Tredici

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"Ti va di andare a mangiare qualcosa?", lo invitò di punto in bianco.
Era un'idea sorta senza nessun preavviso, né pianificazione anteriore, che sorprese lei per prima per la sua audacia. Le sembrò ottima, una volta che l'ebbe messa a fuoco ed ebbe deciso che era quello che desiderava di più in quel momento. Perché no, in fondo? Avrebbero trascorso ancora del tempo insieme, senza essere costretti a salutarsi per andare ciascuno per la propria strada, e l'avrebbero fatto in un ambiente rilassato e non soggetto a regole esterne poco flessibili. Proprio l'obiettivo che si era sempre prefissata per il primo incontro tra Castle e Alex, se lui non fosse piombato al distretto a forzarle la mano.
Dalla reazione allibita di Castle sembrò che gli avesse appena proposto di fare il palo durante una rapina in banca.
"Non devi tornare al lavoro?", si informò, forse un po' stranito dal dover essere lui la persona adulta dentro alla stanza. Lo trovò molto buffo, così seriamente preoccupato per la sua insolita avventatezza.
"Sì, dovrei", sospirò. "Ma ho saltato la mia pausa pranzo e da quel che vedo anche tu hai bisogno di mettere qualcosa di solido nello stomaco".
"In effetti sì", le sorrise con calore, visibilmente felice per la sua proposta. "Prima però possiamo trascorrere ancora qualche minuto con lui?", le chiese, combattuto tra l'evidente desiderio di portarla fuori di lì prima che cambiasse idea e venisse di nuovo fagocitata dai suoi doveri e il desiderio di rimanere con Alex solo un po' più a lungo. "Mi sembra di essere stato con lui così poco", mormorò guardandolo con tale struggimento da farle sanguinare il cuore. "Ma so di averti già chiesto molto, quindi capirei se preferissi andare via, anzi, quando vuoi...".
Kate rimase ad ascoltare il suo ennesimo tentativo di pacificazione intraspecifica con pazienza olimpica.
"Alex viene con noi", annunciò quando la vena di diplomazia recentemente apertasi in lui – che lei faticava a tollerare – si esaurì.
A quel punto Castle fu certo che lei intendesse davvero andare a rapinare una banca.
"Smettere di lavorare a metà giornata e far uscire Alex da scuola prima del solito? Chi sei tu? Che ne hai fatto della vecchia Beckett?!", esclamò al colmo della meraviglia.
"È un'occasione speciale", ribatté compunta, per farlo tacere. Evitò di metterlo al corrente che era capitato numerose volte che decidesse di prendersi qualche ora libera da passare con il loro bambino, quando le sembrava di averlo trascurato troppo, o aveva semplicemente bisogno della sua presenza. Era molto meno rigida di quanto Castle ricordasse, soprattutto con Alex.
"Ma se per te è troppo sovversivo, Castle, possiamo sempre rimandare a un'altra volta". Glielo propose beffarda, immaginando di provocare la prevedibile reazione di farlo schizzare verso l'uscita trascinandola con sé, ma senza dare per scontato che sarebbe andata così. Si sentiva un po' a disagio con il nuovo Castle apparentemente tanto ligio al dovere. Fu sollevata dal lampo di panico che gli attraversò il volto, al pensiero di vedersi portar via lo scenario magico che lei gli aveva sventolato davanti, e tutto per colpa sua.
"Penso che sosterrò il vostro atto di ribellione", accettò con ostentata solennità.
Alla fine, pensò Kate, continuava a conoscere il suo pollo.
Kate si rivolse ad Alex. "Hai voglia di uscire con la mamma e... questo signore?", finì dopo una pausa, trattenendosi a stento dal ridacchiare. Era stata colta dalla voglia irrefrenabile di un po' di leggerezza. Quale migliore occasione di prendersi gioco di lui?
"Ehi. Adesso sarei diventato "questo signore", dopo che gli hai spiattellato la vera natura del nostro rapporto, nonostante i precedenti accordi?", la riprese severo.
"Oh, te ne sei accorto, Castle? Pensavo non avessi sentito, visto che te ne stavi imbambolato come uno stoccafisso", gli rammentò felice di poterlo punzecchiare. La prospettiva di uscire con i suoi uomini l'aveva elettrizzata e voleva contagiarli con il suo entusiasmo.
Si alzarono in piedi insieme, aiutandosi a vicenda.
"Beckett, devi smettere di trattare male il padre di tuo figlio davanti a lui. Che esempio pensi di dargli?", la rimproverò a bassa voce, per non farsi sentire.
"Alex", cambiò idea e tornò ad abbassarsi per essere alla sua altezza. Kate temette che quei continui sbalzi di pressione non fossero l'ideale, ma preferì evitare di fare la mamma chioccia e protettiva anche con lui. "Papà non è uno stoccafisso. Era solo rimasto senza parole quando ti ha visto".
"Parlare in terza persona non ti rende affatto inquietante, Castle", intervenne ironica dall'alto, stringendo con fare rassicurante la manina calda di Alex, non del tutto convinto di trovarsi davanti una persona che rispettasse i normali standard di comportamento a cui era abituato e non sapendo di preciso come reagire.
"Penso che dovremo passare molto, molto tempo da uomini insieme, tu e io", proseguì senza degnarla di un'occhiata, ma cambiando il pronome personale dopo il suo appunto. "Chissà che cosa ti avranno raccontato di me tutte le donne da cui sei stato circondato da quando sei nato, povero piccolo.
"Ha passato la maggior parte del tempo con mio padre", ribatté senza camuffare il sarcasmo.
"Proprio per questo hai bisogno che qualcuno ti racconti la verità su tua madre, Alex. Hai frequentato solo il suo fandom, e nessuno ti avrà detto le cose per come stanno. Devi sapere che la prima volta che ci siamo incontrati, la mamma ha pensato che papà fosse molto affascinante – perché lo è sempre stato – ma, vista la sua testardaggine, sono dovuti passare quattro anni prima che... ".
"Castle!", lo interruppe prima che degenerasse in dettagli indiscreti, già inquietata dal fatto che Alex lo stesse ad ascoltare con interesse. Per fortuna era troppo piccolo per capire le teorie folli che voleva propinargli.
Cercò in fretta qualcosa da dire. "Che cosa significa che ha passato troppo tempo con i miei fan? Tu non saresti uno di loro?". Inarcò un sopracciglio con fare intenzionalmente seduttivo. Castle si rialzò lentamente, concentrando di nuovo l'attenzione su di lei.
"Tu che cosa ne dici, Beckett? Non sono un tuo fan?", le chiese con voce suadente, avvicinandosi in modo azzardato oltre la soglia del pericolo.
Dovrei decisamente cucirmi la bocca, prima di farmi scappare frasi del genere, si ammonì silenziosamente Kate.
Evitò di rispondere alla sua provocazione, che aveva iniziato lei per prima, volgendosi, questa volta, verso lidi più sicuri e meno rischiosi.
"Ti ho portato dei moduli da firmare", lo informò più sobriamente, mettendo fine ai loro soliti vivaci scambi di battute. Non voleva confondere Alex. O più che altro se stessa.
"Quali moduli?".
"Si tratta dell'autorizzazione per passare a prendere Alex qui all'asilo". Non seppe interpretare di preciso l'espressione che nacque nei suoi occhi, quindi fu costretta a spiegarsi meglio. "Ho pensato che prima o poi capiterà che tu lo faccia e senza permesso non ti faranno nemmeno varcare la soglia. Quindi ho chiesto a Lisa di inserire il tuo nome nella lista delle persone a cui è consentito farlo. Sempre che a te vada bene", aggiunse vedendolo dubbioso. "Forse avremmo dovuto parlarne prima?". Non capiva perché si fosse stranito, non le sembrava una cosa così straordinaria, era solo un fastidio burocratico in meno per tutti.
"No, hai fatto bene. È che... ", per essere uno scrittore, rimaneva a corto di parole piuttosto di frequente. "Non me lo aspettavo. Non avevo ancora pensato tanto in là nel futuro. È come se iniziassi davvero a far parte ufficialmente della sua vita. Grazie".
Era lei che vedeva cose che non esistevano, o aveva gli occhi lucidi? Forse era stato solo un abbaglio. O del pulviscolo che li aveva irritati.
Lei non aveva considerato il gesto come qualcosa di simbolico, la sua vita era piena di dettagli pratici che doveva cercare di semplificare e questo era uno di quelli, ma sì, da un certo punto di vista, senza nemmeno rendersene conto, capì di avergli concesso il suo primo incarico ufficiale da padre. Fu lieta di averlo fatto e di averlo reso felice, anche se non volutamente.
Dopo che ebbero concluso la compilazione dei moduli, si spostarono nell'atrio, per procedere alla vestizione di Alex. La descriveva così, spesso con uno sbuffo esasperato, perché era sempre un momento difficile nella loro quotidianità, a causa delle proteste del bambino che non voleva mai saperne di indossare giacche e cappotti, nonostante il freddo esterno. Non aveva mai patito le basse temperature. Mise Castle al corrente dell'ordalia che stavano per affrontare, dandogli indicazioni precise che si riducevano, in sostanza, a non credere che lei stesse per ammazzare poveri figli indifesi.
"Vuoi che ci provi io?", si offrì volenteroso.
Kate fece una smorfia. Magari avesse potuto rifilare l'incombenza a qualcun altro.
"Grazie, ma è meglio se lo faccio io. Lui non ama essere toccato dagli...", stava per dire sconosciuti, ma si morse la lingua in tempo. "Da altre persone". Anche se Castle era tecnicamente un estraneo, la addolorava doverlo puntualizzare.
Recuperò la giacca a vento azzurra dall'armadietto con il suo nome scritto sopra a grandi lettere colorate e si predispose ad affrontare la sua battaglia quotidiana che però prese subito una piega diversa.
Alex si dimostrò insolitamente collaborativo, quando lo sollevò per metterlo in piedi sopra una panchetta di legno, in modo da rendere il suo compito meno faticoso. Era più che collaborativo, dal momento che si lasciava strapazzare senza battere ciglio e in perfetto silenzio. Kate si fermò con la sciarpa in mano, per capire che cosa stesse succedendo.
Con sgomento, trovò Alex con gli occhi spalancati intento a fissare qualcosa davanti a sé, così assorto da fargli dimenticare di dover ingaggiare la solita estenuante lotta con sua madre preoccupata all'idea che si prendesse un malanno.
Il mistero fu presto chiarito e il motivo non poteva che essere uno soltanto.
Castle aveva recuperato, in una delle scatole dei giochi lì accanto, dei pupazzetti di stoffa variopinti da infilarsi sulle dita e aveva poi preso a muoverle in modo buffo, rendendole protagoniste di una storiella senza né capo né coda, che aveva assorbito tutta l'attenzione del pargolo, troppo impegnato a non perdersi nemmeno una parola che usciva dalla bocca del padre. Con grande professionalità, Castle aveva anche usato voci diverse, caratterizzate in base ai personaggi.
Lei aveva viaggiato in modo tanto automatico da non essersi nemmeno accorta dell'iniziativa che Castle aveva attuato per aiutarla nell'arduo compito. Non era meraviglioso avere finalmente un alleato che potesse aiutarla a navigare le acque della vita genitoriale, rendendole meno pesanti da affrontare?
Per qualche secondo anche lei, come Alex, venne trascinata nel mondo fantastico che Castle stava dispiegando di fronte a loro.
Quando gli ebbe infilato anche i guanti, e senza ricevere in cambio nemmeno una protesta, Kate comunicò silenziosamente il successo della loro avventura a Castle. Lui fece quindi accomiatare le sue marionette, facendole inchinare e dare appuntamento al loro unico spettatore per un futuro prossimo non meglio definito.
Alex agitò la mano per salutarli, facendosi fiorire sul volto il primo sorriso di puro entusiasmo diretto al padre.
Era troppo. Era un continuo attacco alle sue emozioni in completa rivolta contro la sua parte razionale, pensò Kate, accarezzando i riccioli di suo figlio, per non mostrare all'esterno il suo turbamento.
Qualsiasi gesto facesse Castle per mettersi in relazione con Alex, era sempre invariabilmente quello giusto e questo la metteva sotto scacco, aprendo brecce nei suoi argini rinforzati. Doveva fare quattro chiacchiere con se stessa.

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