Capitolo 12

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Dorothy

Sono sdraiata sul letto a leggere un libro quando la porta della mia camera si apre. «Ehi, bambina mia.» La voce di mia madre mi fa alzare lo sguardo. «Tutto bene?»

«Oh, sì... Ehm, tu? Come stai?» Nonostante il suo tono di voce sia tranquillo, il suo colorito meno pallido e il suo sorriso mi sembri sincero, ho sempre paura che possa stare male.
«Non importa, ora sei tu a non stare bene e io devo fare la madre.»
«Ma cosa stai dicendo?» Corrugo la fronte e la fisso interdetta.
«Quello che hai capito. Come mai stai chiusa in camera da settimane ormai?»

Faccio spallucce. «Papà non vuole che esca e...» Lascio la frase a metà, perché ammettere che sto ubbidendo mi fa incazzare.

«E?» Si siede accanto a me e mi accarezza fare materno la schiena. Realizzo solo adesso quanto mi sia mancata mia madre, la donna che ora è seduta accanto a me e non la persona che è nei momenti grigi. Mi sento egoista anche solo a pensarlo, ma è la verità.

«Non so, preferisco non farlo arrabbiare, sai...»
«Ti ha...» Non conclude la frase e io non riesco a mentirle.
«Solo uno schiaffo.»
«Oddio, tesoro.» Mi accarezza la guancia come a voler lenire il dolore che provo nell'anima per quel gesto che mi ha spezzata in due l'anima e il cuore.
«Non fa niente.»
«Hai smesso anche gli allenamenti?»
«Sì, ma non fa niente», ripeto più a me stessa che a lei.

Lei sospira e scuote la testa. «Hai diciotto anni, devi vivere la tua vita e lui non dovrebbe comportarsi così, non ne ha nessun diritto.»
«Mamma, ti prego», piagnucolo. Non voglio che ci litighi.

«No, piccola mia. Io voglio che tu esca da qui, non voglio che ti chiuda in te stessa, che butti all'aria gli anni più belli della tua vita, che tu non faccia le tue esperienze.» Si alza in piedi con una determinazione che non le vedevo sprigionare ormai da mesi.

«Mamma...»
«Gli parlerò io: non devi preoccuparti di nulla. Voglio che tu sia felice.»
«Felice?»
«Sì, felice. Cosa ti renderebbe così, Dory?»

Mi mordicchio il labbro, perché la prima immagine che mi si palesa davanti è il suo viso, quello di Damon.

«Tesoro, devi dirmi qualcosa?» Mi sorride e torna seduta accanto a me. Il tono si addolcisce di nuovo e la rabbia che prova per mio padre viene messa per un istante da parte.
«I-Io, no...» Arrossisco in maniera violenta.
«Sicura?»
Deglutisco. «Ho conosciuto un ragazzo.»
«Chi? Il tuo allenatore di box?»

Sgrano gli occhi e sbatto le palpebre, incredula. «Ma come...?»
«Beh, il modo in cui vi guardavate al ricevimento... Ha lasciato intendere tante cose.»
«Ci guardavamo?»

Lei mi fa un occhiolino e mi lascia un bacio sulla fronte. «Sii felice, costi quel che costi.» E se ne va, lasciandomi da sola con mille pensieri e migliaia di domande senza risposta.


Passano altri giorni prima che mio padre mi lasci finalmente libera di vivere di nuovo la mia vita, a patto che almeno un paio di sere a settimana torni a casa per cena. Accetto, anche se in questi giorni passare quelle ore insieme a lui mi è risultato così finto e artefatto, con mia madre che fingeva che fosse tutto a posto e mio padre che non si è nemmeno una volta scusato per tutto quello che ha fatto a noi e alla nostra famiglia.

Torno finalmente a pranzare all'ombra del mio albero preferito del parco. Sgranocchio il mio tramezzino e intanto fisso lo schermo del cellulare indecisa sullo scrivere o meno a Damon. Ho avvisato Sammy del mio ritorno e sembra essere tutto a posto, ma temo che sia lui a non voler più allenare me, o addirittura che possa aver trovato un'altra persona.

Come il cielo sopra di noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora