Diciannove

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Kate ebbe la sensazione che qualcosa di impercettibile le sfiorasse il viso, ma, nel mondo buio e sommerso in cui era sprofondata senza esserne consapevole, fu solo una minuzia che si inserì armoniosamente nel quadro di totale beatitudine in cui si librava leggera e che non voleva abbandonare per nessun motivo.
Non stava così bene da un tempo infinitamente lungo e impietoso.
Si godette la sensazione di benessere, immergendosi ancora più a fondo nella calda oscurità che le faceva da barriera liquida contro la cruda luce della realtà.
Poco dopo, un disturbo in sottofondo - una specie di ronzio - la richiamò dagli abissi dove si era incagliata arrotolandosi su se stessa, e, troppo presto, la sua coscienza vigile la riportò in superficie.
Mosse le palpebre. Castle le sorrise guardandola con la testa inclinata, mentre le accarezzava i capelli, scuotendola piano con l'intenzione di rianimarla. Era sdraiato sul letto, appoggiato su un fianco e rivolto verso di lei.
Doveva essersi addormentata senza volerlo, cullata dalla nenia che Castle aveva canticchiato ad Alex. Era l'ultimo ricordo che avesse.
Si sfregò gli occhi con una mano, confusa e ancora indecisa se riprendere a dormire o riannodare le fila della loro serata seguendo un codice di comportamento in uso tra le persone civili – e cioè non distesi sul suo letto in una camera priva di illuminazione.
Chissà se fuori stava ancora nevicando.

Bastò dare un'occhiata al volto di Castle per farle decidere rapidamente che non era il caso di cedere nuovamente al sonno. Seppe d'istinto che qualcosa lo stava preoccupando, grazie ai suoi sensi sempre all'erta.
Un fiotto di adrenalina si sprigionò all'istante nel suo corpo, diramandosi fino alle estremità, scuotendola tutta e rendendola lucida e pronta a intervenire.
"Che cosa c'è?", gli domandò allarmata. "Alex sta male?".
Una veloce ricognizione nell'ambiente, una volta che i suoi occhi si furono abituati alla penombra, le rivelò che Alex stava dormendo sereno, voltato su un fianco, con il fedele dito in bocca. Era il ritratto del rilassamento appagato.
In fondo al lettino troneggiava il nuovo guardiano eletto protettore del suo riposo, che aveva le fattezze dell'orso gigante che Castle gli aveva regalato quella sera.
Kate si distrasse, chiedendosi come avrebbe reagito Alex quando si fosse svegliato con quell'enorme creatura di pezza a fissarlo da dietro le sbarre, ma subito l'apprensione tornò ad albergare al centro del suo petto, quando si voltò verso Castle, che era rimasto disteso accanto a lei, con un braccio piegato sotto la testa, i capelli un po' spettinati e un'espressione di totale sfinimento ad appesantirgli i lineamenti.
"Stai bene?", si informò. Che cosa c'era che non andava? Perché aveva la sensazione che qualcosa di tragico si stesse per abbattere su di loro?
"Sì. Va tutto bene. Perché sei così agitata?".
Nonostante stesse cercando di dargliela a bere, non si sarebbe fatta ingannare con tanta facilità. Lo conosceva troppo a fondo per non intravedere la preoccupazione annidata nelle piccole rughe ai lati delle labbra.
"Non sono agitata", replicò seccamente. "È solo che hai uno sguardo strano...".
"Non ho nessuno sguardo strano", si impuntò, un po' troppo fiaccamente.
"Se vuoi possiamo continuare a giocare a smentirci, ma faremmo molto prima se ti decidessi a dirmi che cosa c'è che non va".
Aveva parlato con un tono molto calmo e conciliante, nonostante il suo sistema di allerta stesse suonando da diversi minuti al massimo del livello di pericolo.
Castle si passò stancamente una mano tra i capelli, spettinandoli del tutto, il che contribuì in maniera definitiva a convincerla che ci fossero brutte notizie in arrivo.
Non sapere di che cosa si trattasse la stava mandando in panico, ma non voleva forzarlo a parlare.

Si sentì in ostaggio della stessa premonizione che aveva avvertito al mattino, quando aveva notato di sfuggita che si stava comportando in maniera insolita. Aveva sempre ragione quando si trattava di Castle. Saperlo però non contribuì a tranquillizzarla.
Gli toccò piano una guancia con la punta delle dita.
"Castle...", lo invitò con dolcezza, lasciando in sospeso la frase.
"Ho ricevuto delle informazioni sulla mia scomparsa", cedette lui alla fine, senza che fosse necessario insistere troppo a lungo.
Kate lo guardò allibita, come se il tempo fosse guizzato all'indietro in un tunnel viscoso, trascinandoli con sé. Era l'ultima cosa che si era aspettata.
Aveva pensato che fosse sopraffatto da emozioni che, vulnerabile e ancora fisicamente debole, non era in grado di metabolizzare. Aveva sperato che si sarebbe confidato con lei e di poterlo aiutare.
Di certo non pensava di venire catapultata nell'implacabile realtà che li attendeva dietro l'angolo, né di essere colpita a tradimento proprio nel lungo in cui si considerava al sicuro. La sua casa.
Si ricompose, raddrizzando la schiena e recuperando in fretta il contegno adatto. Doveva essere pronta. A tutto.
"Andiamo di là", gli ordinò, con il solito atteggiamento molto pratico. "Qui disturberemmo Alex".
Suonò molto ragionevole alle sue stesse orecchie, ma la verità era che non voleva che il bambino fosse esposto a verità dolorose, anche se stava dormendo ignaro del dramma che stava vorticando intorno ai suoi genitori. E a lui, in un certo senso.

