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Erano ormai trascorsi sette giorni, da quando quell'inferno d'acqua aveva cambiato la storia e il destino del sud est asiatico. Come un fiore al disgelo della neve, la vita riprendeva il suo percorso alla volta di una nuova primavera. Ovunque si cercava di sopravvivere e dimenticare. Ripresero i primi mercati, si cominciava a sgombrare e ricostruire, si ricercava lentamente di ritornare alla normalità. Per esorcizzare la paura e scacciare via i demoni del passato, la gente del posto con bancarelle improvvisate vendeva per pochi spiccioli dvd con filmati amatoriali di quanto era accaduto.

Qualcuno cercava di ricostruire la propria abitazione e di salvare la propria famiglia, qualcun altro invece aveva l'ingrato compito di seppellire in fosse comuni le vittime di quell'orribile catastrofe per evitare l'eventuale diffusione di malattie infettive.

«Kyoto!» chiamava a gran voce Reiko. Era una settimana che la donna cercava disperatamente la sua bambina, intorno a sé udiva grida, pianti, lamenti, nulla però che la conducesse alla piccola Kyoto. Sebbene il suo cuore non avrebbe mai smesso di sperare, la donna temeva il peggio, ed esausta continuò la sua ricerca.

I soccorsi avevano adibito delle tende a centri di prima accoglienza per tutti i bambini sopravvissuti e rimasti orfani o comunque dispersi. Reiko vi era stata: sperava che Kyoto potesse trovarsi in uno di quei gruppi, ma della piccola purtroppo nessuna traccia o notizia. Aveva avvertito le autorità locali e i diversi enti, ma in quella circostanza il caso della piccola era solo "una goccia nell'oceano", come le aveva detto un volontario. "Faremo comunque del nostro meglio" aggiunse poi per rassicurarla. "Ha solo quattro anni, minuta, caschetto nero, risponde al nome di Kyoto" ribadì ancora una volta la donna disperata: aveva i capelli arruffati, gli occhi arrossati dalla stanchezza, e non mangiava da giorni.

Il rotore di un elicottero della marina americana sovrastava le grida e i pianti di quella gente, fornendo aiuti per lenire quanto meno le ferite del corpo.

Reiko costeggiò la spiaggia, si guardava intorno nel vano tentativo di incrociare lo sguardo di sua figlia. Si addentrò in un recinto. "Proprietà privata" diceva il cartello abbattuto dall'onda. Era un villaggio turistico, o almeno ciò che ne restava. C'erano ancora i resti di qualche cantiere. L'onda non solo aveva fermato i lavori, ma aveva distrutto quanto era stato portato a termine. Tutto era completamente allagato, fradicio, sporco. Si addentrò nella struttura fatiscente, nulla. Quando vi uscì vide all'orizzonte il mare sereno. Chiuse gli occhi e alzò il volto verso il cielo. Sentiva il sole sulla sua pelle, si massaggiò il collo. Ogni muscolo del suo corpo reclamava la stanchezza. "Non devo fermarmi!" si ordinò. Mentre si apprestava ad uscire dalla proprietà sentì un lamento. "Kyoto!" pensò fiduciosa. Avvertì un senso di vertigine. Si sentiva una trottola, erano giorni che girava su se stessa per cercare sua figlia.

Un gemito, "Kyoto", ne seguì un altro, poi un lamento.

«Kyoto, rispondi. La mamma è qui».

Si zittì. Cercava di capire da dove provenissero i lamenti. Aguzzò lo sguardo quasi a voler amplificare le sue capacità uditive. Ma tutto in quel momento sembrava macchinare contro di lei, come se in quell'istante il mondo intero facesse rumore per impedirle di trovare sua figlia. Udiva il pianto ed i lamenti della gente, i soccorritori urlare frenetici, l'elicottero, ma non riusciva a capire da dove provenissero quei gemiti. "Mi sarò sbagliata". Ma il gemito sembrò ripetersi. "Di là!" si disse, dirigendosi verso la struttura. Si fermò qualche metro dopo, e ancora una volta concentrò le sue forze per capire cosa fosse. Un forte fruscio di fogliame. "Che sia un animale?" si domandava intimorita. Una debole voce sembrava aver sussurrato qualcosa.

«Aiutami» sussurrò ancora la voce. Sotto il fogliame fradicio c'era un uomo.

«Oh, mio dio!» esclamò la donna. Raccolse le sue forze e liberò l'uomo che era intrappolato sotto il fusto d'albero. L'uomo le sorrise: «Finalmente sei venuta» disse con un filo di voce.

«Come dice?».

«Sapphire» chiamò.

«Oh, mio dio! Ma è ferito!». L'uomo era agonizzante, riportava unaferita alla testa e aveva perso molto sangue. Era pallido in viso e avevabisogno immediatamente di soccorsi.r

Travolti dal destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora