"Come stai?", gli domandò cauta, quando lo vide appoggiarsi sfinito ai cuscini dietro di lui.
Avrebbe voluto fermarsi a parlare con i suoi medici, prima di andare da lui, ma le cose si erano decisamente fatte un po' frenetiche, quando era arrivata.
Cominciò a provare una lieve apprensione: si era abituata a considerarlo pieno di vita e di energia, ed era quindi difficile accettare che avesse bisogno di cure e riposo, al punto da essere quasi incapace di reggersi in piedi.Castle esitò, prima di risponderle, e questo fece aumentare la sua inquietudine. Volse la testa a fissare il riquadro buio della finestra, in quello che le sembrò uno studiato tentativo di evitare di incrociare il suo sguardo. L'inquietudine si trasformò rapidamente in allarme. Stava forse per confessarle qualcosa di spiacevole? La sua espressione non prometteva niente di buono...
Cercò di prepararsi a tutto quello che avrebbe appreso nei minuti seguenti. Sperò che non si trattasse di qualcosa di troppo brutto, e alla lunga imperdonabile, perché... a dirla tutta era solo contenta di rivederlo e avrebbe desiderato, contro ogni logica, posticipare il momento della verità. Oltre al fatto di avere anche lei qualcosa di molto importante da comunicargli, che non poteva a nessun costo rinviare.
Con uno sforzo, non solo fisico, Castle ruotò la testa verso di lei.
"Non ricordo quello che mi è successo, Kate", le confessò a fatica, avvilito ed esausto, cosciente di doverle scaricare sulle sue spalle un peso che avrebbe preferito evitarle.
Kate rimase a fissarlo sbigottita. Questo era del tutto inaspettato.
"Che cosa significa?", gli chiese, cominciando visibilmente ad agitarsi.
"Significa che ho in mente l'immagine del SUV che mi ha mandato fuori strada il giorno delle nostre nozze e nient'altro", spiegò mestamente.
Kate aggrottò la fronte. Stentava a comprendere l'esatto significato delle sue parole.
"È tutto quello che ricordi... fino a che ti sei svegliato in questo ospedale, stamattina?", si informò con circospezione, mettendo a tacere il suo turbamento, nonostante il tremito che si era fatto vivo dentro di lei.
Venti interi mesi di vuoto totale? Come era dannatamente possibile?
Nessuno aveva parlato di amnesia, quando le avevano riferito le sue condizioni. In base all'esito delle visite a cui era stato sottoposto, non erano stati riscontrati segni di traumi alla testa.
"No. No", si affrettò a rettificare, contrariato. "Solo la parte iniziale. Alcuni mesi, immagino, ma non ho idea di quanti possano essere di preciso. So solo che a un certo punto ho aperto gli occhi e mi sono trovato sopra a un letto squallido in una stanza molto spoglia, dove mi hanno tenuto prigioniero per diverso tempo. Credo di essere stato male, di aver avuto la febbre alta per alcuni giorni, forse una specie di delirio, perché i ricordi si mescolano con immagini confuse e irreali. O forse reali, non saprei dirlo".
Kate rifletté su quanto aveva appena sentito, che era parecchio e parecchio sconcertante, chiamando a raccolta le sue competenze professionali, per provare a essere il più obbiettiva possibile.
"Come fai a escludere di esserti svegliato in quella... cella...". Le faceva male dirlo. Dovette deglutire prima di andare avanti. "Il giorno dopo essere stato prelevato dalla tua auto? Perché pensi che sia passato del tempo?".
Aveva parlato con il tono distaccato e velato di sospetto con cui conduceva gli interrogatori e che lui aveva senza dubbio riconosciuto. Si rese conto di averlo ferito, trasmettendogli la sensazione, che purtroppo da qualche parte dentro di lei provava sul serio, di non credergli del tutto. Si affrettò a scacciarla. Era Castle. Non poteva aver commesso nessuna azione deplorevole, né tanto meno poteva mentirle. Nemmeno per il bene di lei? Una vocetta fastidiosa si fece viva per suggerirle scenari che non voleva prendere in considerazione.
"Ne sono sicuro perché la temperatura era molto bassa e noi, invece, dovevamo sposarci a maggio. I miei vestiti non erano abbastanza pesanti e io battevo i denti per il freddo. In più il buio scendeva presto, la sera, quindi ho dedotto che dovesse essere inverno".
Kate lottò, senza successo, perché l'immagine di lui sofferente e congelato fino alle ossa non prendesse possesso della sua mente, devastandola.
"Parli di questo inverno o lo scorso?", lo interruppe, mettendo fine alle descrizioni dettagliate e tormentate della sua prigionia.
La guardò disorientato.
"C'è stato un solo inverno", affermò sconcertato.
Kate si alzò in piedi, aveva bisogno di muoversi e di mettere più distanza tra loro. Solo fisica? Non ne era sicura.
"Ce ne sono stati due, Castle. Sei stato via quasi due anni", gli spiegò con voce priva di emozione, fissando le piastrelle grigie del pavimento sotto i suoi piedi. In uno di quegli inverni era nato Alex. E lui era stato chissà dove.
L'espressione di smarrimento che gli si disegnò sul volto la costrinse a tornare di corsa al suo capezzale. Non sopportava di vederlo vulnerabile e sconvolto e di non fare nulla per consolarlo.
Gli accarezzò una guancia con tenerezza.
"Ok, Castle. Non c'è bisogno che ne parliamo ora. Possiamo farlo un'altra volta. È meglio per la tua salute se rimani tranquillo".
Troppo tardi.
"Voglio sapere la verità di quello che mi è successo, Kate. Che cosa hai scoperto? Che cosa ho fatto?". Non era rimasto tranquillo. Non seppe fargliene una colpa, anche lei avrebbe voluto vederci più chiaro, attivarsi in qualche modo, non rimanere con le mani in mano.
"Dico sul serio, Castle, c'è tutto il tempo per affrontare il discorso più avanti, quando starai meglio".
"Voglio parlarne adesso", scattò pieno di rabbia, una reazione brusca che la spaventò, facendola ritrarre.
"Scusami", sospirò subito Castle contrito, irritato unicamente con se stesso. "Non credo di riuscire a controllarmi al meglio. Due anni... io... non riesco nemmeno a pensare a che cosa possa aver significato per te, Kate".
Kate non disse niente, perché non c'era niente che potesse dire per migliorare la situazione. Era inutile negare che per lei si fosse trattato di un incubo all'ennesima potenza. E per lui doveva essere stato anche peggio.
"Va tutto bene. È finita", mormorò sforzandosi di mostrarsi tranquilla, perché si calmassero entrambi. Aveva bisogno di una pausa e di una boccata d'aria fresca per decidere il da farsi. Era, assurdamente, ancora nello stesso punto morto in cui si era dibattuta durante la sua assenza.
"Non sarà finita finché non saprò che cosa mi è successo. Che cosa sai? Avrete fatto delle indagini, trovato qualche indizio. Chi mi ha rapito? Qualcuno che ce l'ha con me? Con noi? Bracken, forse? Dimmelo, Kate, ti prego".
Davanti a quella richiesta smaniosa, non poté tirarsi indietro, anche se era convinta che fosse meglio lasciar perdere, per il momento.
"Non abbiamo scoperto molto, in realtà. Ho... battuto qualsiasi strada, ma sembravi scomparso nel nulla. L'FBI ha voluto che controllassimo nei vecchi casi che abbiamo indagato insieme, pensando potesse trattarsi di una vendetta, ma non abbiamo trovato niente. Ho continuato da sola, quando se ne sono andati, ma...".
"Che cosa significa che se ne sono andati? Hanno smesso di indagare? Hanno chiuso il caso? È assurdo". Era più incredulo che indignato.
Kate annuì, preparandosi a dirgli la verità, senza nessun abbellimento. "Si sono convinti che sia trattato di un allontanamento volontario", confessò con voce incolore.
"Che cosa?! Per quale motivo avrei dovuto farlo?!".
Castle si tirò su agitato e sudato, muovendosi irrequieto nel letto, smanioso di rimettere le cose a posto.
Kate si sentiva bloccata, senza vie d'uscita. Avrebbe desiderato disperatamente tornare al momento in cui si erano abbracciati, al suo arrivo. Parlare aveva rovinato tutto. Anche lei voleva sapere la verità, ma non così, non adesso. Servivano energie, calma e un ambiente più adatto. Ma se glielo avesse proposto avrebbe dato in escandescenze, e, se invece avesse fatto silenzio, si sarebbe alterato, insistendo perché lo mettesse al corrente dei fatti. Decise per la seconda strada, anche se non si sarebbe trattato del male minore. Erano entrambe sbagliate.
"C'è un video di te che infili del denaro, i diecimila dollari che hai prelevato per la nostra luna di miele, in un cassonetto, per pagare la demolizione del SUV che ti ha mandato fuori strada".
Castle l'aveva ascoltata con attenzione, facendosi sempre più terreo in volto.
"Non posso essere stato io. Kate, lo sai che non sono stato io. Si sarà trattato di qualcuno che mi assomigliava, messo lì per depistarvi".
Kate sospirò.
"No, eri proprio tu", lo contraddisse tristemente. "E i soldi erano i tuoi. Le cifre corrispondono".
"Non è possibile", bisbigliò Castle tra sé. "Non posso averlo fatto. Non c'è nessun motivo per cui me ne sarei andato volontariamente".
Volse su di lei degli occhi spiritati. Le strinse entrambi i polsi, facendole male. "Kate, devi credermi. Non ti ho lasciato. Non l'avrei mai fatto, non il giorno del nostro matrimonio. Volevo sposarti. Lo voglio ancora", le scagliò addosso con frenesia, nel concitato tentativo maniacale di convincerla di quelle che erano state le sue reali intenzioni.
Fu scossa dal suo discorso a cuore aperto, ma preferì non far trapelare il suo vero stato d'animo. C'era molto da metabolizzare, e l'avrebbe fatto più tardi, da sola. Erano successe troppe cose, non era in grado di posizionarle tutte nel modo corretto, all'interno dei suoi confini emotivi già scombussolati dagli eventi in corso.
"Calmati, Castle", fu l'unica cosa in grado di dirgli, senza fare riferimento in nessun modo al contenuto della sua appassionata difesa. Castle non sembrò darle retta.
"Ti amavo. Perché avrei dovuto piantarti in asso? Che razza di uomo l'avrebbe fatto? Ti amo, ancora. Ti ho sempre amato. Mi credi? Mi credi, Kate?", concluse con affanno, aumentando la forza con cui le stava stringendo i polsi, apparendole quasi invasato, come se la sua intera vita dipendesse dal fatto che lei si fidasse della sua buona fede.
Avrebbe voluto credergli, con tutto il cuore. Sarebbe stato splendido cancellare con un gesto noncurante e definitivo mesi di angoscia. Ma non era così semplice. Non era pronta a entrare volontariamente nel tornado emotivo in cui lui la stava costringendo a forza.
Un medico bussò alla porta con discrezione. Entrambi si voltarono nella sua direzione. Venne cortesemente chiesto a Kate di allontanarsi per qualche minuto, mentre lo visitavano. Castle la guardò smarrito, implorandola di non andarsene. Le fece tenerezza. Si chiese se da qualche parte fosse rimasta traccia dell'uomo che aveva conosciuto un tempo, o se la brutta esperienza – eufemisticamente – avesse lasciato segni indelebili, tutti ancora da scoprire.
Gli parlò come se si trovasse davanti un animale ferito e bisognoso di conforto.
"Sono qui fuori, Rick. Non me ne vado. Ma devi promettermi di stare calmo, d'accordo?".
Castle annuì diligentemente. "E per quanto riguarda questo discorso...", parlava in fretta bisbigliando, per non farsi sentire dalle persone in attesa che lasciasse la stanza. "Possiamo parlarne più avanti? Non c'è nessuna fretta. Non vado da nessuna parte". Gli sorrise incoraggiante, felice di vedere la sua fronte rilassarsi e il colorito tornare più roseo.
"Solo cose belle quando torno, va bene? Me lo prometti?". Glielo promise.
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Rainbow
Fanfiction7x01: Castle viene ritrovato dopo essere stato via un po' di più di otto settimane... e il suo ritorno sarà ricco di sorprese