Capitolo 7

348 45 28
                                    

Fino a quel momento sembrava tutto perfetto, ma nella vita nulla lo è.
La mattina seguente, alle sei, Harry ricevette una chiamata da sua sorella Gemma.
Sua madre ci aveva lasciati.
Era accaduto tutto durante la notte che noi due passammo abbracciati.
«Una delle morti migliori è quella di morire nel sonno.» si ostinava a ripetere il dottor Hood per telefono.
Mi sentivo completamente fuori posto.
Abbracciavo Harry, lo consolavo. Eravamo seduti sul letto di sua madre, ancora mezzi addormentati.
«Adesso starà sicuramente meglio, Harry.» non aveva più detto una parola da quando Gemma lo chiamò.
«Non è giusto. Perché le persone così buone devono andare via?»
«Tutti andremo via prima o poi.»
«Mi sento in colpa Harry.»
«Perché mai?» mi accarezzò una guancia.
«Perché hai passato la giornata con me invece che con tua madre.»
«No, non devi sentirti così. Mia madre non se l'è presa. Sono stata con lei sempre.»
Lo abbracciai ancora forte e ci vestimmo per andare in ospedale.
«Non ancora riesco a realizzare che lei è davvero andata via. Come farò adesso?»
«Ce la farai! La morte è solo un passaggio Harry.»
«Non avere qualcuno vicino non impedisce di averlo dentro.» continuai e lui annuì.
Le strade di Londra iniziarono a riempirsi di gente che andava a lavoro.
«Mia madre non ha mai avuto paura di morire. È sempre stata pronta.»
«Lei era coraggiosa Harry e il coraggio l'ha trasmesso anche a te.»
Lui annuì guidando attentamente.
«Mia madre mi diceva sempre che nella vita non si smette mai di essere ammalati.»
«Che significa?»
«Non malattie nel vero senso della parola. Ci si può anche ammalare di una persona, di una cosa, o nel nostro caso del mare.»
«E non si guarisce mai?» scendemmo dall'auto ed entrammo in ospedale.
«Diceva che si guarisce ammalandosi di altro.» raggiungemmo velocemente la stanza della madre.

**

Il funerale di Anne avvenne il giorno dopo.
C'era molta gente, segno che era amata da molti.
Gemma piangeva ed era consolata dal marito.
Harry invece aveva un'aria di chi non ci stava capendo nulla, un'aria di chi non voleva accettare quello che era successo.
Io ero convinta che sua madre era il suo faro.
Era lei. Nessun altro.
Solo che lei ora non c'era più.
La pioggia londinese iniziò a cadere sempre più fitta dal cielo e le persone lasciavano il cimitero velocemente.
«Scusami Harry, ma io non ce la faccio.» disse Gemma lasciando quel posto insieme alla sua famiglia.
Eravamo noi due seduti sulla panchina a fissare il vuoto, sotto un ombrello.
Lo abbracciai e posai la testa sulla sua spalla destra.
Lui ricambiò il gesto e mi strinse.
«Andiamo via di qui.» disse velocemente e camminammo lungo il Tamigi. Non ci interessava nulla del brutto tempo.
«E tu di cosa sei ammalato?» chiesi riprendendo il discorso del giorno precedente.
Lui prese un respiro profondo e mi guardò con quei suoi grandi occhi verdi.
«Credo che mi sto ammalando di nuovo.»
«Di cosa?» lui accennò un piccolo sorriso.
«Tu di cosa sei ammalata?» rivolse a me la domanda e scrollai le spalle, iniziando a pensarci su.
«Di tante cose, forse troppe.»
«Dimmele, se vuoi.»
«Be', del mare, di mio fratello, del tramonto e forse di una persona.»
Lui mi accarezzò e avvicinò il suo volto al mio.
«Forse sono già ammalato.» ammise.
«Però non voglio più guarire se è così.» continuò.
«E di cosa sei ammalato?»

«Di te, Shir.» smettemmo di camminare. Lo guardai.
Quasi riuscivo a vedere il mare nei suoi occhi verdi.
Ci avvicinammo in una lentezza che a me parse infinita. Strofinò la sua punta del naso contro la mia, mi guardò un'ultima volta prima di unire le nostre labbra in un dolce bacio.
Man mano che i secondi passavano, aumentava la voglia di memorizzare ogni centimetro dell'altro e così il bacio divenne più ampio, pieno di amore e le nostre lingue si accarezzavano dolcemente.
Sentivo un'emozione stranissima, mi sentivo leggera, quasi ubriaca.
Ci staccammo e fece combaciare le nostre fronti.
Lo abbracciai forte.
Il cuore mi batteva forte e i nostri respiri erano sincronizzati.
Non avevamo bisogno di parole noi, ci bastava uno sguardo, un gesto, per capirci.
«Non voglio ripartire.» Ammisi.
Harry spalancò gli occhi.
Raggiungemmo velocemente l'auto e guidò verso casa sua.
«Quando parti?»
«Domani.»
«Domani?!»

Letters.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora