Tornarono a casa immersi in un silenzio confortevole, punteggiato sporadicamente da frasi casuali senza nessuna importanza.
Castle guidava sicuro nella notte che aveva deciso di mostrar loro il suo lato benigno, invece di farli sprofondare indifferente nell'afflizione. Kate inviò nell'etere un generico pensiero di ringraziamento, verso qualsiasi divinità ci fosse stata all'ascolto.
Uscendo dall'ospedale, ancora un po' scossa e respirando avidamente l'aria fresca di cui aveva avuto un gran bisogno, gli aveva consegnato le chiavi della sua auto con una determinazione che aveva spento sul nascere qualsiasi replica. Castle aveva accettato il gesto spontaneo senza rimarcare in nessun modo l'eccezionalità dell'evento, forse temendo che avrebbe cambiato idea.Kate appoggiò la testa sul finestrino freddo e lasciò che le immagini della città ancora insonnolita si dipanassero sotto ai suoi occhi stanchi e arrossati. Da quella posizione un po' inclinata riusciva a percepire il respiro lento di Alex, che dormiva sereno sul sedile posteriore.
Il ritmo regolare del suo torace che si alzava e abbassava, che solo qualche ora prima era stato convulso, contribuì a farla rilassare, trasportandola in un mondo ovattato, impermeabile a drammi e paure. Si sentiva in pace nell'abitacolo invaso da un tepore piacevole ed ermeticamente al riparo da tutto quello che avrebbe potuto rappresentare una minaccia al benessere della sua famiglia.
Ebbe la certezza che sarebbe andato tutto bene. L'ansia per la salute di Alex apparteneva a un passato che non li riguardava più. Ci sarebbero state altre occasioni simili in futuro – Kate non era così ingenua da non rendersene conto - ma almeno per quella notte erano in salvo. Tutti e tre. Nessuno avrebbe avuto il potere di strapparli da quel conforto appena raggiunto.
"Vuoi portarlo subito a letto?", esordì Castle con Alex addormentato tra le braccia, una volta che si ritirarono in quello che aveva assunto le sembianze di un riparo efficacemente in grado di impugnare le tempeste e allontanarle dal loro uscio, purché fossero insieme.
"No", si passò faticosamente una mano tra i capelli e si stropicciò gli occhi che pungevano come spilli. La serata era stata ricca di eventi, il cui peso gravoso si stava facendo sentire, per colpa del rilascio di adrenalina. Ma era una stanchezza positiva, qualcosa che assomigliava più a un languore felice.
"Deve mangiare qualcosa, visto che non ha cenato e l'ultimo cibo finito nel suo stomaco è stato...".
"Zucchero filato". Castle fece una buffa faccia colpevole che la fece scoppiare a ridere.
"Pensavo di preparargli un biberon di latte, prima di portarlo in camera. Dorme così profondamente che non credo si sveglierà, ma non voglio che rimanga a digiuno".
Castle annuì, accettando la sua decisione senza esprimere opinioni.
Era curioso, notò Kate in silenzio, come Castle non avesse mai obiezioni da porre sulle scelte che faceva riguardo alla vita di Alex. La lasciava libera di agire come meglio credeva, facendosi da parte e intervenendo solo quando arrivava al punto di minacciare di radere al suolo interi ospedali. Da quando era tornato a casa si era introdotto nelle loro vite con scioltezza rilassata, divenendo ben presto un elemento radicante, come era ovvio che fosse, vista la sua personalità e il ruolo che gli spettava di diritto, ma senza darlo per scontato lui per primo.
Si diresse verso la cucina, per preparare l'occorrente e scaldare il latte. Castle l'aiutò, muovendosi con naturalezza intorno a lei, contribuendo a ripristinare quell'armonia priva di sforzi che era stata la loro prerogativa di un tempo.
"Vuoi darglielo tu?", si offrì, ma Kate si fece da parte, lasciando che fosse lui a farlo. Gli consegnò il latte ormai pronto e si allontanò di qualche passo per dargli l'agio e lo spazio necessari per portare a termine il suo compito, reso più complicato dal totale abbandono al sonno di Alex.
"Penso di andare a fare una doccia veloce. Sono esausta", annunciò, in parte perché ne aveva bisogno, ma anche perché potessero condividere liberamente la loro intimità.
Castle annuì, voltandosi appena a guardarla. "Vorrei portarlo subito a letto dopo, o preferisci che ti aspetti? È così stanco...", propose senza insistere.
Kate fu d'accordo con lui. Non c'era nessun bisogno che ci fosse anche lei. Era in grado di gestire Alex senza la sua assillante presenza.
Prima di lasciarli da soli, rimase a osservarlo in disparte. Non c'era niente di straordinario nella scena di cui era testimone - in fondo era solo un padre che nutriva suo figlio, come doveva succedere milioni di volte al giorno in giro per il mondo -, ma la dolcezza con cui guardava Alex succhiare il biberon, credendo di non essere visto, bastò a farla sciogliere. E a indurle dei pensieri di ben altra natura perché, fuori da ogni immagine poetica, si trattava pur sempre di Richard Castle in piedi di notte nella sua cucina, fasciato da jeans perfettamente aderenti mentre teneva in braccio un bambino. Il loro.
Il rimescolamento che provò non aveva proprio niente di etereo, ma non si sentì colpevole nemmeno un po'. Tanto lui non se ne era accorto.La doccia si rivelò un toccasana per i suoi muscoli contratti sui quali fece scorrere a lungo l'acqua bollente, trascorrendo più tempo del previsto al suo interno. Non tese l'orecchio per cogliere eventuali rumori nell'altra stanza, perché sapeva che Castle era perfettamente in grado di far riaddormentare Alex, nel caso in cui si fosse svegliato. Anzi, sospettava che in quello fosse più bravo di lei, almeno in base alle ultime dimostrazioni.
