DERVESH - parte 2

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Boreltìs e lo sfregiato correvano a perdifiato tra i cunicoli cercando di far perdere le loro tracce. Ballonzolavano scompostamente sulle selle dei dagrobas per assecondarne i movimenti lungo le pareti: quel tipo di cavalcata era massacrante.
Dopo alcune ore di fuga, in cui cercarono di depistare i loro improbabili inseguitori, evitando in ogni modo le ronde sowarn, quasi finirono, come dalla padella nella brace, in un nido di fluttuanti: si salvarono per uno schizzo d'olio, sacrificando un povero dagrobas alla fame degli insettoidi.
Stanchi, sudati fradici, con la pelle delle gambe scorticata a sangue per lo sfregamento continuo, si infilarono in una piccola caverna nascosta, al termine d'un tunnel interminabile.
Incuneato tra le zone cuscinetto. Non lontano dai confini: ma non abbastanza vicini dal tentare di superarli.
Non era una posizione sicura come la prima, ma lo era abbastanza da potersi riposare quel poco.

Boreltìs s'abbandonò sulla nuda roccia disarcionandosi solo dalla propria sella, appena fermi.
Era esausto: boccheggiava vistosamente, non abituato a tutto quel movimento e alla paura; una cosa è cavalcare e un po' d'eccitazione, altro era farlo per ore, in preda al terrore e alla smania di salvarsi la vita.
Lo sfregiato lo guardò stramazzare a terra e fremere, i muscoli che si tendevano e si rilassavano in preda agli spasmi, "Ce la fai a curarti?"
"No", ansimò il mago, "sono svuotato: mi devo ricaricare, devo mangiare qualcosa, mi devo fermare, non ce la faccio più!"
L'obscuro lo scrutò pensieroso da sopra la sella, poi gli lanciò due dischetti di bronzo ed un involto di carta unto, "Un disco dovrebbe bastare: non li sprecare, sono preziosi e pochi. Aspetta qui e mangia, io intanto controllo la galleria e la rendo sicura. Torno subito..."
"Ancora sigilli? Sono inutili!", si lagnò il mago, "Sigillomanti del cavolo!", bisbigliò poi.
"Li avranno sicuramente rallentati: quindi sono serviti allo scopo!
Ora smettila di frignare e aspetta il mio ritorno, sei uno straccio, Grande Mago.
Sarò di ritorno tra circa un'ora: ci vuole tempo!"
Lo sfregiato uscì dalla caverna; fuori dalla vista del suo compagno di fuga si calò il cappuccio del mantello sulla testa, per coprirsi dal vento sotterraneo che s'era alzato e risultava fastidioso: lì vicino ci doveva essere un qualche foro di ventilazione.

***

Akbar lanciò il rampino oltre il buco nella volta, poi saggiò la resistenza del gancio. Non si fidava a salire in groppa a Urdu, così si issò con agilità a forza di braccia e di gambe lungo la corda: ecco quella era una cosa che gli riusciva bene, come il ragionare: sicuramente molto più del cavalcare.
Larla giaceva incosciente sul bordo: l'obscuro la guardò preoccupato, del sangue le colava dal capo, ma respirava ancora anche se a fatica. Cercò di smuoverla con delicatezza per svegliarla, ma l'unico risultato fu un guaito di dolore della donna, che però non accennava ad aprire gli occhi.
Preoccupato l'obscuro tornò verso il bordo tentando di convincere Ashston a seguirlo di sopra: non fu un'impresa semplice, soprattutto quando l'animale tentò di morderlo sbuffando risentito. Alla fine comunque vinse la cocciutaggine del gendarmiere.
Dalle bisaccia sulla sella prese una borraccia di redinia ed una d'acqua per allungarla.

"Questo t'allevierà il dolore." ed intanto le porgeva delicatamente la borraccia alla bocca cercando di farle ingoiare qualche goccia: Larla le sorbì senza svegliarsi, poi Akbar la ridistese.
Il gendarmiere si calò di nuovo di sotto e si mise a frugare tra le bisacce d'Urdu, cercando i suoi sigilli, le altre borracce di redinia e acqua, e alcune bende, poi infilò tutto nella bisaccia più grande rovesciandone prima il contenuto a terra e con questa a tracolla, ricominciò a salire, così oberato di tutto quel peso, lungo il rampino.

Parlava alla donna con una dolcezza che non aveva mai usato con lei, sommessamente e con delicatezza, "Tranquilla tesoro, ti rimetterai veloce. Un po' di redinia per il tuo dolore così che tu non senta alcun male, l'acqua per allungarla e dilatarne gli effetti nel tempo.
Akbar parlava come se stesse calmando se stesso in realtà e non la sua paziente, "Tra poco sarai di nuovo in piedi... ora utilizzerò un sigillo, so che non mi senti, ma ti pizzicherà un poco."
E continuava come recitando una cantilena taumaturgica per entrambi, che forse lo calmava, "È di un mio amico mezzosangue, è un mostro nella sua arte, è una sua formula speciale, vedrai tra non molto ricomincerai a trattarmi male."
Akbar la cullava così, parlandole e accarezzandola, versandole la redinia tra le labbra che Larla suggeva incosciente. Poi prese i sigilli con i simboli di guarigione, scelse quello con le rune che indicavano il più potente e lo avvicinò al capo dell'obscura fino a poggiarglielo proprio sulla ferita e l'innescò ansioso: il potere si espanse dal sigillo fino a penetrare pelle, muscoli, ossa, una leggera luce bluastra si confuse tra i capelli biondi, riverberò sul sangue colato.
Il taglio si rimarginò, le ossa si ricomposero, l'emorragia cerebrale si riassorbì, e infine esaurita l'energia il dischetto d'oro si frantumò in pezzettini minuscoli; Akbar li tenne tra le mani e li infilò in un sacchetto, sarebbero stati utili per un altro sigillo.

I MILLE SOGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora