Tre

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Il rientro in città fu impegnativo, e richiese molto più tempo e concentrazione del previsto. O forse era lei a essere più distratta rispetto all'andata.
Nell'oscurità tagliente, calata dopo un lento crepuscolo, Kate aveva controllato sempre più impaziente i minuti che sembravano prendersi gioco di lei, rincorrendosi beffardi, mentre lei e il suo compagno erano imbottigliati nel traffico serale.
La sua mente frastornata e febbrile, senza nient'altro a cui appigliarsi, aveva riesaminato la situazione da cima a fondo senza tregua, valutando ogni dettaglio e provando ad abbozzare una rudimentale organizzazione dei futuri passi da compiere.
Per prima cosa, Castle sarebbe dovuto essere trasferito in un altro ospedale, decise silenziosamente tra sé, se lo stato di incoscienza fosse perdurato, anche se il medico era convinto che si sarebbe svegliato presto, visto che non c'erano ragioni cliniche a indicare il contrario. Per quanto Kate apprezzasse il tipo di assistenza che gli avevano assicurato nella piccola struttura – nonché una certa rapidità di azione e una gradita discrezione - intendeva spostarlo nel migliore ospedale della città, in modo da garantirgli le cure migliori e averlo sempre a portata di mano. Ne avrebbe parlato con Martha e Alexis, con cui si era accordata per incontrarsi il mattino seguente nel suo ufficio.

Era molto più tardi di quanto avesse calcolato quando era partita dalla clinica alla volta della città, quando parcheggiò davanti al distretto e salutò Esposito, ringraziandolo ancora una volta per la compagnia e il supporto. Si affrettò a entrare nell'edificio ma, invece di raggiungere il suo piano per concludere il lavoro lasciato in sospeso – non c'era niente di urgente - , salì velocemente un paio di rampe di scale, con il senso di colpa, suo compagno onnipresente, a fare da eco ai suoi passi impazienti.
Le sale del nido brulicavano di attività operose, quando fece il suo ingresso trafelato, già pronta a scusarsi per aver lasciato (dentro di sé risuonava l'accusa: abbandonato) Alex alle loro cure più a lungo del previsto, nonostante li avesse scrupolosamente avvertiti che avrebbe tardato, come faceva sempre. Sapeva che non sarebbe stato un problema: il servizio era stato creato proprio per venire incontro alle esigenze dei poliziotti del suo distretto, e garantiva quindi una copertura maggiore rispetto alle altre strutture cittadine. Ma cercava sempre di andare a prendere suo figlio a un orario decente, per trascorrere con lui più tempo possibile, come ricompensa, che valeva per entrambi, per tutte le ore che erano costretti a trascorrere lontani.

L'odore tipico di quelle stanze, che l'accolse come ogni sera - un misto di profumo di fragole, talco e l'inconfondibile essenza di bambini - la rilassò all'istante, proiettandola in un mondo di mani paffute e filastrocche colorate, lontana migliaia di chilometri da omicidi e ogni altra miseria umana che doveva affrontare quotidianamente.
Da quando aveva avuto la certezza che l'identità dello sconosciuto fosse quella di Castle, era stata pungolata dall'impellente desiderio di fare a ritorno a New York il prima possibile per affondare il naso nel collo del suo bambino e aspirare il suo aroma innocente. Avvertiva il bisogno fisico di contrapporre la solidità del suo piccolo corpo al proprio tremante, per trovare un senso a quello che era successo e farsi ancorare a terra. Niente come guardarlo negli occhi grandi color nocciola – identici ai suoi - riusciva a rimettere le cose al loro posto, troncando di netto timori inutili e facendole distinguere quello che era importante, da quello che invece non lo era affatto.

Si affacciò nell'ampio salone dove erano riuniti i bambini ancora rimasti a quell'ora – per fortuna il suo non era l'unico ad avere un genitore che faceva spesso tardi – impegnati in giochi vivaci, immersi in un baccano infernale. Aveva sempre pensato che, per quanto il suo lavoro fosse complicato e spesso spossante, non era nulla a confronto di quello che le maestre di Alex dovevano sobbarcarsi quotidianamente. Per quanto la riguardava, le capitava spesso di essere sopraffatta da quell'unico esemplare che non arrivava al metro d'altezza e che le era capitato in sorte, figurarsi doverne gestire altri tutti insieme.
Lisa, una delle insegnanti del nido con cui aveva ottimi rapporti ed era maggiormente in sintonia, si alzò dal pavimento coperto di tappeti, tenendo in braccio il suo bambino riccioluto che aveva smesso di cantare canzoncine stonate - o qualsiasi cosa fosse stato impegnato a fare - e già si allungava smanioso per farsi prendere in braccio da lei, felice di vederla come si fosse trattato di un'apparizione miracolosa.
Le scaldava sempre il cuore essere accolta con tanto ardore ed entusiasmo dall'unico uomo presente della sua vita; la faceva sentire molto fortunata. Il legame che si era instaurato tra loro era stato molto profondo, quasi viscerale fin dall'inizio, e non sarebbe potuto essere altrimenti, viste le particolari condizioni in cui era venuto al mondo.

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