Capitolo 3

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Fin da quando avevo memoria i miei genitori avevano sempre preso decisioni per me. All'età di sei anni mia madre mi aveva iscritto a danza perchè, secondo lei, era l'attività più adeguata ad una ragazza. Mi avrebbe insegnato il rigore, l'eleganza e il duro lavoro. In realtà voleva solo usarmi come specchio e farmi essere ciò che lei non era mai potuta diventare. Avrebbe voluto ballare in teatri ad alto livello, ma si ruppe una gamba a quindici anni spezzando per sempre il suo sogno. Perciò, provò a riviverlo su di me. A differenza sua, però, a me la danza non piaceva. Ero sì portata, avevo avuto anche buone chance di poter andare a studiare in importanti teatri europei ma non mi emozionava come lei avrebbe voluto, non mi dava niente. La facevo solo perchè era un suo volere, e quindi per me un dovere. Ma all'età di quindici anni, smisi. Fu difficile all'inizio. Mia madre la prese sul personale, dicendomi che fossi un'ingrata perchè era l'unica cosa che voleva da me e non ero nemmeno riuscita a dargliela. Non era l'unica ma dettagli. Mio padre, come sempre, non si espose su quella scelta ma mi chiese cosa avrei voluto fare perchè obbligatoriamente avrei dovuto fare uno sport. Il corpo andava tenuto in forma e non voleva assolutamente che io poltrissi sul divano, come diceva lui quelle poche volte che tornava a casa presto e mi trovava avere un momento libero.

Ma la risposta a quella domanda non era un problema per me. 

Da quando avevo otto anni più o meno, quasi tutti le domeniche andavamo ai brunch che organizzava la famiglia Fletcher. Harold Fletcher era socio in affari con mio padre e per questo trascorrevamo molto tempo con loro. Avevano anche un figlio della mia età: William. La moglie di Harold aveva un maneggio che ereditò dai suoi genitori. Così, nel pomeriggio, terminato il tutto, sua moglie, William ed io andavamo lì. Trovavo i cavalli degli animali intelligentissimi e preferivo passare più tempo con loro che con le persone. All'inizio, facevamo solo delle passeggiate, facendomi spiegare anche le tecniche base. Verso i dodici anni, all'insaputa dei miei genitori, iniziai a prendere anche delle vere e proprie lezioni con lo scopo di studiare salto agli ostacoli. Guardavo moltissimi video e competizioni e per qualche motivo me ne innamorai subito. L'adrenalina che mi dava era qualcosa che con la danza non avevo mai sentito. Tra le lezioni di danza e queste, il mio corpo era sempre dolorante e stanco ma non avevo ancora il coraggio di dire addio alla danza, soprattutto sapendo che avrebbe spezzato il cuore a mia madre e le sue idee. Ma, appunto, a quindici anni lo feci e dissi a mio padre ciò che avrei voluto fare, mia madre non ne volle più sapere e lasciò la decisione finale in mano a lui. Fu probabilmente l'unica volta che mi ascoltò e mi lasciò praticare quello sport. Studiai fino allo scorso quando in quanto le competizioni mi portavano via molto tempo al college, così andavo solo a trotto ogni volta che volevo schiarirmi le idee e allontanarmi dal marcio che girava attorno alla mia famiglia e che in quegli anni aveva intaccato anche me. 

Quel sabato mi ero svegliata con una gran voglia di perdermi in qualche bosco e stare da sola con me stessa. Era passata la prima settimana di college e volevo staccare la spina nell'unico modo che sapeva mettermi buon umore. Mentre facevo colazione avevo cercato delle scuderie e l'unica vicina era a due ore con i mezzi, non avendo la macchina era l'unica opzione che avevo.

Mi trovavo da dieci minuti ad una fermata di un pullman che sarebbe dovuto arrivare almeno cinque minuti fa. Dovevo prendere tre mezzi diversi perciò non potevo perdere molto tempo altrimenti avrei perso le coincidenze.

Poi, una vettura si fermò davanti al marciapiede ma non era un pullman. Era un'Audi nera sportiva. Quando il finestrino si abbassò, incrociai gli occhi neri di Seth e il suo irritante sorriso.

«Ehi, Peach.»

Alzai la mano in un segno di saluto finchè non mi accorsi di un'altra persona che si sporse verso il finestrino e agitò una mano. Era uno dei ragazzi che avevo intravisto insieme a lui da Starbucks. 

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