Capitolo 33

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Quello era stato un risveglio brusco per Amber.
Il padre che l'aveva rimproverata per essere tornata tardi, la sera prima, a casa, che l'aveva svegliata a pochi centimetri dal suo letto con ancora la faccia palesemente scocciata stampata sul volto. Il cane Cookie, che aveva preferito rosicchiare i suoi stivali invernali anziché il suo solito osso di gomma e, a pensarci, Amber si sarebbe stressata anche nell'udire di primo mattino i rumori esasperanti che avrebbe emesso l'osso nell'essere pressato dai denti canini... dunque la madre, che non riusciva a preparare un semplice caffè senza sbattere metà della sua scorta di pentole e posate contro i fornelli della cucina.

Quel mattino aveva anche notato che i suoi jeans preferiti nemmeno le entravano più, per tutte quelle calorie portate nella propria dieta quotidiana includente dolci amari e salatini, ovvero la sua più grande dipendenza durante il nervosismo acuto che la sua vita da studentessa le procurava. Doveva consumare ogni frustrazione.
Non era nemmeno riuscita a terminare di studiare quelle noiose pagine di geografia che tante volte si era ripromessa di recuperare per poter affrontare poi serenamente la verifica di quel giorno stesso..

Tante cose non le erano andate bene, e molte altre giravano in modo storto nella sua mente mentre a passo appesantito camminava sui marciapiedi delle strade che l'avrebbero condotta a scuola, quella mattinata piatta. I suoi capelli non erano più così lucenti, pensò mentre lo sguardo si abbassava sulle sue morbide e consumate scarpe da tennis, e nel suo campo visivo si intravedevano ciocche della sua pettinatura che veniva scombussolata dal freddo alzatosi nell'aria: guardava in basso e a labbra premute tra di loro come se fosse alla ricerca dei propri obbiettivi, esattamente nei tombini di Perth, in fondo lì dove temeva di non poter scorgere luce.

Anche scavando dentro di sé, spesso, ricercava una luminosità. Una positività, un qualcosa che l'accendesse.
Tuttavia nella sua ricerca ancora non si sentiva molto pronta ad affrontare la giornata, così come all'interno del suo zaino vi erano solo due libri delle materie scolastiche, ed anche non adatti all'orario di quel giorno, dentro di lei vi era poca voglia di sentirsi carica ed adatta a quelle ore di vita.
Non aveva idea di su quali dei propri pensieri dovesse soffermarsi mentre attraversando le strisce pedonali di fronte ad un lucido Range Rover, immobile sulla strada, i suoi scuri occhi si alzavano al chiarore accecante delle nuvole dipinte sul cielo di Perth; il grigio la sovrastava, e tutto ciò che poteva fare era solo respirare lentamente cercando di ritrovare una certa calma interiore.

Sapeva che a scuola la attendessero mille pensieri, mille volti e fin troppi sguardi.
Poteva già sentirsi nuda alla sola immagine di essere spogliata di sensazioni ed essere messa a tacere come una cicatrice cucita con ago e filo; dolorosa e segnante.
Dunque doveva godersi il suo silenzio, le strade, la premura della natura.

O almeno questo credeva, finché il suo passo non si fermò di colpo, ed i suoi ricordi le impiantarono nel cuore un paletto di legno cui la punta era stata immersa nell'odio, disprezzo e rancore liquido che nel suo corpo ancora scorrevano fra arterie e desideri imperdonabili.
Indicibili, come le parole che i suoi ora tristi occhi cercavano di trasmettere all'atmosfera cupa del mondo.

Era partita con l'intenzione di rilassarsi per ritrovare la propria testa, ma dopotutto come avrebbe potuto incontrando per strada casualmente quello sguardo proprio di fronte a lei? Così vitreo, ricco d'errori. Per un istante tremò; aveva difficoltà a realizzare, perché non doveva essere vero, perché le cose non sarebbero affatto migliorate a quel punto della sua esistenza, se le figure davanti ai suoi occhi fossero state reali.
Le iridi di lei si impregnarono del rimpianto che lui avrebbe dovuto sopportare, vivere.

Silent || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora