IL MONASTERO DEL SOLE - parte I

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Ciclo 423 - Quarta inondazione del Tetri

Qualcosa non tornava.
Non vedeva goblin e mezzorchi in giro. E in quella zona delle montagne della Solstickan non era una cosa normale.
Il suo sguardo fermo sulla neve era cupo: c'era odore di guai.

***

Il primo colpo fu come acqua ghiacciata su un corpo addormentato.
Il secondo come ferro rovente, che si fa strada nella carne.
Non c'è niente di paragonabile: la mente non è pronta a registrare il dolore della prima scudisciata, che la seconda è già atterrata sulla pelle martoriata.
Strinse il cuoio fino a sbiancarsi le nocche, come a darsi coraggio, o per cercare di non pensare, e senza pietà si frustò nuovamente la schiena.
La terza frustata fu così forte da lasciarlo tramortito.
Le mani gli tremarono, il manico dell'arma gli scivolò tra le dita.
Cadde in ginocchio come un animale ferito.
A tentoni ritrovò lo strumento di tortura.
Rivoli rossi di sangue scendevano dalle spalle fino alle natiche: inzuppavano i pantaloni, la camicia stracciata e i capelli biondi che affondavano nelle ferite bagnandosi di rosso.
La frusta cadde a terra una seconda volta, con un grido strozzato tra i denti contratti, che scricchiolavano per lo sforzo di non urlare.
Il sangue ruscellava giù tra vecchie cicatrici e segni, si addensava in alcuni punti, scendeva libero in altri. Quel bacino idrico, artificiale e rosso, era l'esempio inequivocabile delle numerose volte in cui si era ferito e inflitto quei marchi nella pelle.
Il fiato era divenuto corto, quasi gracchiava nella gola e nella bocca, come il verso di una bestia ferita. La mano sinistra toccò la schiena e si impiastricciò subito, il liquido denso e appiccicaticcio marchiò la mano come un fiore carminio. Con le dita lunghe, le unghie spezzate, contò, come per rassicurarsi del computo, i tre crateri che adesso c'erano al posto della sua pelle e parte della sua carne.
I primi tre erano andati.
In serrata successione, per non perdere la forza d'animo, per essere sicuro di non fermarsi al dolore, per non piangere o gridare nel mentre, si colpì altre tre volte: la frusta sibilò la quarta volta e lui grugnì insoddisfatto; la quinta fu un ago che gli si piantò accanto alla spina dorsale come un rovo di spine, la sesta sembrò puro fuoco che gli bruciò la pelle.

Svenne.
Svenne e dormì nella sua celletta come un bimbo colpito dai sogni di figure ombrose e orripilanti.
Sognò zanne lunghe, visi verdi, asce e spade che si rincorrevano.
Voci che urlavano e agonizzavano.
Ruggiti e grugniti di bestie immonde.
Sogni di voci che chiedevano pietà e suoni di crani sfondati e carne masticata.
Sognò sei volti che divenivano cenere.
Sei teschi che si riempivano e coprivano di sangue.
Sognò sei corpi a terra come pupazzi spezzati, con la stoffa dispersa nel sangue e nella polvere dei loro padroncini.
Sognò sei pianti e poi un boato immenso di luce abbagliante, bianca e purissima.
Sognò un uomo con un mantello bianco come il latte, avvolto in una armatura dorata, o di bronzo, abbacinante nella luce del boato: in mano aveva una spada brillante di luce pallida e lattescente, dall'elsa in avorio, e urla tantissime, strazianti, piangenti urla e poi più niente.

***

"Non so come faccia a sopravvivere così Maestro!
E non parlo delle ferite, si sta consumando dentro..."
Due occhi azzurri scrutarono il monaco avvolto nel sari arancio pallido, corpo scarno, viso pulito, torso emaciato.
"Cosa è successo?"
"È successo quando siete stato via...", tremolò la voce dell'uomo.
Gli occhi azzurri si fecero come due fessure imperscrutabili, "Come?".
"I druidi neri di Eradar..."
"Ho detto come, non chi: non girarci intorno Wernem."
"Sono usciti in avanscoperta."
Quegli occhi magnetici lo guardarono furioso.
"So che gli era proibito mio signore, so che non dovevano attaccare o prendere iniziative, ma solo attendervi, ma..."
Gli occhi di Eynur non si staccarono da quelli del monaco, ma le sue parole furono calme, "Ma era stanco di studiare, attendere e di addestrarsi esatto?"
"Signore eravamo stati attaccati sei volte, da quando siete partito, Dremis è morta nell'ultimo attacco..."
"Capisco."
"Lo abbiamo persuaso, pregato, implorato. E alla fine convinto a non muoversi."
Una sillaba aleggiava nell'aria e Eynur riempì quel vuoto, "Ma?".
"Ci siamo fidati della sua parola..."
Il chierico si innervosì. Le parole uscirono ruggenti dalla sua bocca, "Arriva al punto Wernem, non ho tutto il giorno!"
"Il tuo allievo quella stessa notte in cui ha giurato di non vendicarsi..."
"Sul Sole?", lo guardò stravolto il chierico, 'Non può essere!'.
Un sì stentato uscì dalle labbra pallide del monaco.
"Non fermarti adesso andavi così bene, continua...", commentò atono Eynur, 'E ora?'.
"Maestro lui è uscito con altri sei ragazzi, armati di tutto punto.
Volevano solo approntare un piano, studiare la situazione, ci ha detto dopo: ha detto che non avrebbe mai tradito il suo giuramento e che avrebbe aspettato voi come ci aveva promesso..."
'Forse...', Eynur lo guardò attraverso i suo occhi ghiaccio, come sondandogli l'anima, Wernem rabbrividì come se qualcuno lo sballottasse e strattonasse, ma non disse una parola, così il chierico finì la frase per lui, "Sono finiti in una imboscata."
"Esattamente."
"Di chi?"
"Di Piuma Rossa..."
"Stai scherzando?"
Il monaco si fece piccolo piccolo, schiacciato dal solo peso delle parole, rantolando un no spezzato al suo signore.
"Piuma Rossa ha fatto un patto con me prima che partissi i suoi non avrebbero mai attaccato!"
"Padrone non hanno attaccato!"
La voce di Eynur si fece di nuovo piatta, atona, bianca d'impazienza, "Wermen non sei un bravo oratore.
Ora calmati, fai un bel respiro.
Ecco così bene.
E adesso ricomincia da capo e spiegati meglio."
Il monaco deglutì a fatica, il pupillo del Maestro era sotto la sua responsabilità finché non fosse tornato.
"Sono usciti di notte, armati, diretti verso il Picco dei Vermi, l'avamposto più vicino di Eradar e quello che ci ha dato più fastidio.
Era notte.
C'era solo una falce di luna. Perfetta per sondare la solidità dei soldati..."
"Sì sì, qui ci arrivo da solo, arriva al sodo Wernem!"
Il monaco chinò la testa e continuò tutto d'un fiato, "Insomma dovevano passare nei territori controllati da Piuma Rossa e dai suoi e sono finiti nella loro imboscata, lì dove 'la strada minore' interseca 'il sentiero buio' e Eradar ha il suo confine con il territorio dei razziatori di Piuma Rossa."
"Quindi?"
"Sono stati attaccati dai goblin e dai mezzorchi di Piuma Rossa Maestro, ma non li hanno uccisi, li hanno disarmati e Piuma Rossa gli ha ricordato il patto."
Eynur era impaziente, "E cosa è accaduto dopo?"
"Non lo abbiamo capito subito.
Parlava per monosillabi quando lo abbiamo trovato.
Biascicava, mordeva le parole.
Ci ha messo molte lune a raccontarci tutto, e tante ne abbiamo passate a ricostruire quel che è successo."
Il chierico guardò il monaco e la sua voce fu pura cristallina gentilezza, altrimenti  ci sarebbe voluta anche solo un'altra ora per capirci qualcosa, perché Wernem sembrava assolutamente intenzionato a spiegargli anche come avessero decifrato quel che gli stava raccontando, "Wernem non agitarti, non ti sto giudicando. Voglio solo sapere cosa e come è successo.
Ora tralascia i particolari e arriva al nodo della questione: cosa è successo!"
"Non abbiamo capito chi abbia detto la frase fatidica, forse lui, o forse quello scavezzacollo di Yan che gli era andato dietro, comunque non è saggio dare ad un orco del codardo."
"Stupidi!"
"Gli hanno detto, "Solo i codardi tendono imboscate", e..."
"Ma Piuma Rossa ha mantenuto fede al patto."
"Come la sa Maestro?", lo guardò stupito il monaco.
"Lo so perché Piuma Rossa non è stupido..."
"Era."
"Non giriamo sulla semantica: Klabitz, l'altro orco e suo vice, immagino lo abbia sfidato a quel punto, avrà visto quello come un segno di debolezza."
"Sì!"
"Certo, quell'avido bastardo sono sicuro che non aspettasse altro per divenire capo dell'orda."
"Esattamente quel che abbiamo capito anche noi dalle farneticazioni..."
"E Piuma Rossa è morto.", parlare al posto del monaco era il solo modo per far andare la conversazione più veloce, Eynur sembrava come leggergli le parole sulla fronte. L'intelligenza batte sempre il suo avversario...
"Sì!"
"E Klabitz ha pensato bene di rompere un patto che non era il suo per affermare la sua supremazia sull'orda ed evitare che qualcun altro lo sfidasse..."
"E..."
"E Yan e gli altri sono morti!"
"Sì, ma..."
"Questo è ovvio, cosa è successo dopo, che fine ha fatto l'orda, si è spostata a causa del patto rotto? Perché lui si fustiga?"
Il monaco rimase silenzioso e cominciò a sudare copiosamente.
Ascelle e scroto erano zuppi. Sul petto si allungava una untuosa macchia d'un arancione d'una tonalità più scura di quello del suo sari. Ma la bocca rimaneva sigillata.
Eynur mostrò i primi segni d'impazienza, "Allora?"
Wernem squittì sconcertato.
"Spiegami!", le parole furono ancora dolci, ma senza via di scampo, come un comando.
La bocca dell'uomo si mosse meccanicamente, sola, sembrava che una volontà propria la animasse, mentre Wernem aggiornava i pensieri velocemente per non dislocarsi la mandibola, "L'orda non se ne è andata.
È stata distrutta.
Tutti.
Goblin, orchi, mezzorchi, maschi, femmine, piccoli.
Tutti.
Non era rimasto nessuno...
Lo abbiamo trovato in una tenda svenuto in mezzo alla carneficina."
Eynur rimase sorpreso per un attimo, "Chi?", ma quasi temeva la risposta, 'Non è che...', ma il monaco continuò interrompendo i suoi pensieri.
"Non sappiamo Chi. Lui ci ha raccontato di un uomo in armatura di bronzo che ha sradicato l'orda dal Monte Blu del Solstickan e non ricorda altro, se non che la colpa di tutti quei morti e della morte dei suoi amici secondo lui è sua."
Eynur rimase in silenzio, cupo.
"Per questo si flagella Maestro. Sei scudisciate, ogni sera, i monaci lo curano lo lavano, e lui non oppone resistenza, rimane muto e immobile; quasi non mangia.
Si addormenta e al risveglio si flagella di nuovo, sulle ferite vecchie su quelle nuove... con tutte le cicatrici che si è inflitto sembra che abbia un Sole sulla schiena!"
'Maledizione', "Adesso portami da lui!"
Wernem lo guardò impaurito, c'era ancora una cosa che non gli aveva detto e non osava.

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