Ventisei

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Accadde tutto in modo inaspettato.
Quando più tardi, in solitudine, Castle ripensò ai concitati eventi che si erano dispiegati a fronte alla sua totale impotenza, fu così che iniziò il racconto con se stesso.
E cioè che si fosse passati dall'armonia di battiti e respiri, in cui avevano condiviso un istintivo momento di appartenenza, alla cacofonia di un brusco risveglio. E senza nessun preavviso.


Alex divenne irrequieto, qualche minuto dopo essersi addormentato. Castle era sicuro che avesse preso sonno. Avrebbe potuto giurarlo in qualsiasi tribunale.
Tornò allo stato di veglia con un ansito, che Castle sentì riverberare nel suo corpo come una scossa elettrica. Riprese a muoversi sull'altalena per ripristinare l'equilibro perduto, il sottile bilanciamento di forze che aveva consentito la totale vicinanza tra loro, ma che questa volta non ebbe il precedente effetto miracoloso.
Alex era sempre più agitato.
Castle si alzò. La forza brusca che impresse al movimento provocò l'oscillazione sgraziata dell'altalena, che perse il suo ritmo. Gli sembrò un cattivo presagio, ma scacciò quei pensieri irrazionali infastidito. Non stava succedendo niente di straordinario. Alex doveva essersi stancato e, semplicemente, non riusciva a rilassarsi, come tutti i bambini troppo stimolati.
Forse le attività a cui si erano dedicati avevano esaurito le sue riserve di energie.
L'aveva messo in conto. Non era una cosa fuori dal normale, quando si trattava di bambini. Perfino lui se lo ricordava dai suoi primi anni con Alexis, anche se le memorie risalivano a decenni precedenti. Era come andare in bicicletta. Era impossibile dimenticarlo.

Vide il passeggino parcheggiato a qualche metro da loro, il peso inutile che si erano trascinati in giro senza motivo, e pensò che potesse essere una soluzione. Forse lui non era in grado di rilassarlo perché si era approcciato alla loro uscita con un po' di nervosismo e timore di fare qualche passo indietro nella relazione con suo figlio – e questo risuonava in Alex, influenzando il suo umore. Se lui era teso, Alex non sarebbe mai riuscito a calmarsi, standogli in braccio.
Cercando di muoversi nel modo più delicato possibile per evitargli scossoni indesiderati, si piegò sulle gambe, inclinò lo schienale dell'attrezzo fino a metterlo in posizione orizzontale e vi depose Alex, che però non parve trovare quel sollievo immediato che si era aspettato.
Si girò su un fianco, rannicchiandosi in posizione fetale – segno inequivocabile della necessità di dormire – ma quando sentì la fredda imbottitura sotto la guancia, si voltò addolorato verso Castle, come se gli spiacesse di doverlo trovare colpevole di un'azione così ignobile.
Castle, pieno di rimorso, si sbrigò a sollevarlo tra le braccia, prima che il pianto che gli leggeva in viso esplodesse furioso. Alex gli si abbandonò contro usando le ultime forze che gli erano rimaste. Fu a quel punto che Castle cominciò a preoccuparsi sul serio. Se avesse pianto di rabbia scalciando o divincolandosi come un'anguilla avrebbe pensato che si trattasse di normale nervosismo indotto dalla stanchezza.
Alex, invece, aveva iniziato a emettere un flebile lamento costante, immobilizzandosi solo per qualche secondo, prima di spostarsi senza requie sulla sua spalla per cercare, realizzò con apprensione, una nicchia confortevole che non trovava.
Non tollerava di sentirlo protestare su quella nota straziante. Gli gelava il sangue. Si impose di riscuotersi. Non poteva dar spazio alle proprie emozioni. Doveva aiutare suo figlio.

Gli venne solo allora il sospetto che avesse qualche malessere fisico più serio, rispetto alla semplice stanchezza. Forse aveva la febbre.
Avvicinò la guancia alla piccola fronte, che però gli sembrò normale. Fresca, perfino. Ma del resto che ne sapeva? Non misurava la temperatura con un semplice contatto fisico da non sapeva nemmeno quanto tempo. Sicuramente troppo. Aveva perso ogni sensibilità. E per quanto fosse stato previdente nel portare con sé la merenda, non era ancora arrivato al punto da pensare di infilarsi in tasca un termometro. Avrebbe dovuto farlo, invece. Per ogni necessità. Anzi, l'avrebbe sempre fatto, da lì in avanti.
Rimaneva però da risolvere il problema di Alex, che gli era oscuro esattamente come all'inizio dei loro tormenti. Non aveva fatto nessun passo avanti.

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