Quindici

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Vennero provvidenzialmente interrotti dall'arrivo delle loro ordinazioni, sempre quelle di un tempo. Non era cambiato niente.
Kate era sicura che, se avesse chiuso gli occhi solo per un istante, non sarebbe servito nessuno sforzo per convincerla che la loro lunga separazione non fosse mai avvenuta.
Invece c'era stata. Dura. Dolorosa. Lui era scomparso e lei era stata costretta ad andare avanti a vivere, anche quando non aveva avuto né forze, né voglia.
Le bastarono quei pensieri tristemente familiari, sempre in agguato nella sua mente e pronti a balzar fuori a proteggerla quando i sentimenti si spingevano in una direzione avventata, per farle cambiare umore.
Preferì dedicarsi a compiti più pratici, calandosi nel ruolo che sapeva tenerla a distanza dagli impulsi azzardati che l'aggredivano ormai con frequenza pericolosa.
Prese il piattino vuoto che si era fatta portare per Alex e che era stato appoggiato accanto al suo come d'abitudine, e lo riempì con un po' del suo pranzo, scegliendo cibo semplice che il bambino poteva mordicchiare senza rischiare di soffocare.
Solo qualche tempo dopo si accorse di essere circondata da un silenzio incuriosito.
Come gran parte del resto, erano gesti che compiva in modo automatico, senza pensarci, talmente abitudinari che il suo cervello se ne assumeva il compito senza impegnare la sua parte cosciente. Eppure non mancavano mai di colpire l'attenzione e l'interesse di Castle. Si chiese che cosa avesse notato questa volta che a lei era sfuggito. Qualche altro cambiamento nel suo comportamento? Non le sembrava.
Si fermò con le patatine fritte a mezz'aria, prima che raggiungessero la loro destinazione finale. "Che cosa c'è?".
"Gli stai dando da mangiare delle patatine fritte?". Era sbigottito. Stava fingendo o era serio? Non riuscì a decifrarlo. Si innervosì sotto il suo sguardo indagatore. Stava forse sbagliando qualcosa?
"Sì, perché?". Se la stava giudicando in quanto madre l'avrebbe minacciato con un coltello affilato, anche davanti al loro bambino, si ripromise.
"Dove sono finiti i cibi sani? La salvaguardia del pianeta? L'Amazzonia rasa al suolo? Proprio tu, Beckett, partecipi alla generale corruzione dei costumi?".
Scosse la testa con aria di serissima disapprovazione, come se lei fosse una minaccia per la sopravvivenza della civiltà moderna. "Mi meraviglio di te. Tentare un'anima innocente con del cibo spazzatura. Mi chiedo dove andremo a finire", proseguì con grave indignazione, ma lasciandosi sfuggire un sorriso appena accennato che la fece rilassare all'istante.
Si volse verso Alex, seduto tra loro sulla sua sedia rialzata adatta ai bambini, che il barista/spasimante si era affrettato a trasferire al loro tavolo, sotto lo sguardo truce di Castle.
"Povero bambino", lo compatì con un esagerato sfoggio di empatia. "Papà ti promette che ti preparerà dei pasti sani ed equilibrati, quando cucinerà per te. Un po' di riso in bianco, due carote bollite e la mela cotta per finire. Io tengo alla tua salute, piccolo".
Kate aveva ormai iniziato a ridere apertamente, attirandosi la perplessità di Alex, che presto decise di condividere la sua ilarità, finendo con il contagiarsi a lungo reciprocamente.
"Ridete nello stesso modo", commentò Castle intenerito, mentre lei si asciugava sommariamente gli occhi, quando le risate cessarono una volta per tutte e nel locale tornò la solita sobrietà.
"Davvero?", chiese in tono leggero, ancora divertita. Non ci aveva mai fatto caso. La verità era che negli ultimi tempi, per quanto si fosse sforzata, non c'erano state purtroppo molte occasioni di farsi una bella risata liberatoria.
Evitò di inoltrarsi nell'insidioso sentiero della malinconia, che per lungo tempo era stata sua indesiderata compagna, e preferì dedicarsi a gustare quello che aveva nel piatto, facendo sprofondare in un silenzio confortevole anche gli altri commensali.
"Posso cucinare qualche volta per voi?", le domandò Castle con prudenza e una buona dose di speranza a fare da sfondo alla sua richiesta. Sapeva che era qualcosa che gli stava molto a cuore e non aveva nessuna intenzione di negargli un simile piacere. Inoltre, avrebbero beneficiato tutti delle sue doti culinarie.
"Sì, certo. Purché non ci prepari la minestrina con il brodo", lo stuzzicò.
"Niente minestrina, lo prometto.", le sorrise con gratitudine dall'altra parte del tavolo, allungando di nuovo una mano per trovare la sua. Lei si ritrasse, prima che il gesto casuale diventasse un'abitudine che avrebbe portato altre complicazioni.
"Castle...", mormorò dopo qualche attimo trascorso a riflettere. Alzò gli occhi con aria decisa verso di lui. "Possiamo concentrarci su Alex?".
Catle guardò allarmato il bambino, che non sembrava aver impellenti necessità e che era intento a pasticciare nel piatto, con le mani e la bocca sporche di salsa.
"Perché? Ha qualcosa che non va?", si informò preoccupato, dopo che l'esame visivo sommario non gli aveva rivelato nessun dato significativo.
"No. Non c'è nessun problema. Alex sta bene". La fronte di Castle si rasserenò. "Intendo dire... ci sono moltissime questioni da affrontare per via del tuo ritorno. Possiamo pensare solo a lui per il momento? Il resto può... attendere, non trovi?".
L'occhiata molto eloquente che Castle le rivolse le fece capire che no, non trovava affatto. Ma che, come sempre, si sarebbe adeguato ai suoi desideri.
"Certo", accettò zelante. "Il bene di Alex è prioritario. Penseremo a lui e magari... più in là nel tempo... a noi?", concluse intrepido.
Kate si irrigidì e non rispose. Continuava a trovare bizzarro il modo poco diplomatico che aveva di affrontare le questioni importanti che riguardavano loro due senza le giravolte stilistiche di un tempo. Era un tratto a cui doveva abituarsi o era un effetto collaterale del suo recente ritorno che si sarebbe stemperato nel tempo?
Castle capì che non era il caso di insistere. Rimase assorto per qualche istante, fissando qualcosa oltre le sue spalle, e poi tornò a rivolgersi a lei, con quell'aria cauta che assumeva sempre quando doveva parlarle di questioni che riguardavano Alex. Quando l'argomento erano loro due come coppia, come aveva scoperto, sembrava farsi molti meno problemi.
"Visto che dobbiamo pensare a lui, come hai giustamente detto tu...".
Bel tentativo, ma lei era ancora in grado di capire quando voleva blandirla, per tirarla dalla sua parte con le sue abilità retoriche. "Possiamo parlare del suo riconoscimento? Vorrei farlo al più presto, se per te va bene. Voglio iniziare a occuparmi in modo concreto di lui, e la questione legale mi sembra il primo passo da compiere".
"Sono d'accordo", accondiscese subito Kate. Non c'era nessun motivo per aspettare ancora. "Facciamolo domani. Meglio di mattina, perché poi ho una riunione che si prolungherà per tutto il giorno", si offrì con grande disponibilità.
"Davvero?", si stupì Castle.
"Davvero", replicò con forza, per convincerlo delle sue buone intenzioni.
Sospirò dentro di sé. Le spiaceva avergli dato un'impressione sbagliata, qualche ora prima. "Sei suo padre, mi sembra ovvio che tu voglia riconoscerlo il prima possibile", aggiunse. "Non voglio tenerti lontano da lui. Sono solo...".
"Protettiva", concluse per lei con grande tranquillità e senza traccia di giudizio. Kate gli sorrise riconoscente, ma la sua attenzione fu presto distolta un movimento intenzionale di Alex, di cui Castle non si era accorto.
"Castle", lo richiamò a bassa voce. Lui la guardò un po' interdetto per la brusca interruzione del discorso precedente. "Vuole offrirti una delle sue patatine. Ti sta facendo un grande onore, visto che non cede mai il suo cibo, o i suoi giochi, a nessuno", gli spiegò con tono accorato, per fargli comprendere l'eccezionalità dell'evento, di cui era per prima meravigliata e compiaciuta. Si era inclinata istintivamente verso di loro per fare quello che le veniva meglio. Proteggerli, appunto.
Per fortuna Castle capì molto in fretta l'antifona e fu in grado di reagire nel modo corretto. Con grande serietà si rivolse al bambino, che si stava allungando verso di lui e gli stava offrendo, con grande dignità che sconfinava nella sacralità, una patatina fritta debitamente mangiucchiata, che teneva stretta nella mano sbavata. Kate trattenne il fiato. Voleva che fosse un momento perfetto, ma se avesse parlato per dare indicazioni a Castle, avrebbe rischiato di rovinare tutto. E poi non aveva il diritto di impicciarsi in quell'approccio spontaneo, dopotutto.
"Ti ringrazio, Alex. Che... bel pensiero?", mormorò Castle insicuro, guardandola ansiosamente di sottecchi, chiedendole in silenzio se dovesse accettare la patatina. Kate lo incoraggiò a farlo, annuendo vigorosamente. Castle la prese dalle sue dita con grande garbo, toccando, di fatto per la prima volta, il suo bambino. Kate illanguidì di fronte a una scena dispiegatasi in modo tanto naturale e delicato.
"Che cosa stai facendo?!", sibilò Kate subito dopo, agitandosi sulla sedia.
"La sto mangiando. Me l'ha donata", replicò Castle con ovvietà, non condividendo il senso di catastrofe che lei percepiva con grande chiarezza.
"Non devi farlo! Tra poco la rivorrà indietro".
"Come sarebbe che la rivuole indietro? Se regali qualcosa a qualcuno, non puoi pretendere che te la ridia".
Proprio il momento giusto per mettersi a fare del moralismo, pensò Kate.
Castle rubò una patatina dal suo piatto senza chiederle il permesso – lui non le aveva ordinate - , lasciandola a chiedersi se fosse normale condividere il cibo tra loro, e la offrì ad Alex.
"E questo è il mio regalo per te, Alex", annunciò solennemente, porgendogliela.
Alex guardò prima lui e poi lei, confuso, mentre già il mento cominciava a tremare, indicando la sua patina originaria, che Castle aveva deposto sul piatto, dimezzata. Kate diede un colpetto al ginocchio di Castle con la punta di uno stivale.
"Che cosa ti avevo detto? Ridagli la sua!", gli ordinò con urgenza.
Castle si rassegnò a fare come gli chiedeva pur non condividendolo, e così la pace tornò a regnare nel loro piccolo gruppo.
"Voi due avreste bisogno di rivedere il concetto di generosità", considerò Castle, indicandoli entrambi, ma si interruppe incredulo, quando vide Alex appoggiare la piccola mano appiccicosa sopra la sua, che sembrò inghiottirla. Gli rivolse un ampio sorriso sdentato quando i loro occhi si incontrarono, increduli quelli di Castle, fiduciosi quelli di Alex.
Anche per Kate si trattò di qualcosa di inaspettato, davanti al quale rimase senza parole. Alex era un bambino riservato con le persone che non conosceva. E, a parte qualche fortunato destinatario, non era un grande amante del contatto fisico. Un po' come lei. Esattamente come lei.
Castle rimase paralizzato sotto al suo tocco, temendo che qualunque gesto l'avrebbe fatto allontanare di nuovo chissà per quanto tempo. Rimase fermo, resistendo alla tentazione di intensificare il contatto fisico, per lasciare ad Alex totale libertà di espressione.
"Credo che tu gli piaccia, Castle", commentò ancora un po' scossa, quando Alex ritirò la mano per dedicarsi ad altri compiti che lo attendevano, ignaro del significato di quanto successo. Le sarebbe piaciuto che padre e figlio si amassero al primo sguardo, e se questo era prevedibile per Castle, sapeva che non era verosimile che potesse accadere a un bambino in carne e ossa nel mondo reale. Eppure, sembrava essere andata proprio così.
Solo molto tempo dopo si rese conto, con dispiacere, che sarebbe stato magnifico se almeno uno di loro due fosse tornato con i piedi per terra almeno quanto bastava per pensare di scattare qualche foto da tenere come ricordo del loro primo incontro.

Si salutarono fuori dal locale, dandosi appuntamento per il mattino dopo. Rimasero in piedi, un po' impacciati, sotto la luce tremolante di un lampione, che li separava dall'oscurità che era calata precocemente sul cupo pomeriggio invernale. Il vento era peggiorato, ma non aveva iniziato a nevicare, anche se aleggiava nell'aria una sorta di ansiosa aspettativa perfettamente riconoscibile. La verità era che le spiaceva separarsi da lui, anche se era consapevole che aveva bisogno di riposo visto che non aveva avuto il tempo di passare da casa, quel mattino. Doveva essere esausto.
Kate teneva Alex per mano. Castle si abbassò sulle ginocchia, per salutarlo, prendendo l'iniziativa del commiato. Lei non ce l'avrebbe fatta e non si vergognava di ammetterlo, almeno a se stessa.
"Ciao, Alex", gli disse con grande serietà e semplicità, guardandolo negli occhi in modo adulto. Alex si perse nei suoi, proprio come era sempre successo anche a lei. "Ci vediamo presto?", aggiunse, sfumando il tono di dolcezza. Kate distolse lo sguardo, prima che gli ormoni ancora in circolo dalla prima gravidanza tornassero a prendere possesso di lei e lei a sua volta prendesse possesso di Castle, sul marciapiede, senza nessun pudore.
Alex annuì, appoggiando con circospezione la manina sul braccio di suo padre, che azzardò una veloce carezza sui capelli di suo figlio, trattenendo visibilmente l'emozione. Alex non si ritrasse. Kate evitò di pronunciare qualsiasi parola, che sarebbe potuta essere usata contro di lei in futuro in qualsiasi tribunale romantico. Ma era commossa e felice per Castle. Per tutti.
Castle si tirò su. Era il momento di accomiatarsi.
"A domani, allora?".
Kate si schiarì la voce, per nascondere il turbamento. "D'accordo", acconsentì deglutendo.
Buonanotte – A domani.
I ricordi passati si mescolarono con il nascente futuro pieno di promesse.
"Ciao, Kate", mormorò avvicinandosi per posare un bacio sulla guancia. Kate ricambiò, dandosi il permesso di far riposare la fronte sulla sua spalla per un istante perfetto, mentre lui la teneva tra le braccia.  

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