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Pov.Cristy

Avete presente la domenica mattina, quando non dovete andare a lavorare e puoi stare a rigirarti nelle coperte a riempirti di schifezze fino al mattino dopo?! Ecco io no!

Sentii il rumore del campanello persistente, con quel fastidioso suono che emetteva, decidendo solo di avere un'opzione. Aprire quella dannata porta.

Scostai le lenzuola controvoglia, abbandonando il mio rifugio, con un mal di testa atroce, dovuto alla sera prima. Sentii delle forti pulsazioni alla tempia, come se mi stesse per scoppiare la testa, togliendomi la pezza umida che mi ero appoggiata sulla fronte. Avviandomi alla porta, che aprii per dare le spalle. Sapevo già chi fosse.

Domenica mattina significava:
-Mamma
-Lamentele della mamma
-Pasta della mamma
-Ramanzine della mamma.
Il tutto contornato dalla mia poca voglia di conversare con qualsiasi essere umano.

La sentii entrare, ticchettando il tacco per terra, richiudendo la porta, poggiando la borsa sul tavolo.
"Non si saluta più tua madre?" Canzonò in modo offeso, incrociando le braccia al petto, togliendosi la stola di pelliccia.

"Mamma sono le 8 di domenica mattina, ho sonno, ho fame, ed ho sonno" esclamai, girandomi nella sua direzione, sistemandomi i capelli, che sembravano aver visto uno spaventa passeri.

Mi avviai verso la cucina, riempiendomi una tazza con del caffè. Ne avrei avuto bisogno. Vedendola mettersi a sedere.
"Proprio per questo Cristhina. Le 8 e tu sei ancora in pigiama. Quando deciderai di trovati un uomo affabile ed amorevole, e darmi la gioia di diventare nonna?" Chiese con tono carezzevole ed affettuoso, togliendo l'involucro della pasta fatta in casa. Mentre il caffè tanto adorato mi andò di traverso, tossendo come una forsennata.

"Spero tu stia scherzando mamma. Marito amorevole? Affabile? Figli? Nonna? Nipoti? No" asserii risoluta, vedendomi passare la famiglia del Mulino Bianco davanti agli occhi. Io vestita con il grembiule ed una bandana in testa come le contadine di "Vento di passione", mio marito che si aggancia la giacca e prende la cartellina andando a salvare la povera gente che soffre la fame in città, e mio figlio che torna con un cestello di latte dopo aver munto le mucche. Per qualche strana ragione questo fatidico uomo era Mark. Ma basta Cristy.

Raggelai a quel pensiero, scuotendo di nuovo con veemenza la testa, gettando il caffè nel lavandino, aprendo il rubinetto, guardando il liquido marrone scomparire piano.

"Ma Cristhina ragiona. Hai 26 anni, un lavoro che ti frutta parecchi soldi, una bella casa. Ma questo non ti renderà mai completamente felice come avere una famiglia" replicò di nuovo, tentando per la ventesima volta negli ultimi 5 anni della mia vita di farmi ragionare.

Mi fece cenno di sedermi vicino a lei, abbandonandomi alla fase delle lamentele. Poggiando il gomito sul tavolo con una mano stretta a pugno per reggermi la guancia, alzando gli occhi al cielo.
"Tesoro io ho avuto te, sei stata il dono più grande. Avevo 24 anni all'epoca. Certo tuo padre era un brav'uomo, lavoratore, ma non era di certo un santo. E come ben sai è per questo che abbiamo divorziato. Non avevamo più nulla che ci tenesse legati se non te, ma avevi già compiuto 12 anni, ed ormai eri grande" iniziò con il tono melodrammatico, ricordandomi quel periodo. Ero sempre a casa di Mark, mi sosteneva, vedendo la sua famiglia perfetta, e mi rassicurava sul non preoccuparmi, e che un giorno avrei avuto una famiglia splendida.

Facile dirlo quando non sei ancora il capitano della squadra di football, il ragazzo più richiesto della scuola, e improvvisamente ti dimentichi delle promesse fatte alla tua stupida amica d'infanzia. Sul "per sempre amici". Avevamo anche stretto un patto di sangue, e le nostre madri ci sgridarono vedendo i tagli su i palmi, mentre ridevamo.

Il problema è che non sapeva che lavoravo per Mark, ed ero stata licenziata dalla star magazine, e non le avrei detto niente.

"Mamma lo so. Ma..." mi ammonì agitando una mano davanti, senza darmi modo di parlare. Sistemandosi i capelli castani a caschetto, fissandomi negli occhi, quegli occhi color nocciola.

"Non lo sai Cristhina. Tuo padre mi ha detto che Holly si sposa tra due settimane. Mentre te vuoi rimanere radicata ad un'eterna bambina" aggiunse, sentendomi mancare. Holly l'avevo sempre odiata, ed avevo molti motivi per odiarla.

"Non ho voglia di discutere su le stesse cose mamma. Ti voglio bene e lo sai, ma sei estenuante" sbottai cruda. E non avrei voluto essere così burbera, ma certe volte sembrava così opprimente. Erano le stesse lamentele di sempre, come quando vai in chiesa e senti sempre le stesse canzoni e le stesse preghiere che ormai sai a memoria, esattamente come le sue ramanzine.

"Ti lascerò stare. Quello che avevo da dirti lo sai. Stasera ci sarà la cena di beneficenza dai Tomson, e che ti piaccia o no verrai" affermò con tono di chi non ammetteva repliche. Tomson? Significava solo una parola, grande quanto l'insegna di Hollywood. Mark.

Sgranai gli occhi, guardandola alzarsi ed aggiustarsi il cappotto.
"No mamma non posso, stasera ho troppe cose da fare, e comunque non posso ecco" dissentii in tutte le maniere possibili, guardandola prendere la borsa, senza darmi adito, avviandosi alla porta per aprirla.

"Passami a prendere alle 20. Ah tesoro, mettiti qualcosa di decente." Aggiunse squadrandomi, lasciandomi basita sul tavolo, a fissare la confezione di pasta, pensando se era un recipiente adatto ad essere messo Nel microonde. Ah ma vaffanculo.

Pov.Mark

La prima domenica del mese. Questo significava solo una cosa in casa Tomson. La cena di beneficienza, dando il ricavato all'ospedale dei bambini, dove lavorava mio padre. Benché fossi d'accordo a dare i soldi, non mi erano mai piaciute quelle cene, dove veniva invitata tutta gente spocchiosa.

Sentii suonare il campanello, e già sapevo chi fosse. Mi abbottonai la camicia, andando ad aprire.

"Buongiorno mamma" la salutai con un bacio sulla guancia, lasciandola entrare. Mi somigliava molto, anche se i suoi occhi erano grigi.

"Stasera ci sarai vero alla cena. Ho invitato molta gente. Sarebbe bello se portassi qualche ragazza con te. Peccato che tu sia uguale a tuo padre quando lo conobbi. Nessun legame sentimentale. Finirà prima o poi questo periodo, non si è per sempre degli stalloni di primo pelo" mi rimbeccò con una delle sue ramanzine materne. L'amavo questa donna, ma certe volte non riusciva a capirmi. Quando mi lasciai con Anny fu un colpo al cuore per lei. Anche se non la riteneva alla mia altezza. Credeva finalmente di vedere il suo unico figlio sposato, e con dei nipotini gironzolare per casa.
Ciò che invece non volevo io. Credeva anche che mi sarei fidanzato con la mia amica d'infanzia. Chissà che fine aveva fatto. Certo somigliava a Cristhina ed avevano lo stesso nome, ma non poteva essere. Il cognome non era lo stesso e poi era troppo magra per essere lei.

"Credo che questo discorso possa finire qui" precisai, annodandomi la cravatta, vedendola venirmi incontro, aiutandomi con la sua precisione perfetta.

"Dico solo che sarebbe bello vederti accompagnato da una donna sofisticata e di gran classe." Aggiunse, scuotendo la testa, fissandomi negli occhi, concludendo il nodo, lisciandola.

"Dico solo che sei l'unica donna che amo. Sei troppo apprensiva. E per il..." non riuscii a finire la frase che fece un risolino di chi già sapeva la frase finale che le ripetevo sempre.

"Per il momento niente legami sentimentali. Ho capito. Ci vediamo stasera. Mi raccomando puntuale, sai quanto sia fiscale tuo padre" aggiunse, prima di posare il vassoio sul tavolo, con la pasta fatta da Tina, la mia tata dell'infanzia.

"Sarò puntuale" la tranquillizzai, accompagnandola alla porta, guardandola fare un cenno di assenso con la testa, prima di infilarsi i guanti, uscendo.

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