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Intanto, al di là della manica, lungo le coste della Francia settentrionale, una donna dal malinconico sguardo, guardava l'infinito orizzonte. L'ombra della sua figura longilinea si stagliava sulla dorata sabbia francese, i suoi lunghi capelli danzavano nell'aria come fulvi fili di seta, mentre un gelido vento di tramontana sfiorava il suo corpo sinuoso, stretto in una morsa di freddo.

Dai suoi occhi di ghiaccio si scioglieva una lacrima, sul suo volto si scorgeva appena l'ombra del sorriso della ridente fanciulla che, come una dea d'immortale bellezza, gioisce serenamente da un ritratto su di un vecchio camino nella periferia di Londra.

Inevitabilmente pensava a quel giorno, quel terribile giorno che, come un'eco di sirene, si perpetuava all'infinito nella sua mente.

Si stringeva, quasi cullandosi, chiuse gli occhi, e per un istante respirò l'aria salina del mare; fece scivolare una mano tra i capelli, per lenire quella ferita che non si rimarginava, provando a scacciar via, come spettri del passato, quei ricordi tanto dolorosi.

La donna sentiva un nodo in gola, una morsa allo stomaco, un senso di nausea e tanta voglia di piangere, continuava a sperare di poter dimenticare quella notte.

«Madame, Madame! Je vous prie, vous rentrez en maison, vous vous prendrez une maladie!» le gridava Benedicte, che giungeva dalla casa, stringendo tra le mani uno scialle avorio.

«Lo senti anche tu Benedicte?» le domandava la donna, con aria trasognante, lasciandosi accarezzare dalla fresca brezza marina.

«Que, Madame?» sussurro Benedicte avvicinandosi, scorgendo quello sguardo ossesso.

«Il vento» sussurrò la donna «È la tramontana!» le disse voltandosi verso di lei. «È la tramontana, che porta finalmente il bel tempo!»

Dopo che Benedicte avvolse la donna nel caldo scialle avana, insieme si avviarono verso casa, verso quell'elegante prigione, che dominava dall'alto le frastagliate coste francesi come un castello su una roccaforte.

La casa era un palazzetto bianco in stile classico, la facciata dell'edificio aveva due ordini di finestre, che davano sugli ampi giardini giapponesi, sormontate dal grande attico verde, intervallato, nella parte centrale, da un'ampia cupola in opale nobile.

Le donne lentamente salivano la scala in legno che ascendeva la collina sulla quale era sovrapposta la casa.

Giunte alla porta-finestra, Benedicte la spinse, facendola scorrere lungo il binario: il calore dell'interno le avvolse, nel camino ardevano dei ceppi di legno, che diffondevano nell'ambiente l'inconfondibile aroma del pino selvatico; il grande salone era vuoto, sul divano di damasco rosso un libro affondava nel morbido cuscino in tinta, mentre una tazza di tè si era ormai raffreddata nell'attesa di essere bevuta calda.

«Sedetevi, Madame» ordinò Benedicte, preoccupata per la salute della donna.

«Sedetevi» ripeté, indicandole il divano. «Io intanto preparo una tazza di tè» le disse, portando con sé il vassoio e l'infuso intiepidito.

Sapphire sprofondò sul divano, dinanzi al camino di marmo bianco: sentiva sul viso il tepore del fuoco; chiuse gli occhi, provando a emarginarsi da quella realtà che prepotentemente la avvolgeva. Le sembrò di essere caduta in un sonno profondo, che per qualche istante l'aveva allontanata da quel mondo che tanto fuggiva con disperazione; improvvisamente uno squillo di telefono fece sobbalzare la donna dal divano e, come destatasi da un sonno profonto in piena notte, ritornò alla realtà, attonita.

Il chiarore del fuoco, per qualche istante, la abbagliò. Quando fu completamente sveglia, vide dinanzi a sé Benedicte con il vassoio e una tazza di tè fumante.

Travolti dal destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora