CAPITOLO EXTRA INEDITO

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THOMAS

Sabato.


Sollevò lo sguardo.

C'era tanto cielo, sopra di lui.

La continuità monotona delle travi lignee del soffitto era interrotta da un pugno di luce che si apriva nelle finestre sul cielo che quel giorno era azzurro e terso come un drappo tesissimo e senza grinze. Si morse la guancia e sorrise per lo stupore, ma non doveva meravigliarsi. No.

È sempre bello il cielo sopra l'Inghilterra, che ci sia il sole o quando è grigio, cupo e polveroso.

«Che ne dice, Mr Reed? Ora che ha visto l'appartamento, si è finalmente convinto ad acquistarlo?»

Riportato alla realtà dalla voce squillante dell'agente immobiliare, disse qualcosa riguardo il doversi concedere ancora del tempo per decidere. Le parole esatte, però, le dimenticò subito dopo averle pronunciate. Lui era lì perché era un sognatore, e come tale sognava. Questa era la verità.

Sognava di potersi permettere una casa nel cuore di SoHo, dove ogni cosa era vicina, dove Londra svestiva la monumentalità regale delle strade principali e indossava i panni bohémien disordinati, poetici e anticonformisti.

Sognava una casa con una camera da letto dalla quale si riuscisse a vedere il cielo, le nuvole, le stelle. Sognava, ed era un atto masochista, ma i sognatori si fanno del male a ogni slancio di cuore e mente, a ogni fantasia, a ogni desiderio colmo di speranza anche dove – per la speranza – non c'è spazio.

Sua madre gli diceva di sbrigarsi a diventare grande, di crescere e tenere i piedi per terra, ma a fare quello che tutti si aspettavano non era mai stato bravo. E nemmeno gli interessava. Preferiva alzare le spalle e sognare, piuttosto che affidarsi alla lucida e fredda razionalità. La detestava perché si sa, la ragione non tiene mai conto del cuore, l'unica cosa che sul piatto della bilancia della vita pesa tanto da indirizzare l'ago sempre verso la felicità.

Thomas Reed voleva essere felice.

Felice con il lavoro dei suoi sogni.

Felice in quella città che lo aveva accolto e abbracciato quando era arrivato da nord.

Felice di avere i migliori amici del mondo. Felice di essere amato e di amare. Questo voleva.

E siccome sognare lo rendeva felice, riusciva persino a vincere la paura che i sogni non si realizzassero. Era un timore folle che gli spappolava il cuore ma non lo fermava. Lui dei sogni aveva disperatamente bisogno.

Quello di cui non ho bisogno invece è una casa a SoHo, per quanto disperatamente la vorrei...

Era un capriccio. Una casa ce l'aveva, un luogo dove tornare che trascendesse tutto e tutti, una porzione di spazio e tempo dove Noah e Zack, i suoi coinquilini e migliori amici, sapevano farlo sentire a casa nell'intero universo, non solo tra le pareti di mattoni a Hoxton Market. Eppure, forse egoisticamente, sentiva il bisogno di riempire un improvviso e profondo vuoto, di possedere qualcosa che fosse materialmente suo, pagandolo con il frutto degli anni di lavoro e di sacrifici che, purtroppo, ancora non bastavano a mettere in fila abbastanza zeri da permettersi quell'appartamento.

Quando uscì dal portone dell'edificio e lo sentì richiuderglisi alle spalle con un tonfo, sospirò e piantò bene contro il marciapiede la suola delle scarpe. Per quel giorno aveva consumato tutte le cartucce dei sogni, doveva evitare di volare troppo in alto per non rischiare di spaccarsi la testa contro quel cielo tanto bello. Ma solo fino all'alba del giorno dopo, poi avrebbe rincominciato a addolcire i fallimenti con sogni, pagine e pagine riempite di parole e pensieri, e brownies al cioccolato.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 7 days ago ⏰

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