Prologo

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Mi hanno sempre attribuito molti nomi. No,  non nomignoli affettuosi, ben si nomi dispregiativi. Me li sono elencati per ricordarmi che razza di uomo sono. Ne vado fiero.
Se non fossi questo...

-Stronzo
-egoista
-cinico
-sbruffone

non sarei arrivato dove sono oggi, un brillante avvocato di successo. Amo il mio lavoro, amo sentire le storie degli altri e dare la palla in mano al miglior leader, che indubbiamente vince grazie al mio supporto.

Ma credo che l'aggettivo migliore con cui mi abbiano descritto sia stato... Donnaiolo.

Ebbene sì, sono il così detto "don Giovanni da strapazzo". Mi piace non focalizzarmi solo su una donna e legarmi.

Stavo per fare questa sorta di errore due anni fa, con una ragazza splendida. Oh dovete credermi, un'italiana tutta pepe. Annalisa Mancini. L'unica che mi ha dato una seconda chance dopo un mio errore, ma ormai a quel punto lei apparteneva con il cuore ad un altro..Anthony.

Dopo siamo diventati amici, lasciando da parte i disguidi che la vita ci aveva presentato. Lui è un bravo ragazzo e si sono anche sposati. Lei è incinta di una femminuccia, la chiamerà Carlotta, ed anche se non ci crederete sarò il padrino.

Ma questa storia è la mia. Perciò concentratevi solo su quello che dirò io.

La puntualità era sempre stata il mio forte. Odiavo le persone che arrivavano in ritardo, ed io ero uno irascibile al quale la pazienza scattava come una molla.

Mi ero alzato tirando su le coperte in modo preciso, odiavo anche le pieghe che si formavano. Aprii l'ante dell'armadio toccando con il polpastrello le tante camicie sulle grucce, suddivise per colore e modello. Ne scelsi una celestina, abbottonandomi accuratamente e sfilando la cravatta abbinata nera con delle righe azzurre. Andai davanti allo specchio, alzando il mento ed il collo della camicia per annodarla.

In cucina presi del caffè dalla caraffa, infilandomi la giacca e sistemandola sulle spalle, afferrai la 24 ore e scesi velocemente le scale.
Conoscevo tutti in quel quartiere davanti Central Park. Ci ero nato, e non avrei cambiato per nulla al mondo.

Aprii la mia Audi nera laccata con il pulsante del telecomando, ed entrai dentro, sistemando la valigia sul sedile accanto a me e salutai con un gesto della mano il signor Daren, il fornaio di fiducia. Misi i miei fenomenali occhiali a specchio, innestai la prima e girai il volante per partire.

Quando arrivai davanti lo studio, dove lavoravo, parcheggiai la macchina con cura.

Entrai trovando dietro al bancone Clarys, che mi salutava con la mano sorridendomi mentre parlava all'auricolare, controllando sulla schermata del computer. Conoscevo tutti ormai in questo posto, c'era sempre un vai e vieni di gente che pullulavano.

Eravamo sempre indaffarati. Pigiai il bottone dell'ascensore aspettando che arrivasse in fretta, controllando sul Rolex che non fossi maledettamente in ritardo. Per mia sfortuna si. Ma la mia segretaria, Gwen, avrebbe dovuto farmi trovare il mio solito caffè macchiato con una spruzzata di caramello. Ragazza laboriosa, ma già avevo avuto il piacere di conoscerla meglio al di fuori del posto di lavoro. E sicuramente era molto più brava.

Quando le porte metalliche si aprirono, aspettavo con ansia quel momento in cui sarei entrato nel mio studio e mi sarei gustato la beatitudine di stare da solo. Mentre sognavo a occhi aperti vidii una ragazza con la coda scomposta e gli occhiali a fondo di bicchiere venirmi in contro in affanno, reggendo una cartellina in mano che prontamente si aprì, facendogli spargere tutti i fogli a terra.

La notai chinarsi, aggiustandosi gli occhiali sul naso, e raccoglierli in un ammasso portandoseli al petto, stretti.
"M...mi scusi" si scusò balbettando. Spazientito risposi con un cenno della testa, mentre le porte si richiusero lasciandomi da solo con questo disastro vivente.

Scivolai lo sguardo verso il suo abbigliamento. Una gonna lunga e larga fino alle caviglie marrone, un maglioncino color panna accollato, ed un paio di mocassini marroni a contornare quello che la mia vista non poteva più reggere. Mia nonna si sarebbe vestita meglio.

Decisi di lasciar perdere, sapendo che tra poco mi sarei seduto sulla mia poltrona girevole, rovistando le scartoffie e bevendo il caffè.. e subito dopo un lavoretto da Gwen. Cazzo se ne avevo voglia.

Muoveva la gamba in modo frenetico, scostando la manica del maglione per controllare sull'orologio con il cinturino in cuoio, che ore fossero. Quando imprecò con un "oh porca merda", la vidii girarsi per sorridermi in modo strambo ed imbarazzata, lisciandosi la coda di cavallo.

Finché le porte non si aprirono, facendomi uscire, seguito da questa.. ma chi cavolo era?!

Salutai tutti con un gesto della mano, superando i vari uffici e affacciandomi sulle soglie per salutare e rivolgere sorrisi cordiali, anche alle segretarie più carine degli avvocati. Quando aprii la porta del mio ufficio vedendo il vuoto assoluto. Nessun caffè, nessun foglio. Un banco di legno spoglio. Mi girai di scatto, sbattendo contro un corpo caldo. Abbassai lo sguardo trovandomi difronte la ragazza dell'ascensore, se tale si poteva definire.

"Ti serve qualcosa?" Chiesi alzando un sopracciglio, girovagando con lo sguardo per scorgere Gwen; quando la vidii scuotere la testa, per dissentire.

"Allora perché sei ancora qui?" La rimbeccai cercando di essere gentile, ma il mio tono secco tradiva la poca voglia di parlare con questa donna.

"S...sono la sua nuova, segretaria" esordì con voce appena udibile, mantenendo il mio sguardo freddo. Quando scoppiai in una fragorosa risata.

"Ho capito, è uno scherzo. Candid camera, i soliti burloni". Risi scuotendo la testa divertito, entrando dentro al mio ufficio e pigiando sul telefono Clarys al piano di sotto, mentre la stramba continuava a stare sulla soglia con sguardo deluso e offeso. No impossibile!!

-Clarys dove cazzo è Gwen?. Sbottai furioso, passandomi una mano tra i capelli castani chiari, allentandomi la cravatta che sembrava mi stringesse le vie respiratorie.

-Non ti hanno informato? È andata via. È stata sostituita da un'altra ragazza. L'ho vista entrare nell'ascensore con te. Rivelò, stranita che non ne sapessi nulla, mentre rimettevo ordine nella testa al sentire quelle parole. Alzai lo sguardo verso la stramba, dilatando le pupille, vedendola muovere le gambe come se ballasse il tip-tap, evidentemente spazientita.

-Ma chi? La stramba?. Chiesi preoccupato per la mia vista, portando una mano a parare la cornetta per non farmi sentire.
Quando mi diede il colpo di grazia.

-Si. Una risposta secca prima di salutarmi e riagganciare, mentre la pregavo di non lasciarmi da solo.
Emisi un colpo di tosse, per poi guardarla facendole cenno con il dito di avanzare. Scrutò l'interno titubante, per poi fare un passo con i suoi mocassini.

"Sei la nuova segretaria?" Chiesi schietto, vedendola annuire debolmente.

"Il mio caffè?" Replicai spazientito dalla situazione. Non ero stato messo al corrente di un cazzo, e questa donna mi fissava anche  in modo persistente.
Le schioccai due dita davanti vedendola riprendersi.

"Il caffè. Fila da Starbucks. Macchiato con caramello, grazie" presi dalla tasca delle banconote porgendogliele, vedendola afferrarle tra le mani e memorizzarsi  mentalmente la mia ordinazione, ripetendola a voce bassa come un mantra.

Mi avvicinai, sentendola deglutire, fissandola negli occhi azzurri, per poi sfilare i fogli che teneva premuti nel petto, vedendo il mio caso da svolgere.

Rimase impalata, mentre andai a sedermi, mettendomi gli occhiali e rovistando tra i fogli.
Quando alzai lo sguardo sbuffando.
"Puoi andare" le intimai mostrandogli un sorriso tirato.

"Eh...si,si" si rianimò, uscendo dalla porta per poi tornare indietro affacciandosi sulla soglia.

"Si?" Domandai nuovamente, con la poca pazienza che si stava esaurendo, mantenendo lo sguardo sui fogli. Mi abbassai gli occhiali per guardarla, finché scosse la testa andando via dalla mia visuale.

Stramba era stramba, ma aveva un viso familiare.

Una Seduzione DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora