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Tre anni prima...

JACKSON

Troppo assorto nei suoi pensieri non udì la porta d'entrata aprirsi e richiudersi.

Sobbalzò e rovesciò inavvertitamente la birra che stava bevendo quando Posh comparve dalle tenebre che avvolgevano l'appartamento.

«Quel marmo costa un occhio della testa, Jackson», gli disse con disgusto. «Pulisci questo scempio.»

«È solo un po' di birra», sbottò, scendendo con un balzo dal ripiano della cucina dove era seduto.

L'espressione di disgusto che storceva i suoi tratti lo punse.

Posh era impeccabile con indosso il cappotto color cammello fatto su misura e le scarpe lucide. Riusciva a esserlo sempre, anche se non si reggeva in piedi.

«Dove sei stato?» gli chiese, seguendolo nel salone quando gli voltò le spalle. «Ho provato a chiamarti tante volte.»

«L'ho notato.»
«Avresti potuto rispondermi.»

«Avresti potuto darci un taglio.» Lo fulminò con un'occhiata. «Ero con i miei amici. Tu non potevi esserci e sì, c'era anche lei. Ora ringraziami, ti ho risparmiato la fatica di fare le domande.»

Fece un passo avanti. «Mi stai punendo per quello che è successo l'altra sera?»

«Mi hai baciato davanti a tutti anche se ti avevo detto di non farlo!» urlò e i suoi occhi erano scuri e cattivi. «Lo sai che quando siamo con Nick ci sono sempre i paparazzi. E qualsiasi cosa tu stia per dire non mi interessa.»

«A quanto pare non t'interessa niente di me.» Posh roteò gli occhi, ma lui insistette: «Non possiamo più ignorare che le cose tra noi sono cambiate... e sono preoccupato per te».

«Per me?»

«Sì.»

«Ti consiglio di iniziare a preoccuparti per te stesso se non la smetti di dire stronzate.»

«Non trattarmi come un pazzo. Le cose non sono più come un tempo!»

Lanciò il cappotto sul divano e si fermò a un passo da lui, minaccioso. «A quale tempo ti riferisci, Jackson?»

«A quando non eri sempre fatto. Mi riferisco a quando accettavo il tuo tenermi relegato qui per paura che la tua famiglia scoprisse la tua omosessualità perché quello che mi davi mi bastava. Adesso c'è solo il tuo bisogno di farti e nient'altro. Hai una dipendenza e hai bisogno di aiuto.»

Fulmineo, Posh gli prese il volto e con forza lo spinse contro la parete. Il colpo gli mozzò il respiro e quando tentò di liberarsi gli parve che la mascella si stesse sgretolando.

«Mi stai facendo male», gemette Jackson.
«È questo che pensi di me? Pensi che sia un fottuto drogato?!»

«Non lo penso! Lo so!» Lo colpì al petto e riuscì ad allontanarlo. «Fottiti! Torno a casa mia!»

Posh scoppiò a ridere e lo seguì attraverso l'attico. «Tu non vai da nessuna parte senza il mio permesso.» Lo prese per il polso. «Ti ho dato una vita che non ti saresti mai potuto permettere nemmeno di sognare! Ho sacrificato tanto per farti trasferire qui e non ti permetto di lasciarmi per tornare in quella topaia!»

«Questa non è vita», disse con voce spezzata. Era difficile parlare con il nodo della paura in gola ma lo spaventava di più la sofferenza di vedere la persona che amava resa un burattino della droga. Non lo meritavano, nessuno dei due.

«Non è vita? Se non fosse per me saresti nella cucina di qualche fast-food a grattare il grasso degli hamburger dalla piastra. La tua credibilità la devi a me e ai miei amici! Noi ti abbiamo fatto diventare qualcuno!»

You Make Me Ache I Crave YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora