20.

70.2K 2K 51.1K
                                    

THOMAS

Si sforzò di trattenere un sorriso mentre svoltava la BMW Serie 4 Coupé nera opaca di Jackson nella stretta via della 102, a Soho.

«Non voglio che tu ci vada in treno a Doncaster. Prendi la mia auto» gli aveva detto Jackson. E lui aveva accettato perché quella macchina aveva il suo profumo, c'erano le sue cose e avrebbero attenuato la mancanza.

C'erano ancora i suoi mozziconi di sigaretta nel portacenere, il cavetto dell'Iphone che pendeva dalla presa USB, un pacchetto di Brooklyn alla cannella infilato nel porta bicchiere e Rumors dei Fleetwood Mac nella radio. Aveva ascoltato quell'album per tutto il viaggio di andata e di ritorno.

Lui e Jackson si bastavano.

Possiamo bastarci. Noi ci bastiamo.

Ma aveva avuto bisogno di quel fine settimana a casa con la sua famiglia dopo quello che era successo con Noah e Zack. Aveva bisogno di sentirsi a casa lontano dal posto dove una casa l'aveva perduta.

Un mugolio proveniente da dentro la felpa lo fece sorridere e abbassò di poco la cerniera. «Resisti. Ancora qualche minuto e ci siamo.»

Parcheggiò l'auto lungo il muro di mattoni davanti alla 102 e si sporse a guardare verso l'alto: una luce fioca proveniva dalle finestre del salone. Era impaziente di vedere la sua faccia: aveva una sorpresa per lui. Jackson era così disilluso dalle persone e dalla vita che non si aspettava mai gesti amorevoli e disinteressati nei suoi confronti.

Tutti gli chiedevano sempre qualcosa in cambio.

Thomas no.

Scese dall'auto, trascinandosi dietro il borsone e stringendo in mano la busta di Sainsbury: voleva preparare la cena per loro due, quella sera. Usò il proprio mazzo di chiavi per aprire il portone, quello che lui gli aveva dato il giorno in cui era partito.

Perché io adesso vivo qui. Alla 102. Con l'amore della mia vita.

Salì le scale in punta di piedi, cercando di fare il più silenziosamente possibile: allungò il collo all'interno del loft dove l'unica luce accesa era quella soffusa dei faretti della cucina. In sottofondo udì la melodia straziante e malinconica di un pianoforte.

«Thomas?!»

Si voltò e gli sorrise. «Ciao, JJ.»

«Sei qui» disse incredulo, fermo a metà della rampa di scale. Indossava dei pantaloncini grigi, una camicia a scacchi aperta sul petto ed i capelli ancora umidi dalla doccia gli ricadevano intorno al viso. Era bello da togliere il respiro.

«Sono a casa.»

Si corsero incontro e si baciarono, abbracciandosi forte fino a quando un lamento di protesta non li interruppe. «Cos'hai nella felpa?» domandò Jackson un attimo prima che dalla cerniera spuntasse il muso di un cucciolo di labrador nero.

«Sorpresa!» esclamò Thomas, sollevandolo in aria. Le zampe erano robuste e sproporzionate rispetto al corpo, le orecchie erano grandissime e gli ricadevano davanti agli occhi vispi. «Lui è Sam.»

Si sarebbe aspettato almeno un sorriso.

Invece Jackson non sorrise, non esultò e non si mosse. Nei suoi occhi verdi calò un'ombra che non assomigliava neanche lontanamente alla felicità e questo lo spaventò tanto da piegargli in due le ginocchia.

«Qualcosa non va?» gli domandò e non seppe dove trovò la forza per parlare anche se la sua voce risuonò come la peggiore delle parodie.

«No...» Scosse la testa e parve destarsi dalla trance. «Scusami, è che non me lo aspettavo.»

You Make Me Ache I Crave YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora