IL MOLO - parte 4

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Le scaglie rosse scintillavano come fuoco, il muso appuntito attento: gli affilati denti aguzzi e i muscoli sodi, appartenevano ad un bell'esemplare, grande quasi quanto un cane con le ali, di uno psuedodrago senza pedegree.
La bestiola guardava ora affascinata ora adorante la figura del suo padrone. A volte distoglieva lo sguardo per eseguire i suoi ordini, per non essere punito. Dopotutto Skratch si vantava, attraverso le confuse immagini che erano il suo pensiero, di non essere uno dei suoi cugini di fogna, con le ali mezze strappate, che correvano dietro a ratti grossi come gatti per il porto, per farne il pasto necessario a sopravvivere un altro giorno. No lui non era uno di quegli schifosi esemplari, grigi o marroni del sottosuolo, verdi o blu che infestavano boschi e colline con le loro ali plananti. No lui era intelligente e rosso: lui era il famiglio di un mago e il colore lo provava e, sebbene non conoscesse la parola famiglia, sapeva cosa volesse dire essere accarezzato e nutrito e protetto e ricevere insegnamenti.
Quindi il piccolo vanitoso pseudodrago non controllava solamente la nuca del suo padrone: dopotutto non erano quelle le sue mansioni.
Di solito sonnecchiava era vero, e talvolta catturava un ratto anche lui e ci giocherellava, (mangiarlo no, mangiarlo sarebbe stata una umiliazione), ma ora erano in missione, qualunque cosa quel nome di gioco volesse significare, e lui aveva i suoi ordini.
Se il suo padrone era agitato lui lo aiutava senza che Dervesh glielo chiedesse; ma la sua attenzione non doveva riversarsi sul mago, no: durante uno scontro lui doveva sopperire i sensi del suo amico e proteggerlo. Allora nessuno avrebbe raccontato la storia della furia rossa che lo aveva attaccato.
A onor del vero Dervesh parlando con se stesso, più che allo pseudodrago, aveva spiegato a Skratch perché lui dovesse essere i suoi occhi e le sue orecchie: i suoi sensi aggiuntivi. E Skratch aveva annuito col suo muso appuntito e ferino, e i canini che fuoriuscivano ai lati della freccia che era la sua testa rossa. Ma lo psuedodrago non aveva completamente colto il senso della spiegazione, della divisione della mente, dello spreco delle energie, della concentraizone. Skratch sapeva solo che quando sentiva che il suo padrone era "in altro occupato" il territorio intorno ad entrambi era suo campo di caccia. Dal fondo del suo cranio lo pseudodrago percepiva solo la strana sensazione che il cervello di Dervesh si spaccasse per poi tornare indietro unito , (i numeri oltre il due lo tormentavano con le loro forme bizzarre), quando un qualche colore strano usciva dalle sue dita o dai suoi palmi. Al momento ce ne era uno bianco che teneva a terra un uomo maleodorante e bagnato, avvolto in una sostanza appiccicosa e bianca e che ci voleva un bello sforzo a tenerlo lì.

Anche gli incappucciati sapevano che problemi dovesse passare un mago per poter fare incantesimi: mantenere una magia. Nessun mago scindeva la mente in cinque: era impossibile, equivaleva a cercare di divenire dei vegetali ambulanti e mangiare per sempre sbobba d'infimo livello imboccato da qualche demente, di cervello quasi pari. Nessuno arrivava oltre il numero quattro: nessuno aveva una mente così resistente, o abbastanza forze fisiche per sopperire.
Sapere il capitano intrappolato in un incantesimo era un vantaggio non indifferente: il mago della nave morto significava risorse ormai spese che non sarebbero tornate. L'incantatore del Tempio era andato ormai, fatto, pronto per essere passato da parte a parte con una bella daga.
Potevano non sprecare così risorse per un mago ormai già morto.
Due incappucciati si inerpicarono verso la postazione, gli altri si incamminarono verso la nave: la decisione era presa.

Skratch era mal nascosto addossato su d'un mucchio di rottami dietro il mago, si lisciava attento la pelle di una zampa con la lingua ruvida e biforcuta, per ripulirla da una inesistente sporcizia.
Dalla sua posizione solo il mago era visibile agli incappucciati: solo Dervesh e questi non tradiva la presenza del suo famiglio, (non tuttii maghi ne avevano uno, molti li trovavano noiosi, roba da druidi e stregoni, non da maghi), infatti non avevano bisogno del contatto visivo per comunicare.
Di conseguenza quando i due sicari si materializzarono ai lati del campo visivo dello pseudodrago, silenziosi e letali, oscuri nei loro mantelli e cappucci neri, Skratch s'allarmò all'istante, non visto; un grido mentale arrivò al suo padrone appena registrò il pericolo, poi il combattimento lo travolse, non pensò più, nemmeno fece tutti quei versi e strilli che di solito fanno quelli della sua razza, semplicemente si lanciò sul nemico più vicino e cercò di difendere il suo compagno, il suo amico, la sua famiglia, con le unghie, con i denti, con la coda e con le ali; prima azzannò la gamba vestita di nero del suo avversario e questi urlò di sorpresa, non si era accorto dell'animale che proteggeva l'incantatore, e mentre questo ancora strillava, già era atterrato sul volto dell'altro.

