14.

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JACKSON

Si mosse leggermente a disagio sullo sgabello.

Udiva lo sgocciolio picchiettare sul pavimento sotto di lui, ma era troppo incuriosito dal guardarsi intorno per curarsene: quella era la casa di Thomas, il luogo dove viveva pieno dei dettagli che gli appartenevano.

Dopo essersi baciati sotto la pioggia come nella scena struggente di un film che raccontava di un amore impossibile, lo aveva preso per mano invitandolo a salire: «Siamo soli. Solo io e te. Nessun altro» gli aveva detto.

Gli piaceva quell'appartamento, ordinato e al tempo stesso vissuto.

Sapeva che Reed ci viveva insieme al figlio di Hall e al tatuatore irritante, ma tutti i libri e le riviste che riempivano le mensole e gli angoli del salotto e della cucina, i post-it che costellavano il frigorifero, le penne infilate persino nel barattolo dei mestoli, erano particolari che appartenevano a Thomas.

Sospirò, mordendosi la guancia: gli sarebbe piaciuto vivere lì, averlo sempre con sé per condividere i momenti più intimi e apparentemente banali che erano i più importanti.

Era passato molto tempo dall'ultima volta in cui aveva vissuto con qualcuno e non era stato il periodo migliore della sua vita: desiderava provare la sensazione di consapevolezza che, una volta varcata la soglia, non sarebbe stato più solo come lo era per le strade affollate del mondo.

Si guardò intorno: la cucina era piccola ma funzionale, tutta in muratura con gli elettrodomestici in acciaio. Il tavolo da pranzo era vicino al bow-window intorno al quale erano disposte quattro sedie rosse. Davanti a lui, sull'isola, c'erano candele profumate alla vaniglia per metà consumate, barattoli pieni di biscotti e un'alzatina sotto la cui campana di vetro si ammonticchiavano croissant, ciambelle e brownies.

Aria di casa...

Thomas arrivò con in mano un paio di asciugamani, degli indumenti ben piegati, un asciugacapelli e una cassetta di primo soccorso. Si era asciugato e cambiato i pantaloni, indossando una larga canottiera grigio scuro: «Ti ho portato un cambio. Spogliati, o ti ammalerai.»

Jackson rise e si sfilò la t-shirt. «Perché temi tanto che possa ammalarmi?»

«Voglio che tu stia bene.»

Si sporse a baciarlo. «Adesso sto bene.» Si tolse di dosso la pioggia gelida con il grande e morbido asciugamano che profumava di pulito, e si vestì con un paio di joggers blu e una maglia a maniche lunghe nera. Erano abiti di Thomas. Il tessuto era impregnato del suo profumo.

«Siediti» gli ordinò e Jackson occupò una sedia vicino al tavolo: «Questo taglio ha bisogno di essere medicato» sospirò, sfiorandogli lo zigomo.

S'infilò tra le sue gambe e con una garza imbevuta di disinfettante gli tamponò la ferita, coprendola con un cerotto degli Avengers. Inarcò le sopracciglia divertito e Thomas rise: «Scusa, non ne ho trovati altri.»

«Non fa nulla. Mi piace» disse Jackson.

«Ti piace il cerotto della Marvel?»

«Mi piace che ti prendi cura di me» mormorò.

«Sei un pazzo, Turner. Guarda come ti sei ridotto.»

«Fool's Gold.»

«Sì. Fool's Gold

«Me la canterai ancora?»

«Certo.»

Gli asciugò i capelli, strofinandoglieli con attenzione e strizzando le punte per togliere l'eccesso di pioggia. Poi prese il phon: «Fermami se l'aria brucia troppo.»

You Make Me Ache I Crave YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora