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THOMAS

08.07 AM

Bip... Bip... Bip... Bip... Bip...

Suono continuo.

Bip... Bip... Bip... Bip... Bip...

Lento.

Bip... Bip... Bip... Bip... Bip...

Il suono lento accompagnava quello del respiro che gli riempiva le orecchie.
Si sentiva strano, come se si trovasse su un ascensore lanciato a velocità supersonica verso l'alto, con lo stesso vertiginoso senso di vuoto dentro.

Perse i sensi.

Tornò.

Poi li perse di nuovo.

Prima non c'era, non era lì, non era da nessuna parte che riuscisse a ricordare.

Poi era tornato. Ma da dove? Dov'era stato? Dove si trovava in quel momento?!
Sono Thomas Reed. Io sono Thomas.

Non riusciva a smettere di ripeterselo mentre affogava in quel mare fatto di niente. Fatto di buio.

Aveva bisogno di qualcosa cui aggrapparsi.

Aveva bisogno di un appiglio, una fune alla quale tenersi mentre tentava disperatamente di tornare a galla.

Sono Thomas Reed. Io sono Thomas.

Provò a deglutire ma fu come ingoiare una manciata di ghiaia. Aveva sete. Provò a muoversi ma non sentì nulla.

Dov'era il suo corpo?!

Dov'erano le sue braccia e le sue gambe?!

Tentò di calmarsi quando il bip aumentò il ritmo e si fece insistente, assordante.

Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.

Un colpo di tosse gli rimase incastrato in gola e nel rantolare strinse i denti.

Da quanto tempo era lì? Si sforzò di calmarsi, e quando riuscì a rilassarsi contro il materasso finalmente il ritmo della macchina tornò regolare.

Si guardò attorno, sbattendo le palpebre per scacciare le lacrime calde.

Davanti a lui, su una parete spoglia, c'era una piccola croce di legno e, oltre la finestra a sinistra, vedeva solo un forte bagliore bianco che entrava nella stanza spezzando la penombra. C'era la neve. Tanta neve.

Improvvisamente ricordò.

Udì il rumore stridente degli pneumatici così come lo aveva sentito l'attimo prima che la realtà perdesse i confini e si fondesse in un turbinio di capovolgimenti.

Ricordò le lamiere che si piegavano e si chiudevano come la bocca di un mostro intorno a lui.

Un colpo.

Un altro.

Un altro ancora seguito da un boato.

Ricordò l'odore di benzina e la puzza di gas di scarico. Il gelo pungente del vento. La cintura di sicurezza che gli tagliava la pelle all'altezza della spalla e infine il silenzio, assordante più di ogni altro rumore.

Aveva avuto un incidente.

Aveva perso il controllo della macchina di Jackson dopo essere scappato dalla festa, quella a Holland Park. Basta. Non voleva più ricordare.

Era stanchissimo e il dolore lo stremava.

Abbandonò la testa sul cuscino e scorse una poltrona sul cui schienale c'era un cappotto nero. Lo riconobbe, era quello di Jackson. Sul comodino c'erano un grande bicchiere di Starbucks e una busta di carta marrone. Avrebbe voluto sorridere, ma non ci riusciva, allora chiuse gli occhi e permise al ricordo delle cose belle di cullarlo.

You Make Me Ache I Crave YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora