IL MOLO - parte 5

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Dervesh calcolava le possibilità avverse e quelle a favore: non poteva permettersi un nuovo scontro, e lo sapeva, la sua piccola schermaglia, il suo sfoggio di potenza e scintille era un teatrino oculato affinché anche chi di dovere non lo capisse; la balestra e una ultima magia rimanevano nella sua faretra, 'Tutto per un maledetto prigioniero!' pensò, 'Mi sto annodando la corda attorno al collo...'.


Un incappucciato si infilò sottocoperta inosservato dalla calca e scomparve.


Onore. 
Quella parola rimbombava nel cervello di Pasifae come un maglio sull'incudine. Il prigioniero gli aveva dimostrato un rispetto, e una voglia d'ucciderlo, di sconfiggerlo e mandarlo sull'assito che non poteva nascondere senza coprirsi di vergogna. 
Un prigioniero in catene gli aveva salvato la vita: un insulto!
Un cuneo di determinazione si formò nel suo cranio bovino, lì tra le corna e le cocciutaggine. Il taurita gettò il suo spadone oltre bordo, sull'acciottolio del porto, non poteva affrontare alla pari qualcuno disarmato e Varg non era più ormai lavoro, ma una macchia nella sua reputazione.
La vittoria sarebbe stata assegnata con altre armi.

A Varg non fregava niente dell'onore di Pasifae, qualcuno si era immischiato, lui lo aveva ammazzato, fine della storia e della loro vita.

Zoccoli duri e color della ruggine rasparono il terreno, a dir il vero stridettero sul legno e lo scheggiarono, poi il loro proprietario partì di corsa puntando proprio il petto che gli stava di fronte, muggendo e sbuffando, sputando schizzi di saliva e bava misti a sudore da tutte le parti.

Il rumore dei passi si perse nel rombo delle fiamme. Il fumo caliginoso dava alla scena un aspetto tetro e spettrale, quasi evanescente: la forma di corna e testa enormi, attaccate ad un corpo sfumato che appariva e scompariva tra il riverbero del fuoco, ch'ora illuminava ora nascondeva la scena. Era quasi lugubre: poi la punta nera delle protuberanze grigie e cheratinose che crescevano sulla testa del taurita spuntarono dalla foschia, andando ad impattare, senza danni, nella presa ferrea delle dita immense del gigante che le strinse con una forza disumana, serrando i palmi attorno a quelle armi letali.

Varg rallentò la corsa del taurita, ne arrestò lo slancio e gli spinse il muso verso il basso arginando la potenza della spinta, cercando di girare le corna come il manubrio di una immensa ruota, in modo da spezzargli il collo taurino. I denti digrignati, vene delle braccia e del torace in risalto per lo sforzo: la potenza dell'uomo resistette all'urto e i piedi scivolarono lentamente sulle assi, un centimetro per volta senza riuscire ad imprimere un attrito sicuro e decisivo sull'assito del ponte. I tagli, le abrasioni e le scottature lo infastidivano come mosche moleste mentre gli avambracci si contraevano fino allo spasimo.

Due boati rimbombarono dalle viscere della nave, attraverso la sua ossatura, dalla coperta fino agli alberi di trinchetto e di mezzana ancora in piedi: ogni cosa sull'imbarcazione fremette e tremò vigorosamente, poi questa s'inclinò da un lato, come un mostro marino colpito a morte e molto più velocemente di quanto si percepisse cominciò ad imbarcare acqua, ad affondare. Tutti i presenti barcollarono o caddero, alcuni sfortunati finirono fuori bordo ed annegarono nelle loro armature, solo chi aveva optato per vesti leggere o i marinai sopravvissero al bagno inaspettato.

I due combattenti non si mossero, completamenti assorbiti l'uno nell'altro, tanto da non accorgersi della fine ignominiosa che avrebbero fatto assieme a "La Brigante" se non fossero fuggiti: troppo impegnati nel frenare i poderosi muscoli altrui.

Gli incappucciati che fino a quel momento avevano imperversato come una peste indiscriminata, visto il risultato in atto per cui erano venuti, come una sola mente decisero silenziosi ed invisibili di ripiegare, attenti e rapidi come erano giunti.
Alcuni sfortunati persero comunque la vita disimpegnandosi dai loro avversari.

Xediac lanciò il segnale, e gli uomini che aveva tenuto di riserva fino a quel momento, proprio per quella situazione, arrivarono a far piazza pulita dei mercenari e dei marinai e di chiunque non fosse uno schiavo che ancora fosse sul ponte.
Altri uomini del Cavaliere della Luna aiutarono i prigionieri a scendere dalla nave che s'inabissava inesorabile.

Il barbaro spingeva le sue braccia nerborute sempre più in basso, sforzandole fino all'inverosimile, tirando fuori energie lì dove erano prosciugate, il taurita sbuffava per lo sforzo enorme ed il sacrificio per la posizione scomoda e obbligata.
Perle di sudore si spingevano dal volto fin lungo il collo dell'uomo, alcune gocce invece gli finivano negli occhi quasi accecandolo. Il fumo era pesante, greve, riempiva i polmoni portandoli ad una tosse che veniva repressa per non cedere terreno, entrambi soffrivano per il miasma soffocante che andava ad ostruire gli alveoli polmonari delle due differenti strutture respiratorie.

Xediac si avvicinava ai due contendenti per fermarli, o ucciderli se non avessero ubbidito ai suoi ordini: due così stupidi da rischiare la vita anche in caso di vittoria sull'altro non li aveva mai visti, ne era quasi affascinato, sicuramente impressionato per la potenza che mostravano.

Varg tentò di affondare a terra, ancora di più, con tutto il suo peso, il collo massiccio di Pasife, verso il basso, per costringerlo a terra e potergli così spezzare le vertebre cervicali resistentissime.
Invece dell'epilogo che si sarebbe aspettato, però, il corno destro si spezzò, sbilanciandolo sulla gamba dolorante per il pugnale ancora dentro, la nave inclinata fece il resto ed il gigante ricadde a terra, andando piedi all'aria, le membra stanche e indolenzite che si rilassarono per la fine di quel tormento: aveva perso.
Pasife ora lo avrebbe ucciso come era suo diritto.

I MILLE SOGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora