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Pov.Cristy

"Non capisci che ti voglio nella mia vita". Quella frase risuonò come una melodia nella mia testa. Lasciandomi andare contro al poggia testa dietro al taxi, continuando a guardare fuori la New York illuminata, e la molta gente che l'affollava anche se fuori c'era un freddo che ti faceva battere i denti. Rispecchiava un po' il mio umore in quel momento.

Mi ricordai degli occhi di Mark alla cena. Ma come sempre aveva scelto il silenzio, come sempre io ero fuggita. Non avevo voglia di tornare a casa e guardare qualche puntata melensa di "Vento di Passione", piangendo come un fiume che sfocia. Volevo tornare in un posto che sapesse davvero di accoglienza anche se sarei tornata a ritroso con il tempo.

Tirai fuori dalla borsa il mazzo di chiavi, cercando quella della serratura di casa di mia madre. L'aprii piano, estraendo la chiave piccola, togliendomi le scarpe prima di entrare. Benché a terra avesse il parquet che rendeva l'impatto al suolo meno freddo. Stavo attenta a non fare rumore per non svegliarla, salendo in punta di piedi le scale, dirigendomi nella mia vecchia cameretta.

Aprii la stanzetta, poggiando la borsa sulla vecchia scrivania rosa e le scarpe sul tappeto di pelliccia bianca. La luce della luna che filtrava dalla piccola finestra con le tende bianche ricamate affisse, mi davano la giusta visibilità per constatare, che non era cambiato nulla.

Inalai l'odore di lavanda che aveva sempre contenuto quel piccolo spazio che era il mio luogo sicuro, il guscio dove mi rifugiavo quando il mondo diventava troppo vasto per una come me. Accesi la luce dell'abat-jour a forma di cuore, chiudendo la porta di camera, prestando sempre attenzione.

Toccai la testata in ferro battuto, verniciata di bianco, del letto, passando con la mano sul piumone rosa con i conigli stampati sopra. Cavolo quanti ricordi.
Alzai lo sguardo verso il muro. Vi erano appese in dei piccoli quadretti, molte foto di me e Kitty. Ero felice e spensierata anche con qualche chilo in più. Il giorno del diploma, la foto prima di andare a quella dannata festa di Holly. Erano tutte lì a tracciare i percorsi della mia vita. Quasi vicino all'angolo in alto a sinistra, scorsi una mia e di Mark, una dove eravamo piccoli, forse 10 anni, mi abbracciava tenendo un braccio dietro la mia spalla attirandomi contro di lui. I visi dolci, ed i suoi occhioni miele che splendevano nella foto più dei miei azzurri. Ero già perdutamente innamorata di lui. Il vestitino lilla nuovo lo avevo sporcato di fango solo per giocare con lui, e non mi era interessato del fatto che mia madre dopo mi avrebbe sgridata.

Poi l'ultima prima di diventare estranei. Avevo 14 anni. Indossavo una maglietta celeste scollata ed un paio di short di jeans, mentre lui aveva una canottiera nera che già evidenziava le sue spalle larghe ed un pantalone nero felpato. Eravamo sdraiati sul prato, ridendo e guardandoci negli occhi. Ecco, quelli eravamo veramente noi. Era lì che avevo capito di amarlo, e di sentirmi stranamente attratta ogni volta che mi sfiorava anche solo per puro caso o per gioco. M'incendiavo a quel tocco delicato e morbido su di me.

Presi in mano il mio coniglietto rosa di quando ero piccola, stringendolo al petto.
Mi lasciai cadere a sedere sul materasso, stendendomi lateralmente, rannicchiandomi. Mi portai dei cuscini vicino come se potessero farmi da protezione, ed una mano sotto la guancia, cercando di addormentarmi, con i suoi occhi che mi apparvero davanti.

Mi svegliai con il sole caldo che penatrava dalla finestra, trovandomi avvolta in una coperta di flanella e la luce dell'abat-jour spenta. Segno che mia madre si era accorta che ero tornata a casa.

Mi alzai scostando la coperta, stropicciandomi gli occhi assonnati con il palmo caldo, scendendo dal letto. Aprii la porta della stanza scendendo le scale, venendo travolta dalla scia di profumo dei pancake. Me li faceva sempre la mattina prima di andare a scuola.

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