Undici

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Fu subito evidente che Lisa non rientrava nella considerevole categoria a impronta prettamente femminile delle "Fan di Castle", e che non aveva nessuna intenzione di farsi impressionare dalle sue maniere impeccabili, nonostante la pronta adesione all'idea che Alex incontrasse il padre, a cui si era dimostrata vivacemente favorevole quando Kate l'avvertita al telefono che avrebbero ricevuto visite.
Era del tutto impermeabile al fascino che Castle di solito esercitava con tanta naturalezza sulle donne, in grado di conquistarle tutte senza nessuno sforzo apparente. Tutte tranne Lisa.
Dopo essersi ricomposti entrambi un po' affannosamente, Castle si era rivolto alla nuova interlocutrice sfoderando il suo migliore sorriso, mentre Kate era rimasta in disparte. Si era presentato, ma il suo tentativo di essere affabile era franato contro il muro della diffidenza di Lisa, che si era limitata a un breve cenno del capo, a braccia rigorosamente conserte.
"So chi è, signor Castle. Bentornato".
"Grazie", le aveva risposto Castle con una lieve sfumatura interrogativa, non del tutto sicuro che la donna intendesse giudicare positiva la sua ricomparsa.
Aveva lanciato un'occhiata confusa a Kate, in cerca del suo aiuto, per decifrare una situazione che non sapeva perché gli stesse sfuggendo di mano. "E grazie per permettermi di vedere Alex", aveva continuato con ammirabile temerarietà, nonostante il silenzio ostile che aveva pervaso lo spazio intorno al loro terzetto. "Prometto di rimanere solo cinque minuti e di non dare nessun fastidio".
Lisa l'aveva squadrato per valutare la credibilità delle sue parole, poi aveva alzato il mento e si era affrettata a chiarire: "Non deve ringraziare me. È Katherine ad averlo deciso".
Al sentirsi chiamare con il suo nome per esteso, Kate aveva alzato gli occhi stupita, in tempo per vedere balenare negli occhi di Lisa un luccichio divertito, rivolto solo a lei, che l'aveva rilassata. Non era davvero avversa a Castle, stava solo delimitando i confini protettivi all'interno dei quali i suoi bambini erano al sicuro. A quel punto non si sarebbe stupita se l'avesse minacciato di ritorsioni, se avesse osato turbare il suo protetto.

Castle si era ritirato in un ossequioso silenzio, avendo capito di essersi giocato la prima occasione di fare una buona impressione sulla persona che si occupava di suo figlio ed era rimasto in attesa di indicazioni esterne su come si sarebbero mossi di lì in avanti. Non era il suo territorio e non poteva vantare nessuna autorità. La verità era che non conosceva suo figlio e doveva riferirsi a parti terze per sapere come comportarsi. Si immedesimò in lui e si sentì desolata per quello che stava provando e che gli leggeva negli occhi. Dispiacere e frustrazione. E un po' di sconfitta.
Aveva dimenticato come fosse semplice per lei, e qualche volta doloroso, capire tanto bene le sue emozioni, al punto di riviverle sulla sua pelle.
Lisa si rivolse di nuovo a loro, dopo una pausa.
"La vostra è una situazione particolare, di solito non riceviamo questo genere di visite da parte dei genitori", li informò la donna, che aveva assunto un tono molto più cordiale, insieme a un generale atteggiamento meno astioso, una volta chiaritasi - non verbalmente - con Castle.
Mentre parlava, li aveva condotti nei pressi del locale dove si trovava Alex. Kate riusciva a distinguere la sua voce in mezzo a quella degli altri bambini, grazie a un istinto che si sarebbe conservato immutato nel tempo. Le gambe erano scosse da un tremore invisibile all'esterno, dove invece appariva composta e sicura di sé.
Si fermarono sulla soglia. "Alex è qui. Sono sicura che saprete come comportavi per il suo bene. Se avete bisogno di me, sarò nel mio ufficio".
Se ne andò senza farla troppo lunga. Kate lo apprezzò. Aveva bisogno di rimanere da sola con Castle per qualche minuto, prima di venire catapultati nella nuova dimensione familiare a tre.

Castle scrutò l'interno della stanza, senza chiederle quale fosse il loro figlio, forse nel tentativo di riconoscerlo in mezzo agli altri, grazie a qualche istinto atavico che gli avrebbe fatto riconoscere il sangue del suo sangue a prima vista. Kate intrufolò una mano nella sua, che pendeva rigida vicino al corpo teso.
Castle gliela strinse di rimando, voltandosi fuggevolmente a guardarla con occhi appannati.
Kate si sentì trasportare nel passato, quando, da dietro il vetro della nursery, aveva mostrato ai suoi numerosi visitatori il piccolo Beckett, confuso tra tutti gli altri neonati urlanti.
Non ci fu il tempo di indicargli piena di orgoglio quale di quei bambini appartenesse a loro, né, per Castle, quello di familiarizzarsi con le fattezze sconosciute di una parte di sé pronta a ricongiungersi con lui, che un bambino frenetico si staccò dal resto del gruppo rumoroso, sbracciandosi nella loro direzione e precipitandosi da loro in un tentativo di corsa ancora troppo audace per via delle piccole gambe instabili e inadatte a quello sforzo.
Kate, paralizzata e rassegnata al compiersi del destino, sentì le parole morirle sulle labbra. Riuscì solo a stringere forte la mano di Castle in un ultimo gesto di incoraggiamento, prima di lasciarla e di avanzare frettolosamente incontro ad Alex, per prevenire all'ultimo la rovinosa caduta a cui non poteva scampare.
In uno dei suoi soliti impeti di gioia, Alex si fece sollevare, facendoli barcollare entrambi, e la baciò ripetutamente con grande ardore, puntandole con decisione i piedi nei fianchi, strizzandola in uno dei suoi abbracci a rischio asfissia.
Aveva ignorato del tutto Castle.
Kate si volse a cercarlo con lo sguardo, non sapendo se avesse abbandonato la postazione appartata per avvicinarsi a loro. Non lo aveva fatto. Forse aspettava un suo cenno, prima di muoversi. Non era facile comprendere le sue intenzioni, visto lo stato di totale stordimento in cui si trovava.
Kate tornò verso di lui, tenendo saldamente il bambino tra le braccia, dal momento che non aveva nessuna intenzione di rimettere i piedi a terra. Ogni ansia era svanita, adesso che era con lei ridente e cicalante come sempre, in estasi per la sorpresa del suo arrivo anticipato.
Castle stava trattenendo il fiato, se ne accorse dalla tensione del suo corpo. Era totalmente rapito dal volto del bambino, al punto da non accorgersi che Kate gli si stava rivolgendo. Non riusciva a staccare gli occhi sgranati da Alex che, ignaro del momento sconvolgente che stavano vivendo i suoi genitori – per la prima volta la parola era declinata al plurale, il cuore di Kate sfarfallò quando se ne rese conto – aveva dato inizio alla consueta abitudine di balbettarle incomprensibilmente i grandi misteri della vita che aveva appreso in sua assenza.
Staccò con decisione una manina appiccicosa dal proprio collo martoriato da innumerevoli altri assalti dello stesso tipo, per attirare la sua attenzione, chiamandolo per nome più di una volta. Alex finalmente si zittì, guardandola con occhi attenti.
Gli indicò Castle appoggiando una mano sul suo avambraccio, per fare da tramite fisico ai due uomini ancora sconosciuti l'uno all'altro.
"Alex. Questo è papà. Papà, lui è Alex", annunciò con voce che morì sul finale, rotta dall'emozione. Suonò come una frase stucchevole da romanzo d'appendice, ma la verità era che in quel momento era l'unica cosa sensata che fosse riuscita a mettere in fila. Del resto nella vita non aveva mai pensato di doversi preparare all'eventualità di presentare un figlio già cresciuto al proprio padre.
Non ottenne nessuna reazione, da parte di entrambi. Uomini, pensò.
Alex osservò Castle con solo un lieve accenno di curiosità - probabilmente per lui la parola padre non significava ancora niente di concreto, era troppo piccolo per poter avvertire la mancanza di qualcosa che non aveva mai fatto parte della sua esistenza.
Fu Castle quello che subì la trasformazione più imprevedibile, prendendo le sembianze di un enorme gatto di marmo, immobile. Kate lo scrutò per capire dove fosse il problema e poi indurì lo sguardo per mettersi in contatto con lui, che era perso in un'altra dimensione, avendo apparentemente perso l'uso della favella. Guardò intenzionalmente prima lui e poi Alex, per sollecitarlo a fare qualcosa, ma senza sortire nessun effetto. Lo scosse prima debolmente e poi con decisione.
"Castle", bisbigliò severa e impaziente. "Va tutto bene? Vuoi un bicchiere d'acqua?". Non la sentì nemmeno. Forse avrebbe dovuto provare con un piccolo colpetto negli stinchi, ma non le sembrava che prendere a calci il padre potesse essere di esempio per Alex.
"Castle, se prima di cadere svenuto a terra potresti farci il favore di avvisarci, perché non credo che sarebbe bello per Alex e tutti i bambini presenti assistere a una tale scena...".
Fu interrotta nella sua esposizione fintamente annoiata, fatta solo con l'intento per risvegliarlo con una buona dose di sarcasmo e condita da qualche occhiataccia, da un Castle sempre imbambolato, ma che sembrava essere appena resuscitato a vita terrena. Si protese verso di loro, alzando una mano per accarezzare i capelli di Alex, ma fermandosi quando il bambino, intimorito, si tuffò contro di lei, affondando nella sua spalla, lanciando un gridolino.
"È... sei tu", balbettò Castle sconcertato, a cui era evidentemente tornata la voce, ma non il senno. Lei e Alex non erano poi così simili. "Ha i tuoi occhi. E quello sguardo adorabile della prima volta che ci siamo incontrati", commentò sognante.
Bisognava fermarlo.
"Quando volevo arrestarti?", lo punzecchiò ironica, per fargli tornare un po' di colore sulle guance.
Il tentativo di fare dello spirito si perse nel vuoto. Per non riuscire a scherzare significava che Castle era profondamente sconvolto. Avevano pensato tutti al bene Alex, ma anche lui era ancora molto fragile e, probabilmente, aveva esaurito tutte le energie, visto che, in quel momento, avrebbe dovuto essere nel suo letto a riposare. Era necessario intervenire in qualche modo per metterlo più a suo agio.

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