Quattro

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Kate seguì Lisa docilmente, accomodandosi sulla sedia che le indicò e lasciando cadere stancamente la borsa a terra.
"Problemi di lavoro o con Alex?", si informò l'altra versandole una tazza di tè, senza chiedere la sua opinione. Kate apprezzava e trovava confortevole il modo ruvido con cui si prendeva cura delle persone.
"Nessuno dei due", rispose assaggiandone un piccolo sorso, cercando nel frattempo di evitare che Alex pretendesse la tazza per sé e se la rovesciasse addosso.

Kate valutò se dirle tutta la verità. Decise infine che non era il caso di fare silenzio: presto la notizia avrebbe fatto il giro del distretto e sarebbe stata sulla bocca di tutti.
Per il bene di Alex sarebbe stato necessario pianificare una strategia per introdurre gradualmente Castle nelle loro vite e il contributo di Lisa, che lo conosceva tanto bene e gli era affezionata, sarebbe stato prezioso. O forse stava correndo troppo? Castle non si era ancora svegliato e lei non aveva nessuna idea del tipo di persona che si sarebbe trovata davanti, dopo così tanto tempo. Poteva essere diventato un estraneo. O peggio.
"Il padre di Alex... Castle... ", esordì.
Lisa annuì. Non c'era in effetti bisogno di specificarlo. Tutti sapevano chi fosse ed erano al corrente della sua scomparsa, il giorno previsto per le loro nozze.

"È tornato oggi. È stato ritrovato oggi", si corresse in fretta. Non era tecnicamente tornato. Non poteva ancora sapere se avesse manifestato il desiderio di ricomparire nelle loro vite, o se, per un caso fortuito, fosse stato riportato da loro, mentre era impegnato a non farsi trovare.
Lisa fece silenzio. Forse era rimasta senza parole, e si sarebbe trattato di un evento straordinario, conoscendo il tipo.
"Come sta?", si informò in modo neutro, attenta a non inoltrarsi in argomenti indesiderati.
"È ancora incosciente", la informò velocemente.
Kate abbassò lo sguardo a fissarsi le mani strette intorno al piccolo corpo di Alex. "Non è in perfetta salute, ma non ha niente di grave, secondo quello che sostengono i medici. Immagino che per fare un quadro più completo debbano aspettare che si risvegli".
"Sei andata da lui?".
"Sì, per il riconoscimento. È il motivo per cui ho fatto tardi".
"E tu come stai?".
Era tipico di Lisa preoccuparsi del suo stato d'animo, al contrario di quello che faceva lei, abituata per deformazione a mettere le esigenze degli altri davanti alle proprie.
Kate preferì rispondere con la verità. "Non lo so. È successo tutto così all'improvviso. Ho aspettato per mesi di rivederlo e adesso che è successo, non riesco nemmeno a capire come mi sento. Euforica e atterrita. E tutto quello che c'è nel mezzo". Scosse la testa.
Lisa le sfiorò una mano in un gesto di conforto. Kate riprese a parlare.
"Devo... dobbiamo pensare a come farlo entrare nella vita di Alex, quando si sarà ripreso. Dobbiamo farlo nel modo più adatto per lui. Non voglio sconvolgerlo", spiegò, riferendosi al figlio con l'ultima affermazione, già pronta da entrare in azione in modalità protettiva.
Sapeva che se ne avesse parlato con chiunque altro, la reazione comune sarebbe stata quella di invitarla a non fasciarsi la testa prima del tempo. Le avrebbero consigliato di aspettare che Castle si risvegliasse, prima di iniziare anche solo a preoccuparsi del rapporto che avrebbe instaurato con suo figlio.
Non era invece nella sua natura attendere il dispiegarsi degli eventi. Era abituata a decidere un piano e tradurlo in azione. Doveva agire concretamente. Solo così avrebbe sentito di mantenere il controllo, invece che rimanere in balia di una situazione che non riusciva ancora a definire chiaramente.
"Non nella tua di vita? Solo in quella di Alex?", si informò Lisa con molto tatto, anche se non poté impedirle di irrigidirsi.
"Non è quello che conta in questo momento", replicò duramente. "A prescindere dal tipo di rapporto che avremo io e Castle, lui è comunque il padre di Alex, e lo sarà per sempre. Farà parte della sua vita, anche se magari non della mia".
Capì che sarebbe stata costretta a ripeterlo alle persone intorno a lei molte più volte di quante le sarebbe piaciuto. Forse anche a Castle. Lei e Alex erano due entità diverse. E lui era prioritario e lo sarebbe stato sempre.
Lisa non insistette, di fronte al suo atteggiamento energico. "D'accordo, penseremo al da farsi. Sono sicura che Alex non avrà problemi ad accettarlo". Sorrise al bambino ancora in braccio a sua madre, che ricambiò festoso, mettendo in mostra i pochi denti che aveva. "Mi hai sempre detto che era molto capace con i bambini, giusto? E che loro lo adoravano".
"Lo era, sì". Kate assunse un'espressione sognante mentre si lasciava sommergere dai ricordi. Fu solo un attimo, che bastò ad ammorbidirle i lineamenti contratti. Scostò dalla fronte di Alex un ricciolo ribelle, notando gli inequivocabili segnali del sonno incipiente. Se si fosse addormentato a quell'ora avrebbe sballato la loro tabella di marcia – già alterata dal suo ritardo – e, come conseguenza, avrebbero passato l'ennesima notte in bianco. Dovevano tornare a casa al più presto e cercare di recuperare la loro routine domestica, che Alex trovava, come tutti, rassicurante. "Ero io quella poco predisposta ai bambini e guarda invece come siamo finiti". Sorrise anche lei.
"Tu sei una buona madre, Kate", affermò Lisa, con tono deciso, intenzionata a mettere a tacere i suoi dubbi.
Era solo l'ultimo round di un vivace scambio di idea che si protraeva da tempo. Lisa era da sempre una grande sostenitrice del suo operato nelle inconsuete vesti materne a cui non era convinta di essere adatta, e per questo le era grata. Per quel che la riguardava, aveva spesso molti dubbi sulla sua effettiva capacità di farlo crescere sereno, senza fargli pesare la mancanza di un padre. Soprattutto di un padre come Castle, che sarebbe stato perfetto, se solo...
Lisa sosteneva che aveva fatto il possibile in una situazione difficile e che doveva essere più misericordiosa con se stessa. Non era ancora in grado di farlo. Forse non lo sarebbe mai stata.

Era tardi. Kate sentì di colpo il peso della giornata abbattersi su di lei. Raccolse le sue cose, infilò ad Alex la giacca, lottando per fargli mettere sciarpa e guanti che lui continuava a sfilarsi, salutò Lisa e, con il bambino sempre in braccio, scese in strada per raggiungere la sua auto.
Nel tragitto verso casa ripensò al sorprendente colpo di scena che aveva modificato bruscamente la traiettoria della sua vita così ordinata. Per la prima volta da quando aveva ricevuto la notizia si permise di far trapelare dal suo inconscio l'impatto emotivo della novità, che aveva tenuto a bada mentre era stata impegnata in questioni burocratiche. Nel silenzio dell'abitacolo ripensò alla veloce successione di eventi, mentre i tergicristalli si muovevano ritmicamente per far scivolar via la pioggia fitta e sottile che aveva iniziato a cadere mentre era chiusa nel confortevole e caldo ufficio di Lisa. Forse la primavera era ancora lungi dall'arrivare, pensò rabbrividendo.

In un ammasso di figlio e borse corse verso l'androne del suo palazzo, desiderosa di tornare nel rifugio della loro casa, che li accolse buia e deserta. Aveva anelato intensamente, quando era stata da sola e disperata con Alex neonato, che ci fosse qualcuno ad attenderla, che le facesse compagnia e scambiasse con lei qualche chiacchiera tra adulti. Che le fosse di supporto.
Non volle lasciarsi andare alla tentazione di immaginare Castle lì con loro, a condividere il futuro. Proprio ora che non era più una possibilità tanto remota, non voleva illudersi. Si ripeté che non sapeva che cosa gli fosse successo e che tipo di persona fosse diventato. Se lo disse ancora mentre preparava la cena per Alex, raccontandogli qualche storiella buffa per distrarlo, finendo suo malgrado con il parlargli entusiasta del padre ritrovato. La guardava sgranando gli occhi, senza capire perché fosse tanto diversa dal solito.

Più tardi gli fece il bagno, prima di farlo addormentare, come faceva ogni sera. Gli insaponò la testa, facendo attenzione a non fargli entrare l'acqua negli occhi. Erano gesti automatici che svolgeva con la sicurezza data dall'abitudine, quando invece all'inizio, appena tornata dall'ospedale, era stata divorata dall'ansia che succedesse qualcosa di irreparabile e che lei non fosse in grado di prendersene cura. Tutto considerato, doveva aver fatto un buon lavoro, dal momento che erano ancora vivi entrambi.
Gli lasciò il tempo di rilassarsi nella vasca, aggiungendo a intervalli altra acqua calda perché non si raffreddasse e godendosi le sue risatine e i suoi mugolii incomprensibili. Stava sempre molto attenta a parlargli chiaramente, evitando di usare i suoni inventati con i quali lui cercava di comunicare con il mondo, e che lei sapeva perfettamente tradurre. Erano già abbastanza in simbiosi così, senza inventare un loro linguaggio segreto.
Non aveva cenato, ma non aveva fame.
Per una volta venne meno ai suoi rigidi schemi e decise che non sarebbe successo niente se avesse messo Alex nel letto con lei e avessero dormito insieme, solo per questa volta - molte altre volte. Si accoccolò sotto le coperte, con lui già addormentato al suo fianco, mentre prendeva un libro e lo apriva all'ultima pagina letta – non ricordava da quanto tempo giacesse abbandonato e quale fosse la trama. Lo lasciò cadere a terra, incantandosi a osservare il volto sereno di suo figlio, abbandonato nel sonno.
Ascoltò il rumore della pioggia che cadeva e il respiro sommesso di Alex, rilassandosi finalmente nel confortevole riparo del suo letto. Fino alla sera prima questo era tutto quello che aveva desiderato per concludere la giornata nei migliore dei modi e darle la carica per il mattino seguente. Si era sentita fortunata per avere almeno Alex nella sua vita, come ricordo vivente di Castle.
Adesso però Castle era tornato. Si tirò le coperte sopra la testa, sorridendo felice al tuffo al cuore che provò quando realizzò pienamente il significato di quella frase.

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