CAPITOLO 7

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Ero già seduta all'interno dello "studio" del Maestro, quando arrivò. Non gli diedi neanche il tempo di sedersi, che gli chiesi come faceva a conoscere la mia vera madre. Come al solito, mi fece uno dei suoi sorrisi, come tra nonno e nipote; io, invece, ricambiai con una smorfia. Senza fare troppa attenzione alla mia espressione, iniziò a parlare:
《Vedo che sei riuscita a scoprire un paio di cose sul tuo passato, non è così Vera?》
Odiavo sentirgli dire il mio nome...
《Questa è solo la punta dell'iceberg. Allora, vediamo di risponde alla tua domanda... conoscevo tua madre da quando era ancora in fasce. Anche lei, come te, è stata in un orfanotrofio ed io l'ho adottata.》
In tutta la mia vita non fui mai tanto sorpresa quanto in quel momento. Quindi lui era...
《Mi posso definire un nonno per te.》
Alzai un sopracciglio, lui sorrise.
《Immagino che hai trovato la stanza segreta dove custodisco i miei libri sulle creature mistiche, ecco spiegato perché sai queste cose. Come ho già detto prima ci sono ancora altre cose che devi sapere sul tuo conto.
Sono felice che non mi stai deludendo,
Vera.》
Quando udí pronunciare di nuovo il mio nome, questa volta non feci nessuna smorfia: rabbrividii.
Uscii dal suo "studio". Mi sentivo parecchio sollevata; i miei occhi gioivano nel vedere quel bel posto. La Valle era bellissima. Come dice il nome, era una piccola valle tra le montagne: c'era una cascata che scendeva a picco in un piccolo lago, che poi si diramava in un fiume che attraversava l'intera valle. Le case degli "abitanti" erano costruite sui fianchi delle montagne. Anche il luogo dove ci allenavamo, era bellissimo. Era una radura in mezzo al bosco, dove regna la pace e la tranquillità. L'avevo soprannominata la radura delle fate, perchè quando andavo lì, era come se rimanevo stregata. Non volevo più andare via.
Anche i ragazzi che vivevano lì erano simpatici! Una cose che mi piaceva molto, era che tutti noi avevamo le divise di colori diversi. Pensando a tutto ciò, non mi resi neanche conto di essere arrivata davanti alla porta della mia camera. Ogni volta che entravo lì, una sensazione piacevole mi riscaldava il cuore: sentivo che quello era il mio posto. La camera mi piaceva molto. C'era un letto bianco con cuscini rossi, accanto un comodino dove riponevo i libri che prendevo dalla biblioteca, l'armadio era grande con dentro tutti i vestiti necessari (tutti rigorosamente bianchi e rossi, come la mia camera). La scrivania con davanti uno specchio dove tenevo attaccata la lista degli impegni giornalieri. Al centro della stanza, c'era un grande tappeto rosso dove, di tanto in tanto, mi mettevo a leggere i libri.
Volevo descrivere ogni singolo particolare della Valle e della mia camera. Volevo che i miei ricordi durassero, anche quando sarei andata via, perché sapevo che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei dovuto lasciare quel capitolo della mia vita. Una sensazione di nostalgia mi assalì, ma scacciai subito via quei pensieri; ci avrei pensato quando sarebbe arrivato il momento. E non era arrivato ancora. Quando mi ripresi, notai a terra una lettera; con frenesia, la raccolsi ed iniziai a leggerla:
Cara Vera,
Ho ricevuto la tua lettera, come avrei potuto dimenticarmi di te? Eri sempre stata una bambina tanto dolce... manchi a tutti noi qui, sai? Sì, ci sono ancora dei tuoi amici quì, all'orfanotrofio. Tutti quanti sono diventati grandi e ci aiutano molto con i bambini più piccoli. Come ti ho già detto prima, ci manchi molto e vorremmo vederti di nuovo. Sò che è molto difficile per te, visto che sei in Giappone, venire qui in Inghilterra, da noi. Potresti pur sempre chiedere ai tuoi genitori adottivi di portarti quì. Sono sicuro che accetterebbero seduta stante!
Tornando a ciò per cui mi hai inviato questa lettera... mi dispiace Vera... Mihael se n'è andato via di qui già da due anni. Non sappiamo dove sia andato, o il perchè... mi dispiace non poterti aiutare. Insieme alla lettera, ti ho inviato anche una sua foto, lì aveva 15 anni. Mi dispiace, Vera. Spero di rivederti presto,
Wallace.
Intanto le lacrime mi cadevano a fiotti... quel dolore, quella disperazione, erano diverse da quelle che provai quando mia madre mi aveva abbandonata: ad una casa si rimedia, ma ad un cuore infranto... no.
Vidi l'angolo della foto uscire fuori dalla busta della lettera, la presi. Iniziai a sorridere e le lacrime e il dolore aumentavano ad ogni istante che passavo a vedere quella foto. Sì, era lui... I capelli biondi, gli occhi azzurri... e quel suo sorriso ribelle. Non era cambiato per niente. Chissà se si ricordava di me, se gli mancava come lui mancava a me...
Non riuscivo più a vedere quel volto; andai in bagno e mi feci una doccia. Notai una strana voglia sulla mia spalla destra: era una V ... non ci feci molto caso.
Mi guardai allo specchio: i miei occhi erano rossi e gonfi...
Mi addormentai con la foto in mano e con il pensiero rivolto a Mihael.
Quella notte mi svegliai presto. Ora sapevo cosa dovevo fare.

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