Kate si guardò intorno, notando solo allora la confusione da cui erano circondati. Urla, salti, giochi in un andirivieni continuo. Sospettò che fosse un ambiente troppo rumoroso e impegnativo per Castle e che aumentasse le difficoltà della situazione delicata che stavano fronteggiando.
Ricordò che, qualche metro più in là, c'era un locale più piccolo e riservato, che poteva fare al caso loro.
"Aspettami qui", avvertì Castle con premura, prima di scomparire frettolosamente con Alex – non poteva ancora lasciarli da soli - alla ricerca di Lisa, per chiederle il permesso di occupare una stanza tutta per loro, che le venne accordato senza problemi. Avrebbero probabilmente dovuto pensarci prima.Ritornò da Castle di corsa con ansia velata, ma fu piacevolmente sorpresa nel trovarlo più vivace di prima: la breve pausa doveva essere servita a fargli tornare un po' di vigore e una certa presenza di spirito. Lo invitò con un cenno ad allontanarsi da lì e a seguirla lungo il corridoio, finché non trovò il luogo che stava cercando, immerso nel silenzio. Finalmente un po' di pace.
C'erano dei tavolini bassi e variopinti, attorniati da minuscole sedie, e alcuni giochi disseminati sul pavimento, verso i quali Alex, che stava scalpitando stanco di stare in braccio a lei, si affrettò a dirigersi in totale autonomia.
Lei e Castle sedettero sul bordo di alcuni materassini stesi a terra, cercando di mettersi comodi in qualche modo. Non era la soluzione più confortevole, ma era già un miglioramento rispetto alla situazione precedente.
Aveva fatto in tempo a recuperare un bicchiere d'acqua fresca, che porse a Castle sollecita e che lui accettò con gratitudine, bevendolo tutto d'un fiato. La sosta forzata in piedi l'aveva provato più di quanto volesse ammettere, insieme allo sfinimento indotto dall'intensità emotiva che li aveva travolti.
Gli lasciò tutto il tempo di rimirare Alex, assorto a qualche metro da loro, impegnato a esplorare lo spazio familiare circostante.
Kate sperimentò l'inaspettata, inebriante sensazione di osservare suo figlio attraverso gli occhi già adoranti del padre e scoprirlo nuovamente, come se fosse appena nato. Provò un moto di fierezza nel vedere Castle tanto compiaciuto e soddisfatto. Di più. Sembrava al cospetto di qualche divinità improvvisamente manifestatasi a lui. Una sorta di epifania sacra nella sala di un asilo con le coccinelle alle finestre.Quando si fu colmato gli occhi del mondo traboccante di Alex, tornò a volgere la sua attenzione su di lei. Le sembrò molto meno confuso di prima e ne fu sollevata.
Le spostò delicatamente una ciocca di capelli dietro all'orecchio, accarezzandole con la punta delle dita la linea del viso. Kate accettò quel gesto intimo con la consapevolezza che non si trattava di un tentativo di corteggiamento. Era a lei come madre che si stava rivolgendo, non alla donna dormiente nascosta da qualche parte dentro di lei. Voleva solo comunicarle quello che stava provando, sentimenti travolgenti che avevano bisogno di qualche tempo per tradursi in parole.
Gli sorrise, lasciandosi sfiorare la pelle che anelava al suo tocco, concedendosi qualche secondo di conforto, prima di tornare a rivestirsi dei ruoli che lei aveva stabilito per entrambi.
"Grazie per avermi permesso di vederlo". Racchiuse la sua guancia nel palmo della mano. "È un piccolo essere bellissimo, Kate", mormorò grato e commosso. "Hai fatto un lavoro magnifico, tutto da sola. So che cosa vuol dire".
Kate accettò i complimenti con un nodo in gola. Se solo si fosse azzardato ancora una volta a scusarsi di non essere stato presente l'avrebbe spedito a farsi un giro da Lisa, che lo avrebbe rapidamente dissuaso dall'addentrarsi di nuovo in quel campo minato.
Inclinò la testa per farsi cullare dalla mano carezzevole, socchiudendo gli occhi.
"Ero stato così sprovveduto da temere di dover ripetere l'esperienza di crescere un figlio come unico genitore, e invece è toccato a te. Mi dispiace così tanto, Kate. Non faccio che pensarci, da quando ho saputo della sua esistenza".
Eccolo che ricominciava. Qualcuno doveva dargli una sonora strapazzata.
Alzò la testa, sottraendola malvolentieri al suo tocco, ma volendo chiudere l'argomento definitivamente.
"Castle, possiamo andare oltre, una volta per tutte? Non mi hai sedotto e abbandonato mentre ero incinta, infischiandotene delle tue responsabilità. Non è colpa tua, smettila di scusarti. Adesso se qui. È questo che conta".
Era forse stata un po' brusca? Non le importava. Ogni volta che sentiva quel "Mi dispiace", pronunciato con tono mesto, si riproponeva intatto il dolore della sua gravidanza solitaria. Doveva essere un tempo di gioia, non di recriminazioni penose.
"A dire il vero ti ho abbandonato mentre eri incinta", mormorò contrito, facendola infuriare. Era piacevole scoprire che non aveva perso la sua testardaggine, ma era estenuante averci a che fare. Certe cose non cambiavano mai. Nel bene o nel male.
"Non sapevi che fossi incinta, a quel tempo", obiettò, per amore di onestà.
"Che cosa significa? Che se lo avessi saputo sarei rimasto? Kate, non ho scelto di andarmene. Volevo stare con te e volevo sposarti", obiettò alzando la voce in uno dei suo repentini e ormai abituali cambi d'umore, travisando le sue parole come faceva spesso, questo si arrivava a quell'argomento. Alex li guardò allarmato.
Come erano finiti di nuovo nel baratro di quella discussione, dopo essersi ripromessi di non farlo? Era presto, non erano pronti, vivevano ancora nella provvisorietà del suo ritorno.
"Avevamo deciso di non parlarne", gli ricordò paziente, lanciando al contempo occhiate rassicuranti ad Alex. Non voleva turbarlo più del necessario.
"Vorrei solo che tu ti convincessi che non ho mai voluto lasciarti. Perché è evidente che non lo sei. Convinta", sospirò, sapendo, come lei, che quella conversazione non li avrebbe portati da nessuna parte.
Kate si abbracciò le ginocchia. "Lo so che non hai voluto farlo", ammise in un soffio, per calmarlo, almeno per il momento. Lo sapeva davvero? Quando sarebbe riuscita a superare la ferita dell'abbandono che si era risvegliata tanto prepotentemente dopo la sua scomparsa? Ci voleva tempo, avrebbero detto tutti. Un concetto che mal si adattava alla sua natura impaziente.
Per una volta Castle le diede retta, e accantonò la questione che tanto gli stava a cuore, pronto a riesumarla alla prima occasione."Vorrei... abbracciarlo", continuò Castle voltandosi a controllarlo, un istinto che aveva scoperto di possedere anche lei, la necessità costante di sincerarsi che un bambino lasciato a se stesso non si cacciasse in qualche guaio. "Ma non voglio spaventarlo. Sono un estraneo per lui", commentò in tono neutro, una semplice descrizione dei fatti che non venne velata da alcuna amarezza.
Kate avrebbe desiderato con tutto il cuore anticipare i tempi della loro conoscenza, o indurre Alex a mostrare un po' di calore per il padre ritrovato. Ma non era un bambino che si lasciasse imporre di mostrarsi amichevole con gli estranei, e lei era stata molto attenta a insegnargli che nessuno doveva obbligarlo a una vicinanza fisica indesiderata. Nessun "Dai un bacio a chicchessia" nella sua educazione. Fu felice che Castle rispettasse a tal punto il loro bambino, i suoi tempi e i suoi spazi, da non forzare un contatto che doveva bramare più di ogni altra cosa al mondo – toccare suo figlio - , sull'onda alta dell'emotività in corso. Il suo cuore di madre gliene fu molto riconoscente.
Gli sfiorò un ginocchio, prima di ritrarsi imbarazzata. Tra i presenti, era decisamente lei quella che aveva bisogno di rivedere il concetto di rispetto della fisicità altrui. Non faceva che toccarlo. Non era quello che si era ripromessa. Non poteva lasciare che la sua confusione su quello che provava per lui creasse problemi nel rapporto tra Castle e Alex, che avrebbe preso lei come punto di riferimento, almeno all'inizio, su come rapportarsi a quello sconosciuto che li avrebbe frequentati assiduamente.
Alex, da sempre molto sensibile agli stati d'animo di sua madre, doveva aver deciso che ci fosse qualcosa che la turbava, a qualche livello infantile che ancora non si traduceva in una consapevolezza precisa. Avanzò verso di loro gattonando – perché era ancora il metodo migliore per spostarsi con rapidità – e si alzò in piedi facendo leva sulle sue gambe.
Appoggiò una mano sulla sua spalla per tenersi in equilibrio, mise l'altra sul fianco e rivolse un'occhiata severa a Castle, che scoppiò a ridere fragorosamente, contagiandola.
"Ha il tuo sguardo, Beckett, non puoi negarlo. Lo stesso di quando mi rimproveravi per le mie teorie inverosimili – a detta tua. Gli hai per caso già insegnato ad alzare gli occhi al cielo?", continuò, all'apparenza divertendosi moltissimo.
Si chiese se lo stesse facendo a beneficio di entrambi, quel fingere un'allegria che non provava, solo per rasserenare l'atmosfera.
Lei si commosse un po', ricordando come fosse sempre stata una sua priorità far star bene le persone prima che se stesso, ma gli nascose gli occhi lucidi. Alex, invece, si stava dimostrando un osso più duro. Non si fece impressionare, nel suo intento di proteggere la madre. Le sembrò perfino più alto, tutto d'un tratto.
"Castle, capisco che tu sia su di giri, ma non mi assomiglia così tanto", protestò. Prese il viso di Alex tra le mani, per scrutarlo con attenzione, voltandolo infine verso Castle. Il bambino non era del tutto felice di quei maneggi, ma la lasciò fare senza ribellarsi. "Guarda qui", gli indicò la linea delle labbra e le fossette che si crearono quando sorrise automaticamente sotto il tocco delle sue dita. Era sempre stato così, fin da quando aveva imparato a sorriderle, poco più che neonato. Castle osservò dubbioso. "E guarda i suoi capelli. Io non ho una calotta incollata alla testa", rise. L'aveva sempre preso in giro per quella caratteristica.
"Ehi, attenta a come parli!", la redarguì Castle. "Non offendere il lato maschile della tua famiglia. Sei in minoranza adesso".
"Il lato maschile è anche vestito nello stesso modo", mormorò Kate, impegnata a scrutarli entrambi con stupore. Se ne era accorta solo in quel momento, ma era innegabile che, per una strana casualità, indossassero dei vestiti molto simili, almeno cromaticamente. I pantaloni erano gli stessi, ma si trattava solo di un normale paio di jeans. Era il colore della parte superiore a essere identico: l'esatta sfumatura di blu per entrambi, anche se Castle indossava una camicia e Alex una semplice maglietta, perché all'asilo sconsigliavano vivamente l'uso di indumenti complicati da gestire da parte del personale. Altrimenti avrebbero passato giornate intere ad allacciare bottoni e raddrizzare colletti. Senza quella regola non ci sarebbe stata differenza.
"La mamma ha buongusto, vero Alex?", chiese Castle con fare complice al bambino.
Quante altre volte non sarebbe stata pronta allo scioglimento dei ghiacciai del suo cuore e all'invasione di una dolcezza straripante? Stava diventando stucchevole e le veniva da piangere ogni cinque minuti e solo perché lui l'aveva chiamata "mamma" davanti ad Alex. Era il riconoscimento a cui aveva sempre aspirato. Le sembrava tutto così normale e sconosciuto da non sapere come uscire viva da quel mulinello di emozioni altalenanti che non sapeva come avesse fatto a comprimere finora.
Peggio ancora, era già stata trascinata in un mondo sognante che non si era mai concessa di immaginare, quello in cui Castle era stabilmente introdotto nelle loro vite, nel ruolo che gli spettava di diritto e una delle colonne della loro famiglia. Non poteva permetterselo. Non ancora.
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Rainbow
Fanfiction7x01: Castle viene ritrovato dopo essere stato via un po' di più di otto settimane... e il suo ritorno sarà ricco di sorprese