Capitolo 20

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Damon

Dorothy non risponde né ai messaggi né alle telefonate e sto iniziando a preoccuparmi. Pensavo che le cose tra noi andassero meglio, che fossimo più uniti, che iniziasse a fidarsi di me. Invece mi sono sbagliato! Sta scappando di nuovo, ma non capisco da cosa e nemmeno il motivo.

Scrivo a Josh che è con Lily e le chiedo di passare da Dory e vedere come sta, io non posso muovermi da casa, è domenica e Holland è fuori città, devo rimanere con mia madre.

Peccato che siano passate due ore dal messaggio di Lily che mi informa che è a casa sua. Cosa è successo? Sto per impazzire. Cammino nervosamente quando il telefono inizia a squillare e, con mia grande sorpresa, noto che si tratta di Dorothy. «Da-Damon?»

«Che succede?», mi allarmo sentendola singhiozzare.
«Mi vie-ni a pre-ndere?»
«Dove sei?»
«N-Non lo so.»
«Mandami la tua posizione, ti raggiungo subito.»

Quando ricevo il messaggio mi rendo conto che è a venti minuti da casa mia, seppur la trovassi subito e tornassi indietro, dovrei comunque lasciare mia madre da sola in casa per quaranta minuti. Dannazione! Entro nella sua camera da letto e noto che sta dormendo, così le lascio un bigliettino e prego Dio che non le succeda nulla mentre sono fuori. Non me lo perdonerei mai.

Quando raggiungo Dorothy la trovo seduta su una panchina con la testa tra le mani. Mi avvicino e mi inginocchio davanti a lei. «Piccola, ehi.» Quando alza lo sguardo mi si spezza il cuore. Ha gli occhi lucidi e il viso provato, ma non solo, ha un livido sulla guancia e questo mi preoccupa ancora di più. «Ci sono io qui, adesso, vieni.» La stringo forte e lei si lascia andare contro il mio petto. Le accarezzo la schiena e i capelli, lasciandole qualche bacio sulla fronte per rassicurarla. Ci mette un po' per calmarsi, ma poi drizza la schiena e mi guarda. «N-Non voglio tornare a casa.»

«È successo qualcosa?» Annuisce. «Ti va di parlarne?»
«Sì, pe-però è una storia lu-nga.»

Il mio cuore è un pazzo che continua a battere forte facendomi provare cose che non ho mai sentito. La mia anima avverte tutto il dolore che sprigiona quella di Dory. La mia pelle brucia al contatto con le sue lacrime. I miei occhi tremano quando si immergono nei suoi. «Vieni con me, ti porto a casa mia.» In un'altra situazione ci avrei pensato su ottantamila volte, ma in questo momento, tutto ciò che desidero è saperla al sicuro, accanto a me.

«Da-Davvero? N-Non voglio che pe-pensi che...»
«Zitta, ragazzina, vieni con me.» Le bacio la guancia tumefatta e la porto via da lì.

Per fortuna mia madre dorme ancora quando rientriamo. Preparo una tazza di camomilla calda per Dory e gliela porgo dopo esserci seduti sul divano.

La storia che mi racconta tra le lacrime e i singhiozzi ha dell'inverosimile, ma è tutto reale. Le credo perché nei suoi occhi leggo tristezza, rabbia, rimpianto e senso di colpa. Inizia a raccontarmi della sua amica Maddy, di quello che è successo la sera del suo compleanno e di quello che ha comportato vivere con il senso di colpa e termina con quello che è successo stasera con Lily. Mi spezza il cuore a pensare cosa ha dovuto provare, sopportare, vivere, il dolore che sente nel petto.

«Non è colpa tua, Dory. Quello che è successo a Maddy non è colpa tua», le ripeto con sicurezza sottolineando le ultime parole, perché devono entrarle bene in quella testolina.

«Invece sì, avrei dovuto aiutarla, avrei dovuto mettermi in mezzo, starle accanto, salvarla e raccontare la verità alla polizia, invece ho taciuto, sono anche io responsabile.»

«Non dirlo, non è così, tu non hai colpe, tuo padre... è stato lui.» Dio, solo al pensiero di quell'uomo la rabbia inizia a prendere vita dentro di me.

Come il cielo sopra di noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora