Capitolo 56

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Seth

L'unica volta in cui avevo sentito il cuore essermi strappato dal petto era stato quando avevo visto Daphne in quella vasca da bagno con i polsi tagliati e l'acqua sporca di sangue.
Poi, avevo smesso di sentire. Tutto attorno a me era diventato nero, o grigio quando andava meglio. Provavo solo rabbia e adrenalina quando scopavo, ma quella era data dall'alcool o dalla droga, pesante o leggera che fosse. Non sapevo cosa fossero i sentimenti. Tra i miei amici ci si diceva ti voglio bene, fratello ma era in modo scherzoso, anche se era la verità. Avevo iniziato a sentire qualcosa, una cordicella vibrare, un calore spargersi nel petto e sciogliere qualcosa che non pensavo potesse funzionare, quando Nyxlie era entrata nella mia vita. Quando io l'avevo fatta entrare. Lei emanava quella luce, quella passione, quella dolcezza che non mi era mai interessato cercare. Era il mio opposto. Se io ero nero, lei era bianco. Se io ero la notte, lei era il giorno. Se io ero un mostro, lei era una principessa.

Quando entrai in macchina, dopo essere uscito dalla sua proprietà, mi sembrò di essere tornato in quel bagno. Non respiravo. Sentivo un dolore al petto che sapevo provenisse da quel muscolo che aveva bisogno di lei per poter vivere. Era come se mi fossi strappato la mia bombola d'ossigeno. Mi ero lacerato il petto e mi ero strappato il cuore da solo. Lo avevo fatto io tutto quello. Non era colpa di nessun altro se non delle mie azioni e del mio egoismo. Non staresti cosi se l'avessi fatto tempo fa, mi ricordò una vocina nella testa.

Sentivo ancora la sua voce, il modo in cui mi stringeva con quelle gambe sottili. Sentivo il suo calore tra le cosce, i suoi ansimi. La sua voce che sussurrava il mio nome in quel modo indecente. Vedevo i suoi occhi blu circondati dalle ciglia ricurve, quelli che avevo sognato tutte le notti. Sentii le mie dita tracciare ancora le sue curve, fermarsi dove la carne si riempiva e massaggiare quelle aree che mi facevano appannare la sanità mentale. Era così bella. Cosi piccola ma forte. Era qualcosa di troppo speciale da essere rovinata dalle mie mani. Eppure, faceva male, cazzo. L'autocontrollo e il coraggio che ebbi nel lasciarla su quel divano e baciarla per l'ultima volta, non l'avrei più avuto.

Sentii qualcosa di bagnato sulle guance e mi passai velocemente le mani sul viso, come se potesse cancellare veramente il dolore che provavo. Poi strinsi con forza il volante e mi lasciai casa sua alle spalle.

Avevo ancora una cosa da fare prima di lasciare Boston.

Quando arrivai a destinazione, mi resi conto quanto forse io e lui fossimo più simili di quanto immaginassi. Parcheggiai e poi entrai nel vialetto di una piccola casa a due piani. Sul giardino frontale c'era una grande finestra con le tende tirate perciò non vidi se ci fosse qualcuno. Suonai il campanello e aspettai. Tra le mani avevo quel pezzo di carta che avrei voluto strappare ma mi ripetei che lo stavo facendo per lei.

Quando si aprì la porta mi trovai di fronte proprio chi stavo cercando.

Lui era visibilmente scioccato. «Seth? Che ci fai qui?»

«Scusa per l'orario. Sono passato per darti questo.» La mia voce uscì distaccata mentre allungavo il braccio e gli consegnavo la busta.

Presto il suo stupore svanì e dopo aver analizzato il mio viso, e collo, si rabbuiò e aggrottò la fronte.

«Sei stato da lei?»

«Si. Puoi prendere questa lettera?» Risposi, sentendo la pazienza iniziare a scemare.

Jace continuò a guardarmi, facendomi innervosire. Mi passai una mano tra i capelli.

«Senti--»

«Non stai bene, Seth.»

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