12. Studio grigio e nonna premurosa.

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Quando da piccola Kate passava qualche ora nello studio di sua madre, si annoiava sempre. Non poteva correre, non poteva urlare, cantare o in generale fare caos, peccato che Kate ne fosse la quinta essenza.

Spesso la madre le portava dei libri da colorare e una valigetta piena di colori, da far girare la testa a qualsiasi altro bambino. E inizialmente Norah riusciva a distrarre la figlia che però riprendeva la sua ingenua opera di disturbo una volta rotte tutte le punte dei pastelli, rotte dall'indomabile creatività della bambina.

Per questo Norah decise forse la bambina si sarebbe trovata meglio tra le cure amorose delle nonne, che educandole delle volte e viziandola altre, avevano creato una specie di uragano che quando passava e faceva danno chiedeva "scusa".

Negli anni a venire, quando Kate crebbe, non dimenticò mai le giornate passate nello studio della madre, lunghe ore dove sospirava alzandosi dal divano, facendo un giro intorno al tavolo della stanza adiacente allo studio dove la mamma riceveva i suoi pazienti, sdraiandosi in terra e desiderando che Harry fosse lì con lei. Si sarebbero divertiti sicuramente un sacco.

Nonostante lo studio della madre fosse arredato con mobili in legno chiaro che lasciavano scoperto il muro indaco, Kate senza mai farsi accorgere dalla madre, aveva sempre chiamato il luogo di lavoro "Studio grigio".

Aveva collegato alla noia il colore grigio, come i giorni di pioggia, non una rarità nel nord del Regno Unito, nei quali non poteva fare altro che stare chiusa tra le quattro mura ed esaurire i giochi che poteva fare in poco tempo.

Quando era piccola lo chiamò studio grigio, ma ora che l'edificio in cui si trovava lo studio della madre si trovava davanti a lei poteva ricorrere ad un vocabolario molto più vasto per descriverlo. Era un edificio alto, aveva forse una trentina di piani in pieno centro, aveva la facciata in vetro, quel tipo di vetro che permette solo a chi è dentro di osservare ciò che accade fuori e non il contrario.

Entrò e subito l'odore che quasi assomigliava a quello degli ospedali la investì. Oltre allo studio della Dottoressa Norah Smith, vi erano studi contabili, studi medici, estetiste e appartamenti privati ai piani più alti.

I muri erano bianchi e rendevano tutto più luminoso, ancora più luminoso in una giornata piovosa come quella. Aveva usufruito della metropolitana per raggiungerlo, così da non dover sopportare la vista della pioggia, che di solito adorava ma che oggi la infastidiva.

Fece un cenno di saluto al portiere che la conosceva sin dal giorno in cui Norah aveva varcato per la prima volta quelle porte per comprare quello che poi sarebbe diventato il suo studio, Kate aveva circa tre anni.

Si diresse verso gli ascensori premendo il pulsante a destra delle porte per chiamare la cabina che l'avrebbe portata al quinto piano. Percorse brevemente il corridoio e arrivò ad una porta con una targhetta che indicava il nome della madre.

Kate aveva le mani che sudavano e il cuore che batteva a mille, quello che stava per fare non era la tipica chiacchierata materna, ma non sarebbe riuscita ad avere nulla di più simile. Anche se avesse chiesto a Norah qualche minuto la sera dopo cena, la madre avrebbe ragionato proprio come Kate sapeva avrebbe fatto tra qualche minuto, quindi tanto valeva.

Suonò il campanello che subito si aprì, quando la ragazza spalancò la porta si trovò davanti il banco di ricevimento dove la segretaria l'accolse con un sorriso riconoscendola.

<<Ciao Cindy, sai per caso se mia madre ha qualche appuntamento più tardi?>> Chiese gentilmente la ragazza.

La segretaria controllò l'agenda elettronica, assottigliando lo sguardo probabilmente per mettere a fuoco ed essere sicura di non sbagliarsi.

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