Capitolo 30

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Shirley.

Mi svegliai improvvisamente, ritrovandomi in una stanza priva di immobiliari. I muri erano grigi e c'era una porta dello stesso colore dall'altro lato della stanza, che si mimetizzava con il resto.
Ero seduta per terra con la schiena contro il muro.
Indossavo un vestito morbido e largo interamente bianco con un logo a me sconosciuto sul seno sinistro che raffigurava una 'A' in corsivo. Al polso avevo un braccialetto bianco di plastica con il numero 378 su di esso.
Faceva molto freddo e non riuscivo a capire dove mi trovassi, né chi mi ci aveva portato, né cosa era successo.
Avevo solamente uno sfocato ricordo di Louis che cantava alla festa, poi più niente.
Non c'erano finestre e mi sentivo soffocare.
A stento cercai di alzarmi, ma con scarsi risultati dato che le mie gambe sembravano cedere.
Quanto tempo era passato?
Cosa era successo a Zayn?
Cercai di gattonare per riuscire a raggiungere la porta.
Era la mia unica speranza.
Dopo molta fatica, arrivai e provai a raggiungere la maniglia.
La porta era chiusa a chiave, giustamente.
Sentii dei passi avvicinarsi a me e di conseguenza scattai all'indietro.
Qualcuno si fermò davanti la stanza dove mi trovavo e fece scorrere una parte del metallo della porta, in modo da mostrare solamente gli occhi color mandorla, per poi richiuderla.
Sembrava giovane, un ragazzo probabilmente.
«È sveglia.» disse poi a qualcun altro. La sua voce era dolce e gentile, in netto contrasto con il grigio circostante.
Presto un'altra parte del metallo della porta si aprì e fecero scivolare al di sotto un vassoio con del cibo dentro e un po' d'acqua.
Mi affrettai verso il rettangolare oggetto e mangiai con foga.
Ero esausta nonostante non avessi fatto nulla. Ma forse era proprio questo il motivo.
Ero esausta psicologicamente.
«Grazie!» gridai.
«Di niente,» sussurrò lo stesso ragazzo. Aprì di nuovo quel piccolo sportellino per gli occhi, in modo da vedermi e scorsi un sorriso.
«Come ti chiami?» sussurrò.
«Shirley,» sussurrai altrettanto, finendo il mio pasto. Era pranzo o cena? Che giorno era? Dove mi trovavo?
«Cosa stai facendo?!» una voce di un uomo al di fuori fece sobbalzare entrambi e lui chiuse subito lo sportellino.
«Niente, signore.»
«Non hai il diritto di parlarle.»
«Le ho solo consegnato il cibo. Devo controllarla.»
«Fai bene il tuo lavoro, o saranno guai per te.» lo minacciò l'uomo.
Il ragazzo dagli occhi nocciola aspettò che quest'ultimo scomparisse, per poi rivolgermi la parola di nuovo.
«Ti senti bene?»
Annuii.
«Saresti così gentile da dirmi che ore sono, dove mi trovo e che giorno è?» domandai sarcastica.
«Posso risponderti solamente alla prima e la seconda. Be', in teoria non potrei parlarti ma lo faccio.» dalla voce sembrava simpatico.
«Sono le due di pomeriggio ed è mercoledì.»
«Mercoledì?!»
«Sì, è passata quasi una settimana da quando non ti ricordi più nulla.»
Mi vennero le lacrime agli occhi al pensiero degli altri.
Harry stava già soffrendo troppo.
Mi mancava come l'aria e chissà dove si trovava adesso e se stava bene e con chi stava.
Se stava male, se stava piangendo, se stava urlando, se mi stava cercando.
«Cosa devo fare qui? Dov'è Zayn?»
«Zayn è in una stanza come questa.»
«Potresti almeno dirmi il paese in cui mi trovo?» lui si guardò attorno per controllare se fosse solo. Come si tirò indietro potei vedere i suoi lineamenti delicati, il suo naso piccolo e leggermente all'insù. Era davvero carino. Poi parlò.
«Inghilterra.» spalancai gli occhi.
Il suo cellulare iniziò a vibrare e richiuse immediatamente lo sportellino.
«Sì, certo. ... D'accordo... Subito. Arrivo, capo.»
«Inghilterra?! Come ci sono arrivata qui?» dissi in preda al panico, dopo che ebbe riattaccato.
«Devo andare, spero di rivederti ancora qui.»
«Cosa? Che significa tutto questo? Chi mi ha portato qui!?» mi sentivo come un animale in trappola.
«Ciao, Shirley.» corse via.
«Posso sapere almeno il tuo nome?»
Gridai, ma non tornò indietro.
Iniziai a piangere per la paura. Chi era quel ragazzo? Chi mi aveva portato qui? Cosa era successo a Zayn?
Mi addormentai di nuovo, sul freddo pavimento.

Passarono due noiosi giorni e di quel ragazzo nemmeno l'ombra.
Solo scortesi uomini che lanciavano cibo. Potei percepire la presenza di altre stanze oltre alla mia, una di fianco all'altra, dato che si fermavano ogni tre passi per dare da mangiare ad altre persone nella mia situazione.
Il ragazzo dagli occhi nocciola era stato l'unico che mi aveva dimostrato un po' di gentilezza.
Il ragazzo dagli occhi nocciola era stato l'unico ad avermi spiegato in fretta e furia, contro le regole, dove stavo.
Il ragazzo dagli occhi nocciola era scomparso.

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