Trentadue

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Castle aveva mantenuto la sua promessa. Come faceva sempre.
Aveva lasciato trascorrere qualche giorno, aveva lasciato che il terribile spavento causato dal malessere di Alex venisse superato e le emozioni coinvolte – tutte quante – in qualche modo assorbite e, alcuni giorni dopo essere tornati con sollievo alla loro solita routine, l'aveva invitata a uscire per il loro appuntamento.
Parola magica che, come un'adolescente cotta a puntino, aveva avuto il potere di farla ridacchiare e farle balzare il cuore in gola tutte le volte che si era permessa di sognarlo, piena di aspettativa e fiotti di energia nervosa.

Non si era trattato di niente di plateale, niente di tipicamente Castle, o forse lo era stato in senso più autentico, senza orpelli a distrarre da quello che contava davvero. Una serata tutta per loro. Stare insieme.
Non ne aveva mai abbastanza.
Una mattina, giunta al distretto, aveva scovato un biglietto ripiegato e nascosto sotto una pila di documenti che facevano bella mostra di sé sulla sua scrivania.
Non se ne era accorta subito, però.
Come ogni giorno, si era seduta un po' distratta, con la mente già occupata dai numerosi impegni della giornata e aveva affrontato con grinta il tedio del lavoro burocratico, che le spettava come capitano.
Dopo aver avuto alacremente ragione della maggior parte delle scartoffie disseminate intorno a lei, aveva scorto per caso l'angolo di quello che si era rivelato un cartoncino liscio, bianco, che sembrava quasi avere un'aria smarrita, come a chiedersi che cosa ci facesse lì. Aveva sospettato subito che si trattasse di una sorpresa di Castle, ma non aveva voluto abbandonarsi troppo in fretta a quell'idea, per non rimanere delusa. Magari era solo pubblicità. O un errore da parte di chi le consegnava la posta.

Aveva dato un'occhiata al di là delle vetrate, come a cercare la spiegazione altrove, poi si era riscossa e si era decisa ad aprirlo.
Era buffo, aveva pensato leggendo le poche parole vergate con la sua calligrafia estrosa.
Erano stati insieme fino a qualche ora prima, avevano accompagnato Alex all'asilo, dopo aver ordinato una generosa colazione in un bar vicino al distretto – abitudine che non ricordava chi avesse iniziato, ma che incoraggiavano entrambi con entusiasmo-, avevano chiacchierato con allegria, tenendo per mano il bambino saltellante in mezzo a loro, ma Castle non aveva fatto nessun cenno del suo invito a cena, previsto, come scopriva ora, per la sera seguente.
Anzi. Era stato sospettosamente evasivo quando lei l'aveva stuzzicato, tornando più volte in modo poco sottile sull'argomento, del quale non avevano più parlato dalla sera in cui l'aveva accusata di essere stata troppo precipitosa, con i risultati che entrambi ricordavano molto bene, a giudicare dalle occhiate furtive che si scambiavano quando pensavano di non essere visti.
Si chiese chi fosse stato suo complice. O se fosse passato lui di persona a lasciarle la sua missiva, la sera prima. Forse all'alba?
Kate richiuse il biglietto e se lo appoggiò alle labbra, sorridendo con aria sognante a nessuno in particolare.
L'aveva chiamato subito per accettare la sua proposta. Si era trastullata con l'idea di farlo penare un po', ma si sarebbe trattato di un tormento che avrebbe finito per ritorcersi contro di lei. Perché sprecare tempo? La vita era breve. O così diceva sempre Castle.
Era un piacere che si concedeva di tanto in tanto, quello di interrompere la sua giornata lavorativa, giusto per sentire la sua voce dall'altra parte del telefono, anche se cercava di non eccedere, perché se avesse dato retta alla sua voglia ben poco sopita, sarebbe rimasta a chiacchierare con lui per ore e ore. Proprio come se avesse avuto quindici anni e lui fosse stato il ragazzo più popolare del liceo.

***

Castle bussò alla porta del suo appartamento con qualche colpo discreto. Avevano deciso di comune accordo di lasciare Alex alle cure della nonna e della sorella, che si erano proposte zelanti per lasciare che i due piccioncini - così li aveva chiamati Martha, come Castle le aveva riferito al telefono, ridendo -, potessero trascorrere insieme del tempo da soli.
Erano tutti convinti che, se non si fosse colta l'occasione al volo, lei avrebbe cambiato idea adducendo la scusa del senso di colpa per non portare Alex con sé.
Lungi da lei prolungare ancora un evento che si era accorta di aspettare spasmodicamente da quando Castle glielo aveva fatto penzolare davanti, più invitante che mai.
Era provvista di una buona dose di sensi di colpa materni, ma uscire con il padre di suo figlio non era fra questi.

Castle le si parò dinnanzi proprio come se lo era immaginata nel lungo e noioso pomeriggio che aveva preceduto il sospirato evento. Tirato a lucido, gli occhi scintillanti, un sorriso irresistibile e un enorme mazzo di fiori.
"Dove sono i miei cioccolatini, Castle?", gli chiese severa, senza dar spazio alla svenevolezza che, se solo lo avesse permesso, avrebbe inondato l'ingresso di casa e l'intero palazzo.
"Sei una donna molto esigente, Beckett, te l'ha mai detto nessuno?", finse di lamentarsi, facendo comparire, da dietro la schiena, una scatola dorata teatralmente abbellita da un fiocco scenografico. Questo invece era tipicamente Castle.
Se la fece consegnare insieme ai fiori, trovandosi di colpo con le mani occupate e senza sapere come fare a salutarlo in modo adeguato, come la situazione richiedeva.

Si sentiva felice e un po' sciocca. Forse lievemente imbarazzata. Loro non avevano mai avuto un appuntamento come si deve, nemmeno agli inizi della loro relazione. Soprattutto agli inizi della loro relazione. Erano usciti a stento di casa, quell'estate torrida di qualche anno prima.
Recuperò rapidamente un vaso trasparente dove depositò il mazzo di fiori, dopo averlo ammirato per qualche istante e appoggiò i cioccolatini sulla prima superficie orizzontale che trovò, per potersi dedicare al gradevole compito di fare gli onori di casa.
"Che cosa stai facendo, Beckett?", proruppe inorridito il suo compagno di avventure, quando lei aveva già saltato tutti i convenevoli del caso e gli aveva stretto le braccia intorno al collo, incollando le labbra sulle sue, facendo aderire il proprio corpo a quello di Castle, che reagì proprio come si era aspettata.
"Mi comporto nel modo avventato che mi è solito, Castle", rispose con il tono di voce più annoiato e sarcastico che riuscì a trovare.
Lo sentì ridere piano in un punto imprecisato della sua spalla, senza però ricevere nemmeno un minuscolo bacio in cambio. Sospettò che volesse giocare pesante.
Con grande meraviglia, Castle alzò le braccia per staccare con decisione le sue dal proprio collo, tirandole verso il basso, per ristabilire la giusta distanza tra loro, pur continuando a tenerle le mani tra le sue.
"È un appuntamento. Non ci si dà il bacio della buonanotte appena ci si incontra. Non conosci le regole? Avrei dovuto mandarti un manuale per farti ripassare le buone maniere".
Nessun dubbio che l'avrebbe fatto, se solo gli fosse venuto in mente.
Tentò il tutto per tutto, riducendo lo spazio e cercando di spostare con forza - perché lui faceva resistenza -, le mani di lui sui propri fianchi.
Giocava più che pesante. Era incorruttibile. Dopo tutto quello che era successo, proprio su quel pavimento, non molti giorni prima, intendeva davvero mantenersi fedele a quella messinscena, quell'uomo esasperante?
Via. Doveva trattarsi di una farsa. Non poteva resisterle davvero. Lei non aveva in fondo poi tutta quella voglia di uscire a cena, sedersi composta, scegliere le posate adatte, incrociare le caviglie e conversare amabilmente di temi sociali, sorseggiando il miglior vino della città. Non quando avevano un'intera casa a loro disposizione.
Ricordò perfettamente perché non avessero mai avuto appuntamenti ufficiali, prima. Perché non erano mai riusciti ad arrivare alla porta.
"Castle...", iniziò con voce suadente. "Sei sicuro che vuoi uscire in una serata fredda, per cenare in mezzo a estranei, senza poterci nemmeno mettere comodi...", sottolineò comodi con fare allusivo, "quando possiamo ordinare qualcosa da fuori e goderci l'inaspettata solitudine?".
"Sì. Sono sicuro", fu la sconvolgente e secca replica che non ammetteva ulteriori commenti.
Maledetto. Gliel'avrebbe fatta pagare. Con gli interessi.
"Andiamo, Beckett?", fu tutto quello che disse, offrendole il braccio.
Non poté fare altro che accettare di abbandonare la sua confortevole dimora, dove nessuno li avrebbe disturbati, per uscirsene nel mondo, sottobraccio a una versione integerrima di Richard Castle che non aveva mai conosciuto prima.

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