Capitolo 3

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"Aiuto!" urlai disperata.

Ero circondata dalle fiamme e non riuscivo a fuggire da quella stanza. Il fumo era talmente invadente che gli occhi avevano iniziato a bruciare ed era divenuto complesso respirare senza tossire.

"Sarah ti prego aiutami!" continuai ad urlare mentre delle lacrime iniziarono a solcarmi il viso sporco di fuliggine.

Il calore bruciava quando saliva al volto e la situazione era insopportabile. Non riuscivo a vedere bene e il mio respiro era dettato dalle folate di fiamme e dalla cenere. Definirmi terrorizzata non era nulla in confronto a ciò che stessi provando.

"Vi prego aiutatemi." sussurrai, quasi senza voce, senza riferirmi a qualcuno in particolare.

Lasciavo scivolare le parole tra le fiamme e bruciavano, eccome se bruciavano. Improvvisamente vidi anche mio padre che mi guardava fisso, era immobile.

"Aiutami!" riuscii ad urlare abbastanza forte da farmi sentire.

Continuava a fissarmi in mezzo alle fiamme, poi notai anche mio fratello. Erano tutti lì fermi che si godeva lo spettacolo, senza un briciolo di pena che gli attraversasse gli occhi.
Li continuai a guardare in preda al panico, quando ad un certo punto cominciarono a ridere in coro. Ma la risata si trasformò in uno sghignazzare insopportabile, ad un volume più che elevato.
I vetri cominciarono a scoppiare.
Io mi rannicchiai volgendo il volto al pavimento e mi tappai le orecchie mentre i miei singhiozzi erano sovrastati dalle risate di quelle persone.

Ad un tratto avvertii la presenza di una sorta di ombre accanto a me, così alzai la testa, trovando i miei genitori.

"Mamma, papà." sussurrai sorpresa e felice, dimenticando per un attimo la situazione in cui mi trovassi.

Ero confusa, ma in quel momento non mi importava. Vidi gli occhi di mia madre, erano spenti, la morte le aveva portato via tutto e stavolta saremmo morti tutti insieme. Oramai non c'era più niente da fare per noi, mentre la mia famiglia adottiva continuava con quella risata insistente. Dopo un po' quei rumori cessarono, così mi voltai verso i tre con uno sguardo disprezzante, ma fuggirono abbandonandoci.

"Agatha!" sentii la voce di mia madre chiamarmi, ma appena mi voltai per capire da cosa dovessi scappare, vidi che cadde la libreria infiammata sopra di me.

Il rosso del fuoco fu l'ultima cosa che rimase impresso nella mia mente.

Mi svegliai di soprassalto e mi sedetti di scatto sul letto, cominciando a scalciare per allontanarmi dalla libreria. Ero sudata e il cuore mi batteva ad una velocità maggiore del normale, ancora tremavo. Mi guardai attorno e mi accorsi che fosse stato solamente un brutto sogno, ma molto realistico. Cominciai a rallentare i respiri, tentando di riprendere il controllo di me stessa, poi mi alzai e mi legai i capelli in una coda.

Uscii dalla mia camera e mi recai in bagno, dove mi sciacquai la faccia con dell'acqua fredda. Non era completamente buio, probabilmente erano le otto di mattina, quindi dovevo aver dormito circa un paio d'ore.

Tornai in camera mia e mi sdraiai sopra le coperte, cercando di dormire, ma essendo cosciente del fatto che non avrei ottenuto successi. Rimasi sveglia, nonostante fossi assonnata, ma non volevo rischiare di rivivere quel sogno. Mi capitava quasi ogni notte di affrontare incubi del genere: talvolta si ripetevano, ad esempio come questo, ma non riuscivo a superarlo od uscirne in alcun modo. Nonostante fosse sempre identico, ogni volta mi sembrava differente e mi terrorizzava sempre di più.

Il solo pensiero della notte aveva iniziato a terrorizzarmi.

Sapevo di dover essere io ad agire nei miei incubi, ma mi terrorizzavano talmente tanto da non riuscire ad affrontarli. Ero sola in questo terribile luogo, in questa casa. Era un carcere da cui non si poteva fuggire, perché non avevo né catene, né sbarre di ferro che mi impedivano di farlo.

Riuscii a dormire, o meglio sonnecchiare, ancora qualche ora in più, nonostante continuassi a svegliarmi ogni trenta minuti. Ovviamente quel giorno né io né mio fratello saremmo andati a scuola, del resto quella notte ci eravamo addormentati circa alle cinque. I nostri genitori invece sarebbero andati a lavoro, mentre era palese il fatto che io avrei dovuto badare a Logan. Ma non ero come quelle stupide adolescenti che odiano i propri fratelli, io ero quasi una sua seconda madre: quando avevo tredici anni aiutavo Sarah col suo bambino di cinque anni. Anche se forse la mia era semplice abitudine.

Quando quella mattina mi svegliai definitivamente, mi recai in cucina e, affacciandomi alla finestra, notai come la strada fosse allagata e la pioggia non accennasse a diminuire d'intensità. A Londra non era una novità.

Quando tornai in camera mia lessi il messaggio da parte di Catherine.

Se hai bisogno di parlare un po', possiamo vederci dopo scuola.

Ovviamente le risposi che ne avevo assolutamente bisogno. Successivamente decisi di chiamare lo studio dell'avvocato Lewis per fissare un appuntamento: alle quattro di pomeriggio sarei stata lì. Volevo assolutamente scoprire la verità, lo dovevo ai miei genitori.

Non trascorse molto tempo prima che udissi una piccola voce chiamare il mio nome oltre la porta della mia stanza. Dopo poco vidi la maniglia abbassarsi e mio fratello fare capolino nella stanza.

"Hey Logan, ti sei svegliato." commentai rivolgendogli un sorriso.

"Che ore sono?" domandò strofinandosi gli occhi.

"Mezzogiorno. Non ti ho svegliato prima perché so che non hai passato una notte così tranquilla." feci spallucce mentre egli si avvicinava per sedersi sul mio letto.

"Già..." sospirò accanto a me.

Gli feci un po' di spazio ed incrociai le gambe, Logan fece lo stesso.

"Tu quanto hai dormito?" chiese.

"Decisamente meno e peggio di te." abbozzai un sorriso.

"Brutto sogno?" domandò come se fosse esperto nel settore degli incubi.

Anche se in un certo senso lo potevo considerare tale.

"Anche." feci spallucce.

"Mamma e papà mi hanno spiegato cosa è successo stanotte." affermò ad un tratto.

"Che intendi?" aggrottai la fronte.

"Le cose dei tuoi veri genitori." mi fissò eloquente.

"Oh." mormorai "Non credevo che sapessi che non sono tua sorella biologica." confessai confusa.

"A volte mamma e papà ne parlano, io ho origliato. Stanotte ho semplicemente chiesto cosa stesse succedendo." fece spallucce "Anche se non sei la mia vera sorella, ti voglio bene." tentò di rassicurarmi ed io ridacchiai.

"Anch'io ti voglio bene, vieni qui." allargai le braccia e lui si accoccolò tra di esse.

"Comunque mi dispiace per tutto questo." disse Logan "Se vuoi posso darti un consiglio per i tuoi incubi." propose staccandosi da me.

"Dimmi pure." lo spronai.

Era un bambino molto sveglio.

"Se vuoi superarli, devi prendere coscienza di quel che fai durante questi sogni come se fossero la vita reale. Ma ricordati sempre che possono accadere le cose più strane." il suo linguaggio mi sorprese.

"Ci ho provato, ma non ci riesco." affermai con un sorriso triste.

"Beh ci vuole tempo e impegno." spiegò.

"Grazie del consiglio, ci proverò." gli assicurai "Ora che ne dici di andare a fare una colazione-pranzo?"

The AmuletDove le storie prendono vita. Scoprilo ora