Ventiquattro

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Castle commise il grosso errore di spedire qualche immagine di Alex-leprotto a sua madre e ad Alexis, per colpa della sua naturale tendenza a condividere con il mondo esterno il suo orgoglio di essere padre di quel bambino, che lui trovava la combinazione perfetta tra tutte le varianti genetiche possibili tra lui e Kate.
Non potendolo fare con Kate, perché non voleva farsi rimproverare da una madre non esattamente felice che il proprio figlio fosse stato truccato e travestito senza il suo permesso, aveva indirizzato il suo entusiasmo ai primi nomi che si trovavano immediatamente dopo nell'albero genealogico.
Fu così che, mentre decideva il da farsi, venne investito da una raffica di telefonate da parte di figlia e genitrice che variavano dalla supplica assordante alla richiesta imperiosa affinché i due maschi di casa Castle le raggiungessero nel locale dove si erano rifugiate, non così distante dalla sua attuale collocazione geografica, perché venisse loro mostrato il santo pargolo in tutto il suo splendore.


Castle non ne aveva nessuna voglia. Era riuscito ad avere Alex tutto per sé e il pomeriggio non stava andando male, dopotutto. Anzi, l'esatto contrario, rifletté sorridendo a quel bambino temporaneamente peloso, che lo ricambiò con sguardo adorante. Perché avrebbe dovuto condividere quei doni con altre persone? Voleva tenerli tutti per sé.
Scoprì che aveva sottovalutato la tenacia tizianesca delle donne della sua famiglia. Anzi, a osservarlo con i raggi del sole ancora obliqui in quella stagione, gli sembrò di notare con sgomento, e per la prima volta, una sfumatura ramata tra i capelli di Alex. Ma forse stava prendendo un abbaglio. Ci mancava soltanto che condividesse fenotipicamente lo stesso temperamento testardo di nonna e sorella dalle rosse chiome.

Cercò di resistere al fuoco incrociato a cui venne sottoposto con tutta la sua buona volontà. Valutò l'idea di spegnere il cellulare, ma preferiva essere reperibile nel caso in cui Kate avesse avuto bisogno di mettersi in contatto con lui, o semplicemente informarsi su come stesse procedendo il loro "appuntamento". Finora si era controllata stoicamente, lasciandoli soli a godersi la reciproca compagnia, proprio come aveva promesso di fare. Era convinto che lui non sarebbe stato altrettanto eroico.
In più Kate gli mancava in maniera piuttosto consistente, e se Alex era del tutto tranquillo senza sua madre, lui invece non avrebbe disdegnato di mettersi in contatto con lei con una certa regolarità, solo per sentire la sua voce.

Alla fine fu costretto ad accettare di passare da loro per quella che, si augurava, si sarebbe rivelata una visita mordi e fuggi. Lo fece non tanto perché pensò con grande sfoggio di nobiltà d'animo che anche loro avevano diritto di godere della spensieratezza che Alex disseminava senza nessuna fatica intorno a sé, ma solo perché si convinse che la figlia maggiore fosse in grado di rintracciare il segnale del suo telefono e quindi, presto, le avrebbe viste apparire festanti a dar loro la caccia.
Se si fosse invece consegnato al nemico, penetrando volontariamente nel loro territorio, avrebbe potuto almeno decidere quanto trattenersi con loro. Molto poco, decise.

Come era prevedibile, da quel bambino cordiale che era, Alex fu sinceramente entusiasta di incontrare la nonna e la sorella. Le intravide dalla vetrina del caffè dove gli avevano dato appuntamento e le salutò freneticamente, prima ancora che loro si accorgessero della sua presenza.
Castle dovette ammettere, una volta entrato nel locale caldo e un po' troppo affollato per i suoi gusti – un altro strascico negativo che, insieme all'insonnia, infestava le sue giornate e cioè una certa riluttanza ad affrontare luoghi troppo frequentati – che sarebbe stato ingeneroso da parte sua tenere lontano Alex da due persone che, a voler essere onesti, avevano costituito l'ossatura della sua famiglia molto prima di lui.
Era impossibile raccapezzarsi e capire, tra gli strilli di gioia e i saluti calorosi che si scambiarono, chi fosse più felice di ritrovarsi nella riunione improvvisata, e Castle non ci provò nemmeno. Abbandonò suo figlio tra le braccia avide protese verso di lui, senza poterlo fermare nemmeno volendo, visto che si era lanciato su di loro con grande ardore.
Lo ritrovò dopo qualche minuto in grembo a sua madre, impegnata a ricevere le sue robuste effusioni, molto su più di giri di quanto fosse stato con lui.
Valutò il lato positivo della faccenda: quantomeno non era lui il colpevole della sua esagerata eccitazione. Anzi, fino a quel momento era riuscito ad avere un effetto rasserenante su di lui, cosa che di norma riusciva solo a sua madre.

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