Seguì Castle fuori dalla porta e se la richiuse alle spalle con cura, per non fare rumore.
"Caffè?", gli propose, dirigendosi con passo marziale verso la cucina.
Aveva invece un grande bisogno di schiarirsi le idee e dissipare lo stato confusionale dovuto al brusco risveglio, che l'aveva lasciata con lo stomaco annodato e un bruciore in gola che peggiorava di minuto in minuto.
Rimasero in silenzio, mentre lei si concentrava nei preparativi con fare meccanico. Castle era appoggiato contro gli scaffali della cucina, con le braccia incrociate e la schiena curva, fissando il pavimento.
Sembrava immerso in riflessioni molto gravi. Questo non la aiutava affatto a calmarsi.
Gli fece segno di andare ad accomodarsi sul divano, e rifiutò il suo aiuto per trasferire lì le tazze bollenti, che invece portò da sola. Doveva tenere le mani impegnate per evitare che tremassero.
"Raccontami tutto", gli intimò, una volta seduta di fronte a lui, pronta alla lotta, qualsiasi volto avesse assunto.
Castle non toccò la bevanda fumante che lei gli offrì. Si limitò a fissare il liquido scuro, per decidere come formulare quello che stava per dirle.
L'impazienza e il nervosismo ebbero il sopravvento, rendendo vani i suoi propositi.
"Castle, non tenermi nascosto niente. Qualsiasi cosa sia, l'affronteremo. Insieme". Le sarebbe piaciuto esserne così certa, ma era più che altro un'illusione speranzosa.
"D'accordo". Castle inspirò profondamente, prima di iniziare a narrare i fatti.
"Ieri sera, dopo che ci siamo salutati da Remy's, sono tornato al loft". Fece una pausa. Kate attese immobile che continuasse, le dita strette con troppa forza intorno alla ceramica che scottava, senza notare il disagio fisico.
"Qualche ora dopo – era molto tardi, mia madre e Alexis erano già a letto – ho ricevuto una telefonata", continuò come stesse parlando di qualcosa che non lo riguardava.
Kate alzò la testa di scatto.
"Una telefonata? Da parte di chi? Hai registrato il numero?". Partì in quarta facendo quello che le veniva meglio: indagare.
"Ho già controllato. Si tratta di un numero usa e getta che non è più attivo. Non possiamo rintracciarlo", la informò pratico, spiacente di deluderla.
"Che cosa ti ha detto il tuo... interlocutore?". Si sentiva fredda e concentrata proprio come quando arrivava sulla scena del delitto.
"Era una voce maschile sconosciuta. Mi ha avvertito di lasciar perdere".
Non capì. "Di lasciar perdere che cosa?", chiese disorientata.
"Le ricerche riguardo a quello che mi è successo durante quei mesi di assenza".
Kate rimase impietrita sotto quella svolta imprevista. Non riusciva a capirne la logica.
"Perché qualcuno dovrebbe prendersi la briga di chiamarti per dirti una cosa del genere? Non ha senso. Se non avessero voluto che indagassi...".
"Mi avrebbero ucciso per mettermi a tacere per sempre. Lo so. È quello che ho pensato anche io e che gli ho fatto presente".
"E lui?".
"Mi ha consigliato di pensare a te e ad Alex, prima di compiere mosse avventate".
Un brivido di puro orrore serpeggiò lungo la sua schiena, al sentire nominare suo figlio in un contesto di quel genere.
Avrebbe voluto balzare in piedi e correre di là ad accertarsi che stesse bene e che fosse al sicuro. Sapeva che era così, ma aveva bisogno di vederlo con i propri occhi. Prima però decise di andare fino in fondo alla storia.
"Quindi ti ha... minacciato?".
"No. Per quanto possa apparire strano, è suonato davvero come un consiglio espresso in buona fede. Mi è sembrato che... non fosse lui il mandante di tutto. Più che altro una specie di intermediario".
Trovava che niente di quello che Castle le stesse raccontando avesse senso. Non una singola parola.
"E poi?". Sentiva che non era finita lì.
"Gli ho risposto che non era abbastanza per fermarmi. Doveva dirmi qualcosa di più, altrimenti avrei comunque continuato a indagare sulla mia scomparsa, che gli piacesse o meno", spiegò con determinazione.
Kate rabbrividì violentemente. "Castle!", esclamò inorridita. "Che cosa ti è saltato in mente?!".
"Stavo bluffando. È ovvio che non avevo nessuna intenzione di immischiarmi, soprattutto dopo che tu e Alex siete stati messi in mezzo. Ma lui deve aver creduto che facessi sul serio perché mi ha dato appuntamento al giorno dopo. A oggi".

[To be continued]

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