Capitolo 8

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Dorothy

2 mesi prima

10h prima della fine
H: 13.00

«Shopping compulsivo, fatto!» Maddy ha creato una lista di cosa da fare e il primo punto lo abbiamo appena portata a termine. «Ora direi: pranzo da Pizza che passione

«Oh, sì, ti prego!», esclamo euforica. Quello è il mio posto preferito e la pizza è deliziosa. I proprietari sono italiani e da quando ho assaggiato la loro non la mangio più da nessun'altra parte.

«Il miglior compleanno di sempre», confesso sorridente alla mia migliore amica. Non avrei potuto chiedere di meglio: niente feste sfarzose o piene di persone di cui non me ne frega niente. Lei mi conosce, sa cosa mi piace, cosa mi appassiona. Solo lei con costanza e impegno, contro ogni mio muro, ogni barriera che costruisco con dedizione, ci si fionda a capofitto finché anche la minima parte ne viene distrutta.

Maddy è così decisa, a volte la invidio, perché ha un carattere così estroverso, pieno di vita, solare, mentre delle due io sono quella con il muso lungo, permalosa, spesso arrabbiata con il mondo intero e che non trova il suo posto nel mondo.

«A che pensi?»
«Che vorrei essere come te.»
«Come me?» Annuisco decisa. «Non è un grande affare, sai?»
«Ma che dici? Non vedi quanto tu sia perfetta?»

Lei sospira e, dopo essersi pulita delicatamente le labbra con un tovagliolo, aggiunge: «La perfezione non esiste, a volte le persone nascondono fragilità e tormenti dietro un carattere solare e stravagante. Non è tutto oro quello che luccica, anche il riflesso del sole sul mare emana sberluccichii, ma non potrai mai raccoglierli.»

Ascolto le sue parole senza battere ciglio. Forse sta parlando di lei? Forse qualcosa la tormenta e io non me ne sono mai accorta?


Oggi

Non so perché sto aspettando con ansia l'ora degli allenamenti, o forse lo so, ma non ho il coraggio di ammetterlo a me stessa. Dopo quel momento così intimo e profondo che abbiamo vissuto su quella terrazza e l'ennesimo bacio mancato, non faccio altro che pensare a lui, a quei due profondissimi occhi scuri e ogni volta che la sua immagine viene a bussare alle porte della mia memoria, mi sembra di rivivere quei momenti e di sentirmi in pace.

Stanotte mi è successo di sognare il nostro incontro alla festa e di vederne il proseguimento: noi che ci baciamo all'inizio con dolcezza, che man mano diventa sempre più una questione di denti, decisione, potere. Lui mi stringe i fianchi, io che infilo le dita tra i suoi capelli. Un bacio sempre più passionale.

«Ma era solo un sogno», borbotto mentre mi dirigo velocemente verso la palestra.

Quando arrivo, noto subito la sua auto nel parcheggio e sorrido al ricordo di quel pomeriggio di pioggia.

Mentre mi preparo per la nostra lezione, sono un fascio di nervi e penso a come dovrei comportarmi. Dovrei salutarlo, sorridergli e dirgli che... Oh, no, risulterei una bambina alla sua cotta adolescenziale. Devo comportarmi da adulta, ecco cosa devo fare. Annuisco alla me riflessa nello specchio e lo raggiungo in saletta. Lui è intento ad allenare i suoi addominali obliqui. Giù, su, destra, giù, su, sinistra ed ecco che mi vede mentre sono intenta a osservare la perfezione del suo corpo lambito da goccioline di sudore. Avvampo e vergogno di me stessa, ma se tornassi indietro lo rifarei, perché non avrò altri momenti o modi per poterlo vedere così. «Ehm...», tossicchio per attirare la sua attenzione e lui si rimette in piedi, sistemandosi un asciugamano sul collo.

«Pronta?»
«Mh, cosa si fa oggi?»
«Circuito gambe e poi inziamo con il sacco veloce, che ne dici?»
«Davvero?» Resto a bocca aperta.
«Vuoi imparare a boxare come si deve?», mi domanda con sicurezza, guardandomi dritto negli occhi.
«Sì, lo voglio.» Cosa voglio? Oddio, perché sto andando in fiamme?
«Ti senti bene, Dory?» Mi si avvicina. Non di nuovo, non farlo, potrei perdere la poca lucidità rimasta. «Dorothy?», mi richiama.

«Sto bene, iniziamo?» Faccio un passo indietro. Sì, mi sto comportando come la ragazzina che sono e lui invece come un uomo maturo. Come potrei pretendere che mi guardi in nel modo in cui io guardo lui.

«Ottimo, dieci minuti di riscaldamento e poi partiamo.» Mi fa cenno di andare sul tappetino.

A ogni ripetizione cerco il suo sguardo, ma lui sembra schivo, lontano, immerso nei suoi pensieri, nei suoi problemi. Finita la parte di gambe mi spiega come lavorare al sacco veloce. È la prima volta che lo uso e subito mi rendo conto di quanto sia complessa la coordinazione e solo dopo un paio di tentativi riesco a trovare il ritmo: pugno, gamba, sguardo.

Alla fine dell'allenamento ho le gambe in fiamme e i capelli che grondano di sudore, ma penso subito a chiedergli se ha qualcosa che non va.

«Eh?»
«Sembri strano, diverso dal solito.»
«Solito?» Alza un sopracciglio.
«Sì, insomma...»

«Pensi di conoscermi, Dorothy Sanders?» Il tono dolce e comprensivo che di solito usa con me, viene sostituito da uno più duro e freddo.

«Oh, ehm, io... Non...»

«No, non mi conosci, quindi questa presunzione tienila per te.» Non è brusco, è solo diretto e, cavolo, fa male. Non rispondo e, come al mio solito, scappo via.

Non mi rendo nemmeno conto delle lacrime che fanno capolino sulle mie guance perché lascio che si mescolino all'acqua della doccia. Sono la solita cretina, illusa. Non merito nulla da questa vita, lo so io, lo sanno loro e mi odio per questo. Odio che tutte le volte che mi rendo conto dello schifo che fa la mia realtà, piango, piango e poi continuo a sguazzarci dentro. Ma non ho la forza, non sono ingrado di prendere in mano le redini del gioco e lascio che siano gli altri a condurre le danze.

Cerco di darmi una sistemata e rendermi il più presentabile possibile, infilo la felpa e sistemo il cappuccio sulla testa prima di uscire dagli spogliatoi.

Non faccio in tempo ad avvertire il freddo della sera sulla mia pelle che la sua voce mi percuote corpo e anima.

«Dory...» Mi volto senza dire una parola, perché sento le lacrime pronte a bagnare di nuovo il mio viso. «Mi dispiace, per quello che ho detto prima, io...» Si avvicina, ma non mi tocca, resta solo a un passo da me. «È un periodo... Difficile e me la sono presa con te, non avrei dovuto.»

«N-Non fa niente», mento abbassando lo sguardo.

«Invece fa...» Avverto la sua mano sul mio viso e quel semplice gesto è capace di rimettere insieme i cocci della mia anima. «Scusa.» Fa pressione e mi fa alzare lo sguardo per incrociare i miei occhi lucidi. «Scusa, Dory.»

«Ti perdono, Damon.» La voce mi esce un po' tremante.

«Ti va di andare a fare una passeggiata?»

Cosa? Una passeggiata? Non me lo aspettavo.Deglutisco e annuisco senza riuscire a nascondere un sorriso. 

Come il cielo sopra di noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora