Trentacinque

219 6 0
                                    

Si era fatto tardi.
Era quello che avevano continuato a dirsi mentre lasciavano il ristorante, dopo essere rimasti da soli a parlarsi alla luce tremolante della candela consumata che un solerte cameriere aveva posizionato sul loro tavolo solo quando era stato abbastanza sicuro di non innescare le sue ire, che dovevano aver convinto mezza sala che lei e Castle stessero vivendo un divorzio molto difficile.
Avevano chiacchierato rilassati a voce bassa, sporgendosi l'uno verso l'altra, quando Castle aveva ripreso il suo posto di fronte a lei, dietro sua insistenza. Avevano confabulato fitto fitto per non far sentire i loro segreti al resto dei presenti.

Se l'erano ripetuto con convinzione quando Castle l'aveva cavallerescamente aiutata a infilarsi la giacca, in piedi alle sue spalle, indugiando troppo a lungo con le mani sui suoi fianchi, facendola arrossire e costringendola ad allontanarsi in fretta.
E di nuovo, ripetutamente, una volta all'aperto, nella strada ancora affollata da altri nottambuli come loro, quando nessuno dei due voleva tornare a casa, ma non osavano confessarselo.

Si muovevano spinti dalla forza d'inerzia, seguendo i passanti, per non essere costretti a prendere una decisione.
Kate stringeva tra le dita il cellulare che si era infilata in tasca. Nessun timore che potesse arrivare una chiamata improvvisa che interrompesse i preziosi minuti trascorsi insieme, come succedeva in passato.
Non voleva sapere quanto fosse tardi. Non voleva che l'incanto finisse e la voce della ragione venisse a richiamarli all'ordine. Non voleva tornare in un mondo in cui c'erano doveri e responsabilità.
C'era Alex da andare a prendere, perché sospettava che avessero già sforato il limite che si erano imposti. Non avevano voluto approfittare dell'aiuto di Martha e Alexis, e quindi avevano stabilito un orario di rientro. Era stata una delle condizioni poste all'inizio, senza la quale lei non avrebbe accettato di uscire a cena con lui.
Si sentiva in colpa perché Alex non le mancava come avrebbe dovuto e voluto e perché si stava godendo la prima serata spensierata senza suo figlio.
Sospirò. Nonostante cercasse di imporsi di tornare a vestire i panni della donna sensata che si era sempre pregiata di essere, la sua mente rifiutava di verbalizzare le parole che avrebbero posto fine alla serata.

Non aveva avuto idea di avere un tale bisogno di stare da sola con Castle, di tornare alla loro vecchia vita, pensarsi in due, ricevere occhiate di apprezzamento e sentire il suo braccio sulle spalle e l'improvvisa vicinanza fisica.
Si riscosse. Era stata così presa dai propri pensieri che non si era resa conto delle intenzioni di Castle. Intenzioni che non erano affatto rimaste relegate al solo aspetto speculativo, visto che si ritrovò con la giacca aperta e la mani di Castle allacciate dietro alla schiena, oltre alle labbra sul suo collo a solleticarle la pelle.
E per di più erano in un luogo dove potevano vederli tutti.
Che cosa gli era successo? Dove erano finiti la cautela e il rispetto delle regole?
"Ehi...", la protesta venne soffocata sul nascere da un paio di labbra molto decise che si imposero sulle sue.
In fondo non era la prima volta che si baciavano in strada, le parve di ricordare. Sì, c'era stata quella volta in cui avevano agito sotto copertura e avevano finto che non si stessero baciando davvero. O che non ne avessero voglia o che lei non avesse un altro. Forse anche lui. No, lui era stato libero.
Forse potevano farlo anche questa volta? Fingere? D'un tratto, quando il bacio divenne più profondo, non le importò più nulla di tutto il resto e smise di dar retta a pensieri illogici e privi di ogni utilità.

Si staccò a fatica solo quando il livello del decoro finì sotto livelli allarmanti.
"Non dovevamo andare per gradi? Sarebbe il bacio della buonanotte, questo?", protestò per il solo gusto di farlo, senza nemmeno sapere di preciso se stesse dicendo qualcosa di coerente. Si tolse qualche ciocca dal viso. Doveva avere dei capelli orribili. Cercò di riassettarsi in modo approssimativo.
"Assolutamente no. Non siamo ancora tornati a casa", replicò determinato a tenersela tra le braccia, avventandosi di nuovo su di lei con intenzioni non del tutto adatte a una donna onesta a pudica, come lei ovviamente si percepiva.
Lo spinse via facendo forza con entrambe le braccia. Solo per fare un po' di scena. "E le stelle? Mi avevi promesso fiori, cioccolatini e stelle. Tante".
Castle alzò gli occhi sul cielo rischiarato dalle luci della città, trascurandola solo per un istante.
"New York è avara di stelle", sentenziò con voce teatrale, facendola scoppiare a ridere. Si sentiva molto sciocca.
"Sono queste le metafore per cui ti pagano?", chiese con grande impudenza.
Ebbe in cambio solo un sorriso di circostanza, che la turbò.
"Tutto bene con i tuoi romanzi? Hai iniziato a scrivere qualcosa?", si arrischiò a domandargli. Sapeva che era molto sensibile sull'argomento. Non voleva mettergli nessuna pressione, ma ormai era tornato da qualche mese e le cose, a giudicare dagli ultimi eventi, si erano assestate secondo un ritmo piacevole in cui tutti si sentivano a loro agio. Era finito il gelo degli inizi.
"Sì. Qualcosa", fu l'unica risposta che ottenne in cambio e che non trovò per nulla incoraggiante. Forse c'erano ancora cose che dovevano essere spiegate, capite e risolte.

RainbowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora