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Sapphire non aveva chiuso occhio tutta la notte, si sentiva in uno stato d'angoscia ed agitazione e, come una preda braccata dai cacciatori, tentava di divincolarsi dalle grida della sua coscienza che non le davano tregua. Si sentiva stanata, esausta, stanca di fuggire nella desolata savana dei suoi rimorsi. Si alzò dal letto ed indossò una vestaglia in organza di seta bianca. Discese le scale nel buio della casa; sentiva la fredda stabilità dei grafini in marmo sotto i piedi nudi, illuminati dalla notte che entrava attraverso le ampie finestre del piano inferiore. Anche il salone era buio, vuoto, senz'anima; Sapphire scivolò con passo felpato tra le sagome scure del mobilio e, tra un divano ed un suppellettile, raggiunse i liquori. Le bottiglie tintinnarono. Ne prese una, un cognac. Se ne versò uno liscio, doppio, in un bicchiere di cristallo tozzo e grosso. Lo bevve in un solo sorso e si sentì come se qualcuno le avesse dato un pugno nello stomaco, ma dopo andò meglio: i nervi sembravano reagire all'alcol distendendosi, dandole un'effimera sensazione di pacatezza e benessere. Se ne versò un secondo e bevve ancora, tutto d'un fiato. Guardò quel bicchiere tarchiato tra le sue piccole mani, e si chiese cosa stesse cercando in quel liquore. Lo scagliò a terra con violenza. Il rumore del cristallo in frantumi echeggiò nel silenzio oscuro del salone. No, l'alcol non avrebbe cambiato le cose, ed anche se ne avesse bevuto al punto di sedare il suo dolore, l'indomani, passata la sbronza, tutto sarebbe rimasto uguale e avrebbe dovuto ricominciare da capo, e così il giorno dopo e quello successivo ancora, in un circolo vizioso senza fine. No, non era in quelle bottiglie che avrebbe trovato la soluzione, e accecata dall'ira rovesciò il carrello in ottone e vetro, lanciando un grido di dolore nella notte della sua disperazione.

Guardò la sua immagine, riflessa nello specchio appeso alla parete sopra i liquori, emergere luminosa dal buio, eterea, in un ieratico aspetto virginale. Nei suoi occhi leggeva il disprezzo per se stessa, per quella stessa colpa di cui anche lei, come Edward, si era macchiata. Se Edward aveva ucciso, anche lei l'aveva fatto: i loro corpi erano animati dallo stesso spirito, un'inscindibile anima divisa nei loro cuori.

"I sintomi ci sono tutti" le aveva detto quel giorno il dottore, dopo il suo malore, alla partenza di Edward. "Prima di sbilanciarmi, vorrei tuttavia fare degli esami accurati in clinica, Signora Valois" proseguì l'uomo con tono cupo. "Qualcosa di grave, dottore?" domandò Sapphire, temendo di aver contratto qualche virus durante il suo viaggio. L'uomo si zittì. Credeva che la donna fosse a conoscenza della sua condizione. Non sapeva come dirglielo, così optò per il modo più indolore possibile "Lei aspetta un bambino, Signora Valois, è incinta". Per un momento la donna provò un sussulto di felicità, quel bambino poteva essere di una sola persona, ed era contenta che non si trattasse di una malattia. "Nel suo grembo sento battere il cuoricino di un altro essere vivente" aggiunse il medico, facendole ascoltare un tamburo impazzito, che batteva al ritmo di una nuova vita, attraverso il suo stetoscopio.

Gli occhi di Sapphire si addolcirono, in una materna espressione di gioia, le sue guance arrossirono, illuminate da un sereno sorriso. "Incinta?" domandò incredula. Quel bambino avrebbe potuto essere la seconda chance che tanto aveva cercato, l'occasione di essere una vera famiglia, andare via da Le Havre e ricominciare tutto da capo, in una nuova casa, in un'altra città, in un altro paese nel quale essere finalmente felici. Liberi di vivere il loro amore alla luce del sole, lontano dai pungenti pregiudizi degli altri, dal loro tribunale dell'ingiustizia che condanna senza uccidere, lasciando morire dentro lentamente.

Sapphire desiderava solo sfilarsi di dosso quella vita, e riprendersi la sua, che vent'anni fa aveva barattato in cambio di un cognome per suo figlio "per quel bastardo" come le ripeté più volte con veemenza suo padre, quando seppe che aspettava un bambino da Edward. "Non lo dovrà mai sapere!" le ordinò quella notte. "Hai capito, Sapphire? Mai!" disse. Da quella notte passarono vent'anni di prigionia e silenzio, esiliata in terra straniera. Ma l'amore di una madre supera ogni ostacolo, soprattutto se quel figlio è l'unico ricordo del solo uomo che abbia mai amato. Nicolas rappresentava quella parte di Edward che nessuno poteva portarle via. Era per Nicolas che aveva taciuto, affinché non fosse lui a pagare il suo sbaglio, l'errore di aver amato incondizionatamente, di aver ritrovato la sua anima tra le braccia di un'altra persona, di aver ritrovato sé stessa accanto ad Edward Anderson.

Travolti dal destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora