LA POTENZA DELLA MENTE - parte 3

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Zahir entrò nel suo laboratorio e si trovò davanti una scena che per uno scienziato, seppur pazzo come lei, è terrificante: tutte le sue cavie, tutte le sue bestioline, (alcuni anche contemporaneamente degli spuntini), tutti i suoi esperimenti iniziati, correvano, si libravano, si arrampicavano, si combattevano o si mangiavano l'un l'altro o tentavano la fuga in modi alquanto bizzarri, tanti quanti i loro modi di deambulazione, e il tutto davanti i suoi occhi.
Alcune ratto-scimmie e delle ragno-scimmie, entrambi esseri d'una intelligenza alquanto limitata, mentre cercavano di farsi fuori tra loro, cercarono una via di fuga tra le sue zampe.
Il suo disappunto per quello spettacolo si tramutò presto in ira, che nemmeno il ricordo del rapporto appena consumato, (in tutti i sensi tra l'altro), poteva mitigare, questa rabbia fu devastante, i due tipi diversi di ratti non ebbero nemmeno il tempo di capire che non si trovavano più al suolo, o appese alle stalattiti, a seconda della razza in questione, semplicemente erano ormai a mezz'aria e lei ne fece scontrare tra loro una buona parte e ne fece schiantare alle pareti un'altra buona metà, la baruffa per la supremazia del nome, poco desiderato da altri, di ratto, ricominciò.
In quel modo la fluttuante aveva fermato le scorribande dei fastidiosi piccoli animali.
Una lantegra, una specie di incrocio mal riuscito tra una tigre, un pantera, un leone ed un granchio, cercò contemporaneamente di azzannarla, accorciarle una zampa con una chela e di fuggire. A quanto pare incroci su incroci con parenti troppo prossimi avevano dato al povero animale una intelligenza molto limitata. Il risultato comunque, del suo stupido attacco-fuga, fu la distruzione di una delle quattro chele e poi il suo successivo impalamento ad una stalattite, decretandone così la ovvia morte. Zahir la lasciò nella sua agonia, la aveva catturata solo per usarla come antipasto, le sue carni tenere e dolci dentro il carapace duro erano una leccornia a cui difficilmente sapeva rinunciare: in pratica aveva deciso l'animale quando destinarsi alla sua cucina.
Il suo seguente avversario, anzi i due, furono la coppia di humber che aveva catturato mentre si accoppiavano stupidamente vicino all'entrata del suo cunicolo. Non aveva ancora deciso a che destino votarli, se a quello culinario, provando una ricetta che le era stata raccomandata o a quello scientifico, per il quale avrebbero fatto una fine ancor peggiore. Comunque in quel preciso istante i due avevano optato per una fuga in grande stile con relativo massacro di chi li aveva ingabbiati: lei cambiò i loro destini in morte non rapida e dolorosa, facendo in modo che rimanesse anche qualcosa per la cena.
Dopo essersi incuneata a fatica, attraverso il cranio spesso e resistente e quindi difficile da penetrare degli humber, soggiogò le loro deboli menti, evitando colpi di chela, testate e zampate in ordine sparso, rivolgendo alla fine tutti quei muscoli gli uni contro gli altri, per la fine che meritavano per aver copulato davanti all'entrata e per aver osato attaccarla.
Quelle però erano solo schermaglie, cose semplici da risolvere, perché solitamente teneva, per vezzo, per noia o per sentire le loro grida stupide appena arrivava, le bestie con meno cervello vicino all'entrata; più si fosse addentrata in profondità nel suo laboratorio, peggio sarebbe stato: spazio ridotto, macchinari da salvaguardare, esperimenti da non poter uccidere, le uova dei suoi schiavi-soldati da preservare. Insomma il compito sarebbe risultato gravoso anche per lei. Se poi aggiungiamo che molti esperimenti erano di per sé pericolosi, e che con il suo aiuto lo erano divenuti ancora di più, che spesso alcuni animali l'associavano con il cibo, (perché gli dava da mangiare lei regolarmente), quasi rimpiangeva di aver mangiato-copulato con l'aitante Katash. Poi c'era il problema dell'uomo, a cui sicuramente doveva rivolgere la sua rabbia per quel caos, di cui non aveva ancora deciso il destino; inoltre c'era anche una maga, che aveva catturato da poco, che anche se non fortissima, era pur sempre una spara palle-di-fuoco con cui fare i conti se si fosse liberata dai vincoli che le aveva imposto; infine c'era il problema del mezzo-diavolo di cui non si fidava nemmeno quando mangiava o beveva soltanto.
Insomma un laboratorio sotto un assedio del genere sarebbe stato un problema per chiunque, persino per lei, anche se poi ne sarebbe venuta a capo: la vera seccatura erano quei tre.

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