Il salotto era curiosamente deserto, quando vi fece ritorno ritemprata e vivificata dalla scossa energizzante appena ricevuta. Era riuscita a scrollarsi di dosso gran parte della stanchezza e sperò che Castle non avvertisse troppo il peso delle vicissitudini appena trascorse, così da avere qualche minuto da condividere insieme in tutta tranquillità, prima di andare a letto.
Prese posto sul tappeto, la schiena appoggiata al divano, le gambe raccolte contro il petto nello spazio esiguo delimitato dal tavolino di fronte a lei.
Appena si rilassò e chiuse gli occhi, la sua mente ancora frenetica produsse in rapida successione immagini angoscianti di quelli che erano stati i suoi timori più crudeli: Alex febbricitante ricoverato in una corsia piena di altri bambini malati, o magari, peggio ancora, messo in isolamento. Prelievi dolorosi che si rifiutò di visualizzare, pianti inconsolabili e lei e Castle ad assisterlo in quella che sarebbe potuta diventare in fretta una delle notti più buie della loro vita.
Invece si era risolto tutto nel miglior modo possibile, nonostante i nervi provati, come se una fatina buona avesse deciso di beneficiarli di un lieto fine, armeggiando con la sua bacchetta magica.
Forse lieto fine non era l'espressione giusta, se pur molto ispirata, rimuginò. In realtà, per quanto la riguardava non era proprio la fine di nulla. Anzi, dovevano ancora cominciare. E presto.
Concentrata in pensieri solo appena meno che innocenti – si auto assolse in seguito, sapendo di mentirsi -, non sentì Castle arrivare alle sue spalle e sedersi sul divano, dietro di lei. Se ne rese conto con un sussulto solo quando le sue mani calde scivolarono sulle sue spalle e iniziarono un lento massaggio distensivo. O lui era diventato molto bravo a muoversi di soppiatto, o lei doveva rivedere il suo livello di guardia rispetto agli eventi esterni. E magari smettere di spedire in giro la sua fantasia a briglie sciolte.
Arcuò il collo contro di lui, mugolando a occhi chiusi, per renderlo partecipe del piacere che le stava procurando.
"Hai fame? Vuoi che cucini o ordini qualcosa da mangiare?", le propose, interrompendo brutalmente le sensazioni più che piacevoli che stava sperimentando.
Era sempre proprio necessario che parlasse?
Scosse la testa. "Non ho fame". Avrebbe voluto dire abbandonare la beatitudine nella quale era immersa e, soprattutto che le sue mani se ne sarebbero andate lontane dal suo corpo. Non era in grado di sopportarlo.
Con suo disappunto, le mani se ne andarono lo stesso. Castle si alzò e andò a rovistare nel suo cappotto, quello con cui l'aveva avvolta in ospedale.
Tornò a sorpresa con qualche sacchetto di patatine, che depose disordinatamente davanti a lei. Aveva recuperato chissà dove un fiammifero, che usò per accendere la candela a forma di enorme uno che avevano usato per la festa di compleanno privata di Alex e che lei non aveva mai riposto. Le piaceva. Era allegra.
In ultimo tirò fuori qualcosa che doveva essere stato cibo, ma che era ormai diventato irriconoscibile.
"Li ho presi alle macchinette. Pensavo che ne avremmo avuto bisogno durante la serata". Kate si incuriosì. Non aveva idea di quando si fosse allontanato dall'emergenza, per andare a recuperare qualcosa da mettere sotto i denti, ma del resto c'erano numerosi buchi nella sua memoria relativi ai quei momenti concitati. Per non parlare di quando era quasi svenuta. Ricordarlo le provocava ancora parecchio disagio.
Indicò il cartoccio triste che giaceva sul tavolo.
"Oh, quella è la merenda di Alex", spiegò Castle. "L'avevo portata con me nel pomeriggio, nel caso gli fosse venuta fame. Ma poi... abbiamo preferito mangiare altro", ammise vergognandosi un po'.
Kate tacque, osservando il pacchetto tutto schiacciato. Ormai non era più commestibile ma, per qualche motivo, l'aspetto malconcio dell'involucro non più utilizzabile le fece tenerezza. Tanta.
Si immaginò Castle prepararsi nervoso per l'appuntamento con suo figlio, cercando di prevedere ogni necessità e infilarsi in tasca la merenda preferita di Alex, nel caso avesse dovuto tamponare un improvviso attacco di fame.
Le parve racchiudere tutto quello che Castle era diventato per lei e Alex, simbolo esclusivo del modo unico e raro che aveva di prendersi cura di loro, ricoprendoli di premure e attenzioni, ma sempre con cautela e senza far mancare loro un po' di sana allegria. Fu travolta in un'unica ondata da tutto l'amore che lui aveva riversato su entrambi, su tutti, senza pretendere niente, nonostante fosse un suo diritto, offrendo quello che poteva, rispettando le sue assurde imposizioni senza fiatare, accettando quello potevano dargli in cambio.
Nella merenda ammaccata percepì soprattutto la sua solitudine e il peso straniante di essere tornato in un modo diverso da quello che aveva lasciato e che adesso aveva nuove regole che aveva dovuto imparare in fretta. Il mondo che all'inizio l'aveva relegato in un angolo e che gli aveva concesso di farsi strada, con tenacia e costanza, solo a piccoli passi. E, infine, sentì tutta l'assurdità della distanza alla quale l'aveva tenuto, che impediva di averlo con loro tutti i giorni della loro vita, come sarebbe stato naturale. Come voleva che fosse.
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Rainbow
Fanfiction7x01: Castle viene ritrovato dopo essere stato via un po' di più di otto settimane... e il suo ritorno sarà ricco di sorprese