mio faro nell'oscurità della notte. Non riesco a toglierle gli occhi da dosso e mi cibo di ogni movenza, espressione, gridolino, mi sembra di risvegliarmi dopo anni di dormiveglia.

In lei ritrovo la vita che ho messo da parte per tanto tempo.

Voglio memorizzare ogni particolare di lei per i giorni bui in cui non ricorderò nulla.

«Pronta a conoscere l'eroe?» Le domando non appena l'incontro si conclude con la vittoria schiacciante di Gregory.
«Che? In che senso?» Spalanca gli occhi.
«Non vuoi parlare con il vincitore?»
Ecco che rivedo di nuovo il suo sguardo illuminarsi, ossigeno per il mio corpo. «Sei serio?»

Le faccio un occhiolino e la prendo per mano, portandola con me sul retro della palestra dove ci sono gli spogliatoi. «Ma possiamo? Sei sicuro che non stiamo infrangendo la legge?»
«Ah! Ah! Sta' tranquilla, ragazzina.»

Busso alla porta dello spogliatoio del mio amico e lui mi lascia entrare senza problemi. «Damon, eccoti!» Si alza dalla panchina dove è seduto e mi viene ad abbracciare prima di darmi una pacca sulla spalla. «Da quanto tempo!»

«Già, otto anni, ormai.»

«Una vita fa. Allora, dimmi un po'...» Sposta lo sguardo sulla ragazza accanto a me e sorride sornione. «Tu devi essere la donna che gli ha rubato il cuore.»

Dorothy non dice nulla, rimane imbambolata a fissarlo e a me scappa da ridere. «Ehi, ragazzina, se non chiudi la bocca entreranno le mosche.» Lei sobbalza e mi fulmina con lo sguardo.

«Piacere, io sono Gregory.»

«So chi sei... Io, ehm, io sono Dorothy e sono una tua fan.»

Scoppiamo a ridere io e il mio amico, mentre lei avvampa imbarazzata. Dio, è così bella. «Dam, smettila», piagnucola.

«Scusa, piccola, è che sei davvero buffa.»

«È solo che non sapevo ti avrei conosciuto e... Dovevo prepararmi psicologicamente. Invece è successo tutto all'improvviso e io... Sto straparlando. Comunque, sei stato grandioso là su.»

«Lo puoi dire forte. Contento che ti sia piaciuto, ma dovevi vedere il tuo ragazzo quando gareggiava, lui sì che era bravo.»

Lo fulmino. Cazzo! Perché diavolo lo ha detto?

«Tu gareggiavi?» Ecco, lo sapevo. Dannazione, avrei dovuto avvisarlo di non fare nessun accenno alla mia vita passata.
«Tanto tempo fa e in maniera amatoriale.»
«Ecco che fa il modesto, non è vero, si era quasi qualificato per le olimpiadi.»
«Oddio, davvero? Dam, perché non me lo hai detto?»
«Come ho già ribadito, è successo tantissimi anni fa. Gregory è un campione, io un allenatore.»

Lei non dice nulla in quel momento e cambia argomento, fa mille domande al mio amico sia personali che sul pugilato in generalo. Pende dalle sue labbra e sembra memorizzare, senza tralasciare nessun dettaglio.

«Parlami di quando gareggiavi.», mi domanda una volta fuori dalla palestra.
«Non c'è molto da dire...» Resto sul generico.
«Quando hai iniziato?»

Saliamo in auto e appoggio la testa al sedile. «Avevo circa dieci anni, il mio insegnante di ginnastica aveva visto in me del potenziale, mi ha spinto a iniziare e mi ci sono subito appassionato. Ho fatto pugilato per anni, al liceo sono cresciuto molto e a 18 anni un talent scout ha puntato su di me: allenamenti su allenamenti, scuola, famiglia... Ho vinto tornei, su tornei, fino a qualificarmi alle olimpiadi quando avevo circa vent'anni.»

«E poi?»
«Poi ho smesso, non ho mai partecipato alle olimpiadi.»
«Come? Perché?»

Stringo forte le mani sul volante come a voler cancellare quella parte della mia vita, quel giorno orribile in cui ho appreso di dover mettere da parte i miei sogni per stare accanto a chi mi ha dato la vita. Non mi pento di quella decisione, non mi pento di non essere andato alle olimpiadi, perché mia madre è più importante di tutto questo.

«Ora è meglio se andiamo.»

Lei non insiste e gliene sono grata, si limita ad appoggiare la mano sulla mia e a farmi sentire che è accanto a me. «Per quanto valga, trovo che tu sia l'allenatore migliore del mondo.»

«Sei di parte.»

«Un po'.» Ed è quando appoggia la tempia sulla mia spalla che torno finalmente a galla e respiro profondamente. 

Come il cielo sopra di noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora