Ventotto

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Nell'istante esatto in cui lo intravide vicino all'ingresso del pronto soccorso, fermo in piedi ad aspettarli, controllando metodicamente tutte le direzioni dalle quali sarebbe potuta sopraggiungere, Kate fu sul punto di frenare di colpo, abbandonare l'auto in mezzo al parcheggio, strappare Alex dal sedile posteriore e precipitarsi tra le sue braccia, implorandolo di portarli in salvo.
Non era da lei, ma ormai c'era ben poco che fosse rimasto dell'ufficiale di polizia addestrato per intervenire in qualsiasi emergenza a sangue freddo. Era solo una madre morsa viva dall'ansia.


Come era naturale, il buon senso prese il sopravvento sul campo magnetico che la attraeva verso la potente aura di Castle e lei si dedicò diligentemente a cercare il primo posto libero dove infilarsi, che trovò in fretta.
Aprì la portiera con tale furia che rischiò quasi di strapparla, ma non se ne curò. Si sbrigò invece a correre da Alex per liberarlo dalle cinture che lo trattenevano sul suo seggiolino sul quale si era assopito.
Non sapeva se fosse una cosa positiva, ma a quel punto non era più importante. Non toccava più a lei decidere quanto fosse grave la situazione.
La fretta non era però una buona consigliera e le dita impazienti si rifiutarono di collaborare. Kate si stizzì mentre cercava ripetutamente di sganciare le cinghie, imprecando mentalmente contro la sua inettitudine, che aveva pensato bene di emergere in un momento inopportuno, visto che di solito le faceva il favore di non manifestarsi mai. In nessun aspetto della sua vita, lavorativa o meno.
Il pensiero che più si fosse innervosita e meno sarebbe riuscita a dare ordini sensati a parti del suo corpo che non erano in grado di funzionare normalmente le era molto chiaro, ma non era in grado modificare il momentaneo stallo, cosa che aumentò la frustrazione a dismisura. Dovevano essersi rotte, e proprio in un momento del genere.
Le avrebbe tagliate, era l'unica soluzione. Stava già per andare a recuperare un paio di forbici che teneva in auto per ogni evenienza, quando si sentì bloccare alle spalle da qualcuno che, con mosse gentili ma decise, la spostò di lato e si sporse all'interno dell'abitacolo per sbrigare la faccenda al posto suo.
Fu una fortuna che fosse troppo scossa per reagire d'istinto o che, molto più probabilmente, avesse riconosciuto subito l'essenza del dopobarba di Castle. Altrimenti l'avrebbe steso a terra con un'unica mossa di autodifesa e senza nemmeno pensarci.


Castle raccolse Alex tra le braccia con infinita cura e lo scrutò velocemente avvicinando la guancia alla sua. Subito dopo si voltò verso di lei, per consegnarglielo, ma Kate scosse la testa. Non c'era nessun motivo perché non lo tenesse lui. Intuiva, da quel che aveva visto, che era quello che desiderava e le sembrava anzi un atto dovuto. Lei era stata con Alex fino a quel momento e si era progressivamente resa conto del suo malessere, mentre Castle aveva un vuoto di qualche ora da riempire, avendolo affidato a lei in una condizione di salute meno grave di come appariva adesso.
Sapeva che glielo aveva chiesto come estremo atto di sollecitudine di cui gli fu grata – era pur sempre sua madre e, quindi, nella mente di Castle la prima della lista in quelle circostanze. Ma lui era importante tanto quanto lei. Ed era certamente più padrone delle sue emozioni.

Raggiunsero il reparto con grande celerità, senza quasi parlarsi. Non era necessario che fosse messo al corrente delle condizioni di Alex, quello l'avrebbero fatto una volta che si fossero trovati di fronte a un pediatra cosa che, con grande sollievo dei presenti e una concatenazione fortunata di eventi, successe molto in fretta.
Il medico che si presentò da loro prese in mano la situazione con grande sicurezza, atteggiamento che contribuì a calmarle i nervi calpestati e farle ritrovare qualche barlume di lucidità. Qualcuno di competente era intervenuto per sollevarla dalla responsabilità di assistere impotente al disagio del suo bambino.
Migliorò molto le circostanza generali anche sentire la mano di Castle posarsi confortevole e gentile all'altezza dei reni nell'unica forma di contatto fisico che poteva permettersi, mentre vicini si chinavano sul lettino candido in mezzo all'acre odore di disinfettante dove il loro bambino li guardò sperduto, chiedendo aiuto con occhi smarriti.
Le parve di aver tradito la sua fiducia, ma non era possibile fare altrimenti.
Gli accarezzò la fronte calda, indirizzando un rapido sorriso a Castle, che aumentò leggermente la pressione della mano sulla schiena, come incoraggiamento. Il calore che penetrò attraverso la camicia – nel tumulto si era dimenticata di infilarsi il cappotto – scese come un balsamo su di lei.
Le bastò quella breve occhiata per rendersi conto che Castle era altrettanto preoccupato, ma riusciva a fronteggiare meglio l'angoscia che lei non riusciva a tenere a bada.
Il medico, senza nessuna cordialità, ordinò loro di spogliare il bambino, perché potesse procedere con una visita più approfondita. Non si era ancora espresso e Kate, che all'inizio aveva trovato confortante l'aria professionale con cui si era approcciato al loro caso, cominciò a innervosirsi.
Aderì alla sua richiesta, chinandosi su Alex per togliergli la giacca e la maglietta sudata che indossava sotto, dandosi della della sciocca per non averci pensato prima e aver perso tempo prezioso. Castle fece un passo indietro per darle l'agio di muoversi più liberamente.
Quando ebbe finito, Castle si avvicinò per togliere di mezzo gli indumenti che lei aveva abbandonato in un mucchietto disordinato e riporli altrove, piegandoli con cura. Kate apprezzò la sua presenza solida e tutti i modi che aveva di rendersi utile per riportare un po' di ordine nella confusione che lei continuava a creare ovunque, soprattutto dentro la sua testa.
Il medico procedette con quel suo esasperante silenzio che rischiava di farle visitare il reparto psichiatrico nel giro di poco tempo.
Misurò la temperatura, senza però rivelare il valore che lo strumento – molto più rudimentale di quello che lei aveva a disposizione a casa – segnalò. Kate cominciava a essere stufa del suo atteggiamento e non capiva perché Castle, da uomo provvisto di una corporatura imponente, non minacciasse fisicamente il medico che li teneva all'oscuro delle cause delle condizioni di Alex, divertendosi alle loro spalle con grande crudeltà.
L'atteggiamento di Castle, al contrario, denotava la totale certezza di avere di fronte un grande luminare della scienza che li avrebbe preservati dalla tragedia. Ebbene, lei era convinta invece che fosse l'ultimo arrivato e che avrebbero dovuto cambiare ospedale molto in fretta.
"Ha avuto episodi di convulsioni?", si informò senza modificare quel modo asettico che aveva di svolgere la sua professione.
Convulsioni? Certo che no. Sarebbe morta.
"No, mai", rispose con tono piuttosto sprezzante, che strappò uno sguardo incuriosito da parte di Castle. Che problemi avevano tutti? Aveva solo risposto a una domanda.
"Ha vomitato nelle ultime ore?", proseguì, rivolgendosi a Castle, togliendola di mezzo.
Kate si imbufalì. Ci mancava solo il medico sessista che la considerava una fonte inattendibile in quanto donna e madre isterica. Lui sapeva chi era lei? Un capitano di polizia, non la prima che passava. Lei risolveva casi ben più difficili e proteggeva l'intera città. D'accordo, non tutta, ma una piccola parte, sì. Forse avrebbe fatto meglio a metterlo al corrente dei suoi titoli.

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