Tre anni prima...
JACKSON
Spalancò gli occhi.
Era solo nel grande letto.
Il posto accanto vuoto e freddo.
Allungò una mano per accertarsi che non ci fosse nessuno al suo fianco a scaldarlo e abbracciarlo, un corpo caldo contro il quale rannicchiarsi e perdersi in quel sonno che gli era stato strappato bruscamente dal giorno in cui aveva lasciato casa sua, a Holmes Chapel.
Il grande soffitto a specchio rifletteva il suo corpo steso tra le lenzuola rosse di seta.
Quell'appartamento era pieno di specchi. A lui piaceva guardarsi e ancora di più guardare quando il suo corpo toccava Jackson, quando esercitava la sua forza, il suo potere e la sua supremazia dominante su di lui.
Sfiorò i segni violacei sulla pelle, alcuni recenti, altri meno. Testimonianze della possessione malsana.
I muscoli del petto e del ventre erano perfettamente scolpiti, delineati dalla penombra della stanza e dalle luci notturne di Londra che entravano dalle pareti di vetro.
Indossava solo i pantaloni della tuta scivolati sui fianchi.
Lo aveva aspettato sul divano fino a mezzanotte inoltrata. Erano le tre, ma di lui ancora neanche l'ombra. Rabbrividì. Sperava non avesse esagerato, come succedeva sempre nell'ultimo periodo.
I capelli arruffati gli ricadevano davanti agli occhi assonnati. Doveva aver morso forte le labbra nel sonno com'era solito fare quando gli incubi lo tormentavano.
Odiava stare in quell'appartamento. Troppo moderno e lineare, c'erano vetri e specchi ovunque. L'unico colore in quella moltitudine di grigi e nero, erano le lenzuola nelle quali era avvolto.
Si mise a sedere, sospirando e tossendo: aveva la gola secca e l'acqua sul comodino era finita perciò si alzò e percorse il corridoio sfiorando la parete spoglia fino alla rampa di scalini di cristallo che sembravano sospesi nel nulla.
Sei milioni di sterline per un appartamento che sembrava un mausoleo di pietra e vetro.
Sistemò il divano nel notare i cuscini in disordine e spense il gigantesco schermo della televisione che aveva dimenticato accesa. Lui era sempre stato un maniaco dell'ordine mentre Jackson era l'opposto. Lui era sempre alla costante ricerca della perfezione e a volte lo odiava per questo, ma lo amava. Lo amava troppo e per lui aveva imparato a essere chi non era in realtà.
Jackson era il nero, lui era il bianco, ma si era costretto a sporcarsi con quel suo colore fatto di apparente immacolatezza, a diventare un po' più grigio, un po' meno scuro.
Una via di mezzo.
A Jackson non piaceva essere una via di mezzo.
Entrò in cucina.
Aveva ancora fame, la cena che aveva consumato non gli era bastata. Era sfiancante vivere nel perenne desiderio di entrare in un fast food e divorare l'impossibile, ma lui ci teneva che Jackson fosse in forma.
Aprì il frigorifero e prese un Tupperware con dei noodles al pollo e verdure. Sedette con le gambe penzoloni sul ripiano accanto al lavello e sorseggiò avido una birra ghiacciata. Mentre giocherellava con le bacchette nere si guardò intorno: non c'era niente in quel luogo che lo facesse sentire bene. Niente. Al contrario, tutto quel vuoto lo spaventava. Temeva che gli entrasse dentro, inaridendolo, rendendolo impersonale e asettico.
Non c'erano colori.
Non c'erano odori.
Si sentiva più a suo agio nel suo minuscolo e vecchio appartamento a nord di Londra che non nell'attico lussuoso dell'uomo che amava.
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You Make Me Ache I Crave You
RomanceQuesta è la storia di Thomas Reed il giornalista che vive di sogni e di Jackson James Turner, il fotografo che nei sogni non ci crede più. Questa è la storia di Zack Miller, l'artista che non ha paura dei suoi demoni rossi, e di Logan Evans, quello...