Dervesh non si girò, era occupato nel cercar di salvar un uomo sulla nave, stava cercando di assestare una freccia d'acido addosso a uno dei due uomini che lo incalzavano, se fosse riuscito a metterne fuori combattimento anche solo uno dei due, forse il combattente si sarebbe salvato senza troppe ammaccature: Skratch se la sapeva cavare benissimo in quelle situazioni, avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per intervenire alle sue spalle anche dopo.

Lo pseudodrago assestò due poderose unghiate lì dove era sicuro vi fossero le guance del suo secondo avversario nascoste nell'ombra del cappuccio, questi urlò, desistendo dal cercare di affondargli la lama in qualunque punto utile per ucciderlo.
Forse il danno non era stato grave ma era sicuramente penoso: il suo compagno non era stato così fortunato, si teneva i lati della gamba da cui scendeva un liquido verdastro di sangue di qualche umanoide creatura: alzarsi non era una opzione senza dolore.
Il sicario ancora in piedi si scrollò via lo psuedodrago e col volto gocciolante sangue nerastro tentò di avvicinarsi al mago: la sua corsa finì con una caduta tra le spire della coda vermiglia di squame che gli aveva fatto lo sgambetto; il naso puntuto si ruppe rilasciando macchie nere sul lastricato del tetto e lampi accecanti di dolore al cervello del suo possessore.

Dervesh non aveva tempo per quello che gli succedeva alle spalle o il suo commilitone sarebbe morto sulla nave: la sua mente si divise e una freccia gialla, gocciolante acido si scagliò dalla sua mano verso il marinaio della nave che aveva scelto male la sua vocazione marittima: cioè essere uno schiavista. Ciò che non lo fece girare, per aiutare il suo famiglio, fu però l'assurda e sconcertante visione di un uomo dalle proporzioni del tutto sbagliate, con catene attorno a collo e polsi che combatteva a mani nude contro un taurita. Un taurita più basso di lui! Ma il fatto di per sé incongruente era che quel mostro-umano-gigante stava cercando di disarmare il suo avversario, una cosa che non avrebbe mai creduto possibile: ancor più impressionante fu poi la fine che i due schiocchi incappucciati fecero per aver osato interferire alla schermaglia di quei due bestioni.
Dervesh non sapeva che anguille prendere: se aiutare quell'uomo coraggioso o folle o pazzo: poteva essere un rischio quell'opzione, forse, avrebbe dovuto poi uccidere l'uomo, molto probabilmente per salvare la sua pellaccia nera dalla sua vendetta per quell'intromissione; oppure se rivolgere la sua attenzione ad un altro soldato del tempio in difficoltà o far fuori i suoi due attaccanti, togliendo quel piacere al suo famiglio.

In pratica la situazione decise per lui.
Il sicario col naso rotto cogliendo di sorpresa il suo famiglio e lui stesso, gli affondò la lama del pugnale nella schiena proprio all'altezza del cuore.

Il sorriso sgembo e sanguinante del bargagnano morì tra le sue corte zanne macchiate di nero. Se sul suo brutto viso blu-verde, con l'appuntito naso rotto che scendeva in basso di sghimbescio, fosse stata visibile la paura che si espandeva col suo pallore, e se Dervesh l'avesse vista, se si fosse girato a guardare il suo assalitore, forse si sarebbe impietosito.
Il mago però era un obscuro, ed anche se non era uno sprezzante e spietato omicida come molti suoi affini, di certo era abbastanza intelligente, logico e freddo, e sufficientemente attento e cinico da sapere quando una vita andava recisa: quando una morte ne avrebbe ripagate molte, soprattutto se una di quelle vite da salvare fosse stata la sua.

La barriera attorno a Dervesh si modificò, sfrigolò leggermente attorno alla sua persona, facendosi bluastra e poi come un aspide malevolo si attorcigliò intorno alla lama dell'essere incappucciato, lottò per il suo possesso e la catturò. La lama-serpente-barriera si librò in aria, si mosse avanti e indietro e qualche volta di lato, come la testa di un ridicolo serpente e poi tagliò la gola del bargagnano da una parte all'altra del ributtante collo, cogliendolo fuori guardia.
La lama ancora bagnata del liquido denso e scuro che colava fino all'elsa, avvoltolandosi ai traslucidi fili energetici, volando precisa, andò poi a conficcarsi nella nuca dell'altro attaccante, uscendo fuori dal naso, sprizzando sangue e ossa e pezzi di cartilagine non umana, dipingendo di schizzi gruignoleschi lo psuedodrago che penzolava dal tenero collo sotto il cappuccio azzannandolo. Se non fosse stato morto il sicario sarebbe morto una seconda volta.

I MILLE SOGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora