Diciotto

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Con il trascorrere delle ore, che si erano dispiegate allegre e spensierate, a causa di un surplus di eccitazione e stanchezza dovute a tutte le novità portate da Castle, Alex divenne sempre più piagnucoloso e intrattabile.
"È stanco", mormorò Kate come spiegazione, prendendolo in braccio, nonostante i tentativi di ribellione messi in atto con forza e testardaggine. Gli infilò le dita tra i capelli sudati sulla nuca, sollevandoli per rinfrescarlo.
Sapeva riconoscere il punto in cui non era più grado di gestire emozioni troppo intense e soverchianti, e quindi toccava a lei farlo per lui, anche se questo avrebbe significato assumersi il ruolo ingrato della cattiva che dichiarava la fine dei giochi. "Dovrebbe essere già a letto da un pezzo", continuò, dando una rapida occhiata all'orologio che aveva al posto, evitando abilmente i calci irrequieti di Alex contro i fianchi.
"Mi dispiace, è colpa mia", si affrettò a scusarsi Castle.
"Non è colpa di nessuno", lo rassicurò, sorridendogli. "Anche io ho perso la cognizione del tempo. Succede, quando ci si diverte".
Il premio per la frase scontata del secolo sarebbe andato senz'altro a lei, quella sera.
Si alzò in piedi, decisa a trasferire Alex in camera da letto, per cercare di farlo addormentare. Sapeva già che, proprio perché era così esausto, non avrebbe ceduto tanto in fretta al sonno.
"Temo che starò via per un po'", lo avvisò a malincuore. Era una madre, prima di tutto, ricordò a se stessa. Eppure non desiderava altro che Alex crollasse addormentato all'istante, per trascorrere un po' di tempo in pace con Castle, non avendo idea di quanto sarebbe rimasto da lei, prima di tornarsene a casa.
Non sopportava l'idea di chiudersi in una camera buia, sapendo che lui era in salotto, seduto sul suo divano. La sentiva come una profonda ingiustizia. Eppure non le era mai pesato occuparsi di Alex, anche durante i periodi peggiori.
"Non preoccuparti. Farò un po' d'ordine e ti aspetterò con un bicchiere di vino", le propose con aria più che invitante.
Kate si mordicchiò il labbro. Non le stava certo rendendo facile la situazione. Poteva evitare di farle balenare davanti immagini tanto allettanti, proprio quando non poteva trasformarle in realtà.

Seguì una lunga cerimonia di congedo. Alex era un bambino educato che, nonostante la giovane età, teneva molto alle buone maniere da piccolo lord. Castle dovette essere salutato con grande formalità e qualche ultima raccomandazione sconclusionata, che strappò a Kate una risata divertita in sottofondo.
Finalmente convennero di essersi adeguatamente comunicati quanto dovevano e Kate fu libera di portare il pargolo a letto.
Sembrava essersi già un po' calmato, visto il modo in cui faceva ciondolare la testa sulla sua spalla, che era di solito un ottimo segno.
Castle gli accarezzò la guancia con un dito, augurandogli la buonanotte. Non venne alcun cenno di reazione da parte di Alex. Era quasi fatta.
Prima di andarsene, Kate inciampò in un inaspettato bacio in fronte offertole da Castle, che evidentemente aveva preso molto sul serio il rito di passaggio verso i mondi onirici.
"Io non sto andando a letto, Castle", precisò.
Sperava che non significasse che aveva intenzione di tornarsene a casa al più presto. Fuori imperversava ancora la bufera, che si era intensificata mentre si erano crogiolati nel tepore festoso del suo appartamento. Non era il caso che affrontasse le intemperie notturne con tanta urgenza. Rabbrividì al pensiero.
"Se stessimo parlando di un'occasione del genere, non ti bacerei di certo in fronte", replicò allusivo, senza nascondere quanto si divertisse a provocarla.
Era fatto così, non avrebbe mai smesso di giocare con i doppi sensi, nemmeno quando la situazione avrebbe richiesto un minimo di serietà. E lei li avrebbe sempre apprezzati nascostamente.

Come scoprì presto una volta oltrepassata la soglia, il compito che l'aspettava non filò liscio per come si era augurata.
Alex aveva nessuna intenzione di dormire. Si tirò su vispo e arzillo, come se avesse fatto il pieno di energie in quei pochi minuti di riposo, e fu pronto ad affrontare una nuova festa di compleanno o un'altra sfrenata sessione di giochi con Castle, da cui sapeva bene di essere diviso soltanto da un muro.
Indicava con insistenza la porta, dimenandosi per farsi deporre a terra e precipitarsi dal padre perduto. Sarebbe stato commovente, se non fosse stata l'ora di andare a dormire.
Imponendosi, senza tener conto dei suoi precisi desideri, lo costrinse a sdraiarsi nel suo lettino, onta alla quale Alex si ribellò con grande furore, rimettendosi in piedi ogni volta che tentava di convincerlo con le buone a fare la nanna.
"Sei stanco. È per questo che sei così nervoso. Devi dormire", gli spiegò con il tono più tranquillo che le riuscì. In realtà era la prima a essere impaziente e Alex stava solo facendo da cassa di risonanza. Ma lei aveva un motivo valido per non essere rilassata, che Alex non era ancora in grado di capire.
Kate mise in atto il repertorio completo previsto per quel genere di circostanze difficili. Lo cullò a lungo, gli cantò a bassa voce qualche canzoncina che di solito aveva successo, gli accarezzò la schiena come faceva quando era neonato, arrivando a implorarlo di dormire, quando non si accorse di non sortire alcun effetto. Più passava il tempo e più diventava insofferente.
Si ridussero a essere stremati entrambi dallo scontro di due volontà di pari grado, ma segno opposto.

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