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JACKSON

L'autunno si stava avvicinando velocemente.

Nell'esatto istante in cui Jackson uscì di casa, cominciarono a cadere le prime gocce d'acqua.

La solita fortuna. Ma da com'era iniziata la giornata, poteva forse aspettarsi diversamente?

Dopo essere arrivato a casa di Aiden in ritardo, salirono infreddoliti in macchina.

«Come mai così silenzioso, Den? Tranquillo, andrà tutto bene. Ci sono io» lo rassicurò Jackson accendendosi la Marlboro.

«Se ti azzardi a ubriacarti o a farti come tuo solito, nel mio locale e nel mio appartamento non metterai mai più piede» ribatté Aiden, inserendo la marcia. «Non scherzo. Ho davvero bisogno di te.»

Jackson aspirò a fondo dalla sigaretta, incavando le guance. Si sporse verso Aiden, toccandogli la gamba e facendo scivolare pericolosamente la mano vicino alla cerniera dei pantaloni. Posò le labbra sul suo orecchio: «Hai bisogno di me nel tuo appartamento... o dentro di te?»

«Smettila» lo fermò Aiden: «Sto guidando, cazzo.»

Divertito, Jackson si rilassò sul sedile canticchiando le note della sua canzone preferita.

Il traffico fu clemente quella sera e arrivarono velocemente al The Whisper. Camden era ancora più affascinante, avvolta da una leggera nebbia e immersa nella pioggia che infradiciava l'aria.

Entrarono dalla porta sul retro.

Lo spazio che Aiden aveva con tanta attenzione ristrutturato era stato in origine una fabbrica in disuso da anni. Le pareti con mattoni a vista erano ricoperte dalle fotografie in bianco e nero di Jackson. Divani e poltrone vintage Chesterfield di pelle color verde, blu, bordeaux e marrone creavano angoli accoglienti, posti intorno a piccoli tavolini ricavati da consunti bancali, il tutto arricchito da un gioco di luci e ombre di vecchie lampade Tiffany.

L'atmosfera era confortevole, intima. Perfetta per fare nuove conoscenze o per fugaci scopate nei bagni in fondo al corridoio.

Il bancone occupava il lato destro del locale. Decine e decine di bottiglie erano accatastate su mensole adagiate contro un grande specchio che rifletteva le luci soffuse del pub.

Era una meraviglia.

Jackson amava quel posto.

Amava sentirsi a casa tra quelle pareti.

Si sentiva più a suo agio lì che nel suo loft, anche se c'era sempre la voce di Aiden in sottofondo a ricordargli quanto fosse svogliato. Si sdraiava sui divanetti e fissava le fotografie con una sigaretta tra le dita e il sapore di Gin Tonic sulle labbra. Guardava per ore le immagini scattate nel corso della sua carriera, rimirava le linee che emergevano dall'ombra del nero per bagnarsi nel bianco della luce. Ritornava con la mente agli attimi in cui si era sentito ispirato da un dettaglio e aveva premuto il pulsante della sua Reflex.

Lui era un tipo da una foto alla volta. Era un tipo da Reflex e rullino da sviluppare nella sua camera oscura. Non esistevano programmi di distorsione della realtà. Non esistevano centinaia di scatti. Non esistevano possibilità. Lui un soggetto lo catturava con l'obiettivo in un'unica, perfetta volta.

Quando raggiungeva l'orgasmico e catartico apice dell'ispirazione trasmessagli da ciò che vedeva, esercitava pressione sul pulsante di scatto.

Click.

Era passato tempo, troppo ormai, dall'ultima volta che aveva scattato una foto. Non riusciva a trovare quel qualcosa o quel qualcuno che lo stimolasse. Il mondo sembrava essere diventato bidimensionale. Non amava ammetterlo, ma la cosa lo spaventava. Aveva bisogno di trovare di nuovo la vibrazione, la vena creativa che aveva sempre sentito pulsare dentro di sé e che ormai era morta. Più si guardava intorno, più vedeva solo grigiore e la stessa noiosa routine.

You Make Me Ache I Crave YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora