CAPITOLO 20

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Era quasi arrivato il giorno del mio diciannovesimo compleanno; quasi un anno da quando ero fuggita dalla Valle. In sei mesi avevo finito l'università di medicina ed avevo iniziato un corso di specializzazione in psichiatra; nel mentre, lavoravo in un ospedale della zona.
Era un giorno come altri, stavo tornado a casa dai corsi e tenevo i libri in mano. Il mio sguardo era basso, stavo guardando l'ora. D'un tratto, sentii che ero andata addosso a qualcuno; i libri erano caduti e mi abbassai chiedendo scusa. Anche l'altra persona si abbassò per aiutarmi. Quando avevamo finito di raccogliere i libri, ci alzammo e lo vidi per la prima volta in faccia.
Occhi azzurri, capelli biondi leggermente lunghi... sembrava Mihael... stavo quasi per saltargli addosso, ma mi fermai giusto in tempo. Il mio desiderio di vederlo mi stava facendo diventare pazza; mi ridiede i libri, mi salutò e se ne andò.  
Mi girai a guardarlo; sarei voluta andare a chiedergli come si chiamasse, se da piccolo era stato in un orfanotrofio... se era lui...
Lentamente, con una sensazione di amaro in bocca, mi avviai verso casa.

Da qualche tempo, non avevo più avuto nessuna visita poco gradita; anche i regali dal mio ammiratore segreto erano finiti. La mia vita volgeva alla normalità.
Tuttavia c'erano delle cose che non mi permettevano di lasciare il passato; vivevo sempre nel terrore di essere trovata dal Maestro, non potevo fuggire da un dovere che mi scorre nelle vene e il mio amore per Mihael continuava a degradarmi. Non ero mai riuscita ad innamorarmi di un'altra persona, avevo l'impressione che l'avrei tradito. Mi sentivo sola, anche se ero circondata da amici fantastici; nessuno poteva comprendere ciò che mi stava succedendo. Alla Valle avevo imparato a tenere a bada i sentimenti e gli impulsi; dovevo essere coraggiosa, ma metodica. Mai mostrare a nessuno i propri sentimenti perchè possono ferirti; da allora, mi creai una maschera che non avevo mai tolto e che mi proteggeva da tutto. Anche se a volte ero fragile, nessuno doveva saperlo.

Trascorse un'altra settimana; era sabato e quel giorno ero libera: non dovevo andare ne al lavoro ne ai corsi.
Decisi di andare in un piccolo ristorante a mangiare qualcosa; come sempre, avevo portato con me un libro. Amavo leggere e sentire il profumo delle pagine: il profumo dei libri nuovi, mi davano una scossa di emozione; mi sentivo fortunata, perchè ero la prima che leggeva la loro storia. Il profumo dei libri vecchi, invece, mi davano una sensazione di onore: avevo la fortuna di leggere parole e pensieri scritti secoli prima.
Avevo già ordinato e mi ero sprofondata tra le parole del mio libro, quando qualcuno si sedette al mio tavolo. Alzai lo sguardo; era il ragazzo che avevo incontrato la settimana prima.
Mi sentivo estremamente a disagio e in imbarazzo, tuttavia, mi sforzai a sorridere. Anche lui stava sorridendo; mi disse che era entrato nel ristorante e mi aveva riconosciuta.  Mi chiese se mi disturbava se sarebbe rimasto a mangiare insieme a me; io gli dissi che poteva restare tranquillamente e che mi faceva piacere. Continuavo a sentirmi a disagio, ma mi controllavo; mi prese il libro dalle mani per vedere cosa stessi leggendo:
《Le Grandi Speranze di Charles Dickens. L'ho letto tante volte, mi era piaciuto molto. Sono felice di vedere che anche a te piacciono i libri, avremo molto di cui parlare.》

Scusa, non mi sono presentato. Mi chiamo Mihael》
Mi stavo sentendo male, molto male. Stavo pensando a come presentarmi. Poi risposi: Nicki. Non potevo permettermi di dirgli il mio vero nome: mi ero presentata a tutti come Nicki. Mi guardava e mi sorrideva: sembrava che ci avesse creduto. Non ebbi neanche il tempo per dire qualcos'altro, che arrivò il cameriere che ci servì.
Parlammo per tutta la durata della cena; il disagio e l'imbarazzo erano spariti. Mi sentivo bene in sua compagnia; all'inizio anche lui mi sembrava a disagio, ma poi si aprii: era simpatico e intelligente, potevo parlare con lui di qualsiasi argomento. Dopo un'ora e mezza, decidemmo di andare via dal ristorante; ci eravamo salutai e avevo iniziato ad avviarmi verso casa, quando mi prese la mano e mi fermò. Mi girai verso di lui:
《Mi sono sentito benissimo con te... mi andrebbe di rivederti presto. Questo è il mio numero, se vuoi, chiamami.》Aveva un sorriso sghembo ed era leggermente rosso sulle guance; mi scrisse il suo numero sul palmo della mia mano, anche se sapeva che avevo con me il cellulare. Gli sorrisi a mia volta e lo salutai; lui ricambiò con un gesto della mano. Mi girai e andai verso casa; l'avrei chiamato, ma non subito. 

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