THOMAS
South Kensington.
Quando l'autista della Mercedes svoltò su Cromwell Road, la magnificenza degli edifici storici del quartiere oltre il finestrino venne sostituita dagli alberi vestiti di lucine bianche davanti al Museo di Storia Naturale.
«Non essere nervoso, Thomas. Stai benissimo» lo rassicurò Barbara distogliendolo dai suoi pensieri. Le sorrise e le prese la mano, ma non disse niente. Sedeva nella nuvola di tulle che era il suo abito, tra lui e Noah, ed era splendida.
Noah borbottò qualcosa di incomprensibile: non amava partecipare agli eventi mondani, tantomeno se organizzati dalla sua famiglia. Era lì solo per Thomas e anche se non lo ammetteva a voce alta, per disturbare i genitori, rigidi sostenitori delle etichette sociali, con la sua presenza scomoda. Non aveva tolto il piercing al labbro inferiore, e dallo smoking spuntavano i tatuaggi che gli costellavano il collo e le braccia.
Scesero dall'auto quando un giovane in divisa aprì la portiera e salirono la rampa illuminata da candele bianche protette sotto campane di vetro: all'entrata consegnarono loro delle maschere di velluto nero con sottili ricami dorati. Barbara sembrava entusiasta, lui e Noah molto meno.
«Devo salutare i miei genitori. Vieni con noi, Thomas?»
Avrebbe voluto seguirli per non restare solo, ma doveva cercare Cowell e i colleghi: disse loro che li avrebbe raggiunti più tardi e quando sparirono inghiottiti dalla folla, si guardò attorno. I rumori della festa erano attutiti, come si trovassero tutti in un gigantesco acquario. Tre violoncelliste si esibivano sul mezzanino dello scalone principale e accompagnavano il muoversi elegante degli invitati che passeggiavano tra le fotografie esposte. La prima della serie di trentaquattro era stata scattata da Jackson James Turner e lui l'avevo vista appesa nella 102 di Richmond Mews, dieci giorni prima: un bambino-soldato con la pelle del colore della cioccolata stringeva al petto un fucile con alle spalle i contorni sfocati di un villaggio. Nel sorriso e negli occhi grandi c'era l'innocenza dell'infanzia, tra le braccia la morte. Ricordò di aver pensato che se presentata al giusto pubblico, quella fotografia avrebbe potuto contribuire a cambiare le cose nel mondo: non sapeva se le persone che aveva intorno erano quelle giuste, ma di certo avevano i mezzi economici per fare la differenza.
Si chiese se Jackson fosse tra i presenti, nascosto dietro una maschera: gli altri non sapevano chi fosse né che aspetto avesse, ma lui avrebbe saputo riconoscere i suoi occhi verdi ovunque.
Si morse forse la guancia: negli ultimi giorni si era costretto a resistere alla tentazione di tornare da lui. Non aveva alcun motivo logico per farlo, eppure ce n'erano infiniti irrazionali che gli urlavano di correre a SoHo dall'unico che non gli apparteneva, eppure lo sentiva suo come nient'altro.
Si voltò e improvvisamente gli parve di scorgerlo sul fondo della sala: il cuore gli si fermò in petto, batté le palpebre velocemente e l'attimo dopo lui non c'era più.
Stava impazzendo.
«Reed! Eccoti qui!» esclamò Cowell, trascinandolo in un vortice di noiose presentazioni ed inutili discorsi conditi da un'enfasi bugiarda per il solo scopo di impressionare. I colleghi lo ignorarono come sempre, lui restò in disparte a sorridere e annuire senza prestare attenzione a niente e nessuno. Continuò a cercare Jackson senza mai scorgerlo: doveva essere stato uno scherzo del suo subconscio.
«La storia della mia vita è sentirmi un asino in un branco di regali cavalli bianchi» disse Noah, raggiungendolo finalmente.
«Credimi, è tutto il contrario» osservò. «Immagino non sia andata bene con i tuoi.»
«Preferirei essere ubriaco e svenuto completamente nudo in un vicolo di Camden piuttosto che qui, costretto a parlare con persone che detesto. Il mio vecchio mi sta osservando in questo preciso istante con aria di disapprovazione» indicò un uomo alto con i capelli brizzolati e i suoi stessi occhi turchesi: «Sta tenendo il conto dei miei drink.»
Rise nel vederlo sollevare il bicchiere di Martini alla salute del padre e fece per controbattere quando un movimento catturò la sua attenzione: girò un paio di volte su se stesso, cercando l'ombra che lo aveva distratto.
«Thomas non ti senti bene?» chiese Noah: «Sembri sul punto di svenire.»
«Ho solo bisogno di...» la voce gli si spezzò in gola. Lo vide di nuovo. Sembrava essere lui! Mosse un passo in quella direzione, ma un gruppo di persone si frappose tra loro e quando finalmente si tolsero di mezzo, Jackson era sparito.
Che cosa mi sta capitando?!
«Thomas mi stai spaventando» lo scosse Noah, raggiunto da Barbara: «Ti accompagno a fumare una sigaretta. Un po' di aria ti farà bene.»
«No, sto bene. Scusatemi» si congedò. Non poteva spiegare quello che gli stava capitando perché non avrebbero capito. Recuperò un altro calice di champagne e si rintanò dietro una colonna del loggiato, nella penombra dello scalone: chiuse gli occhi e bevve, lasciando che l'alcool distendesse come un ferro rovente i suoi nervi stropicciati. Poi udì dei passi dietro di lui e smise di respirare.
«Credevo che con la maschera indosso, non mi avresti riconosciuto.»
«Oscar Wilde sosteneva che una maschera ci dice più di un volto» rispose Thomas. Si voltò e nell'incontrare i suoi occhi verdi, pensò di stare guardando la cosa più bella che avesse mai visto: le morbide onde dei capelli mossi gli incorniciavano il volto pallido in parte celato dalla maschera che gli metteva in risalto occhi e labbra.
Gli si avvicinò lentamente. Pochi centimetri li dividevano: «Non credo che questa maschera possa dirti più del mio volto, giornalista» mormorò.
Voleva disperatamente prendergli il volto e baciarlo, fregarsene di qualsiasi discorso, di qualsiasi parola ma non poteva. Fece un passo indietro e la distanza che mise tra loro sembrò ferirlo. «Ne sei sicuro? Perché se non sbaglio, nessuno sa chi è Jackson. La maschera non la indossi solo qui alla festa, ma ogni giorno che vivi là fuori.»
«Cosa mi stai dicendo?»
«Che sei bravo a fingere.»
«Allora perché non fingerci chi vogliamo, stasera? Perché non fingerci chi vorremmo essere per una notte?»
«Io non fingo. Non ne ho bisogno.»
Jackson gli prese il mento tra pollice e indice, costringendolo a guardarlo, e qualcosa in lui si sciolse come cera sottoposta a un calore denso. «Stai tremando, giornalista.»
Era vero. Stava tremando. «Fa freddo» mentì.
«No. Non fa freddo qui.»
Thomas si morse il labbro inferiore e scosse piano la testa. Sollevò una mano e la posò sul petto di Jackson all'altezza del cuore, pretendendo un'intimità che non aveva il diritto di chiedere. Quel gesto inaspettato svestì il fotografo per una frazione di secondo dell'armatura che indossava, e Thomas vide oltre la maschera e seppe di avere le armi per attaccare e abbattere le difese di Jackson James Turner.
Forte di quella consapevolezza parlò senza timore. Senza remore. «Hai ragione, Jackson. Il freddo non è qui» indicò con un cenno del capo l'ambiente intorno a loro prima di premere con decisione la mano contro il suo petto: «Ma dentro di te.»
Parlò con dolcezza, ma per Jackson una carezza fatta di parole era più violenta e demolente di uno schiaffo: l'espressione sul suo viso e nel suo sguardo si fece severa. Si allontanò, spezzando il contatto tra loro. Era spaventato. Terrorizzato da ciò che Thomas gli aveva detto e disorientato dalla precisione di quelle parole.
La maschera che indossava non fu più portatrice di verità, come sosteneva Oscar Wilde.
No, la sua maschera non disse nulla. Assunse la meschina funzione per la quale era stata creata.
Celare. Nascondere. Jackson risollevò le barriere, rintanandosi dietro il muro di pizzo e velluto, spaventato dal giovane che aveva davanti e che l'aveva capito.
Se ne andò.
Lo lasciò solo nella penombra e Thomas poté giurare di aver visto le sue spalle larghe tremare sotto la giacca, scosse da sussulti impercettibili.
Impercettibili a tutti tranne che a me...
«Perdonami, JJ» mormorò alla sua figura che si allontanava e spariva nella folla: «Perdonami se ti ho ferito e se ti ho spezzato il cuore... ma è l'unico modo che conosco per ricordarti che di cuore, ne hai ancora uno.»
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You Make Me Ache I Crave You
RomanceQuesta è la storia di Thomas Reed il giornalista che vive di sogni e di Jackson James Turner, il fotografo che nei sogni non ci crede più. Questa è la storia di Zack Miller, l'artista che non ha paura dei suoi demoni rossi, e di Logan Evans, quello...